venerdì 11 aprile 2014

Intervista a Patrizia Rigoni su Il tempo delle mani

Parlando con Patrizia Rigoni del suo libro "Il tempo delle mani"

Parlando con Patrizia Rigoni del suo libro

Trieste - Mercoledì 9 aprile alle ore 18 all’Antico Caffè San Marco, con una conversazione, condotta da Marinella Chirico giornalista ma anche scrittrice, verrà presentato l’ultimo libro di Patrizia Rigoni dal titolo Il Tempo delle Mani, pubblicato da FaraEditore.

Un libro che sa di memoria ma anche di presente, un libro di piccole cose ma di soffi di eternità, un libro in forma di prosa poetica che propone la bellezza della verità, la responsabilità dell’amare e l’inesausta passione del vivere. Patrizia Bordogna leggerà dei brani.

Patrizia Rigoni, autrice del testo, nasce a Monza ma vive a Trieste da tanto tempo, madre di due figli “ormai grandi”, una laurea in Sociologia, coltiva da sempre la passione per la letteratura,  e per la scrittura.
Come scrittrice si chiede ogni giorno dov’è il linguaggio, come donna dov’è il mondo e il diritto ad essere felici. La continua tensione la spinge alla ricerca e all’approfondimento, ingredienti essenziali nel suo percorso di formazione,  pubblica da più di vent’anni, e si occupa di formazione attraverso la formazione autobiografica.

Con lei abbiamo conversato del suo ultimo libro e non solo,  accolti in una casa che sa di partenze e di arrivi, ricca di segni e di essenze, inondata da luce in ogni angolo.

Da dove arriva questo libro?
L’ho scritto in sei mesi, usciva di getto, sembrava fosse già tutto lì, pronto per essere messo sulla carta. Solo quando ho finito di scriverlo ho capito che era la consecutio tempore di una altro mio testo “Come tenere l’acqua nella mano”, che rappresentava le domande, la forma delle domande di senso, mentre “Il tempo delle mani” è la risposta, le risposte, il flusso di coscienza che prendeva forma.

Usciamo dal libro e le chiediamo: perché scrivere?
Per fermare la vita, e farla durare. Bisogno di costruire di non perdere tempo, è un’urgenza di raccogliere tutto, di dare e di dire. Quasi un dare forma all’essere, al mio essere. Questo  ultimo libro parla del presente, che ti costringe a valutare quello che si ha, quello che si è riusciti a fermare.

Cosa rappresenta il gesto della scrittura?
È un gesto che mi difende, che mi protegge. Fin da giovanissima scelgo luoghi all’aria aperta in mezzo al verde, in riva la mare dove l’acqua fluisce. A  volte luoghi non privi di pericoli, anzi se ci ripenso, fin da piccolissima sono andata a scrivere in luoghi improbabili e nelle ore più assurde, solo ora mi rendo conto che è un gesto che mi ha protetto, non mi è mai successo nulla.

Mano destra o mano sinistra?
Ero una mancina, ma venni costretta a scrivere con la destra, però le mie mani hanno un ruolo interscambiabile, per me un valore assoluto, come emerge anche da questo libro che parla di mani e di storie attraverso le mani, con le mani, nelle mani.

Nel suo libro si dice “Leggo con il buio, leggo all’alba. Cerco contenitori cerco espansione”: immagino sia un suo livello di coscienza alla lettura?
L’atto della lettura è una perdita totale, cioè se leggo Singer mi perdo nella letteratura, se leggo Zavattini, Valduga mi perdo nella lirica, il perdersi per ritrovarsi.
“Il silenzio può arrivare a essere la cosa più importante della vita di una persona, ciascuno di noi si relaziona al silenzio in modo”, una frase dello scrittore Zarraluki, nel suo ultimo libro "La storia del silenzio". Si ritrova?

Eccome. Il silenzio cambia declinazione e senso alle cose che vivi, ha una dimensione, una forma diversa a seconda dei periodi in cui lo vivi, nelle età, nei luoghi in cui ne fai esperienza. Mi considero una persona socievole ed empatica, ma ho bisogno di isolarmi e di essere irraggiungibile per poter scrivere al meglio.

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