di Vincenzo D'Alessio
L’Irpinia è un guscio verde di terra ricolmo di sorgenti, di montagne, di aree coltivate che sono costate fatica e morti a molti contadini. Le comunità frantumate dalla caduta dell’Impero di Roma si sono spostate, non senza difficoltà, sui dorsi delle colline. Tanti i popoli che si sono avvicendati; tanti i castelli e le pievi oggi ridotti a pochi ruderi. L’Appia unisce ancora la propaggine nord della Campania alle terre arse della Puglia. Le comunità umane poste sulla dorsale appenninica hanno dovuto combattere costantemente con i terremoti, con l’emigrazione, con l’invasione delle industrie dal Nord della penisola.
L’arco di terre ritorto, che lo scrittore Raffaele NIGRO descrisse nel suo stupendo romanzo Ombre sull’Ofanto
(Camunia,1992), che si distende tra le comunità umane di Conza della Campania, Andretta, Bisaccia, ha come punta più alta, in forma di dirigibile sospeso perenne nel cobalto del cielo, la comunità di Cairano. Promontorio innaturale, inaccessibile, sfrontato. Nelle strade strette, in salita, metafora dei binari che hanno visto allontanare le sue generazioni a partire dagli anni Sessanta, si spande l’odore del pane dell’unico forno che Luongo mantiene in vita da anni. Pane senza marchio. Pane di lievito madre. Acqua e farina di terra avara di sogni ma ricca di speranze. Buon pane!
Le parole non bastano a descriverne il sapore. Ogni giorno è nuovo per impastare. Ad un tratto il vento, instancabile, reca con sé una voce dall’abitato più in alto, dove il volo delle rondini è una ellisse continua, da capogiro. La voce di un ragazzo che conobbi nelle prime edizioni del Premio Nazionale Biennale di Poesia “Città di Solofra” al quale demmo il difficile compito di leggere i testi poetici a concorso. Erano versi non facili di nomi che oggi risuonano nella Letteratura Italiana: Adriana Scarpa, Benito Sablone, Michelangelo Cammarata, Pietro Mirabile, Giovanni Dino, Fryda Rota, Dante Maffia, Giuseppe Vetromile, Pasquale Martiniello, Alessandro Ramberti e tanti altri raccolti nelle undici Antologie del Premio diffuse nelle scuole e nelle biblioteche d’Italia. Voce inquieta che prometteva successi.
La voce racconta nel monologo i migranti, il buio delle solitudini, l’insidia degli inverni, l’impalcatura delle case dilaniate dal tempo, le radici degli uomini: come in una tragedia antica il coro alle spalle dell’attore s’impadronisce della scena e canta il dramma solare della memoria comune. Tutto intorno tace. Noi spettatori-comparse siamo presi dal sapore delle parole, ci saziamo, come del pane. Spettacolo nello spettacolo di un cielo superbo, imperterrito, eterno che abbassa il suo mantello stellato sulla scia del viaggio che Cairano intraprende.
All’attore Enzo Marangelo, alla sua capacità di essere persona nelle persone in questo teatro della vita, abbiamo dedicato questi versi pregni dei sapori e dei profumi di questa antica terra:
Le mura hanno orecchie
le pietre storie antiche
da raccontare, il vento
culla il mare di verde
senza confini. Dirigibile
millenario si stacca
dal suolo martire di frane
sulle acque fangose
del grande stagno
intriso di suoni. Marangelo
si affaccia dove il balcone
sfida l’abisso e canta
di Cairano le ore.
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