mercoledì 13 novembre 2013

Guido Passini in Chi scrive ha fede?

recensione di Vincenzo D'Alessio

Il contributo di Guido Passini, inserito nell’Antologia Chi scrive ha fede? (Fara Editore 2013) curata da Alessandro Ramberti, apporta un momento di riflessione fondamentale al tema proposto dall’incontro svoltosi a Rapallo (GE). Il titolo del contributo di Guido recita: “Fede è rispetto” e nell’esergo cita San Giacomo 2,26: “Infatti, come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta.”

Ci sono testimoni, uomini, che portano con tanta dignità la propria sorte esistenziale da meritarsi un dolore costante, acre, resistente alla poca gioia che è il dono della vita. Gli altri che guardano li chiamano poeti e sovente li invidiano. Per me non sono riuscito in nessun momento della mia vita a dimenticare il dolore dell’onestà. Per questo amo i poeti come Guido Passini. Li amo incontrandoli nei loro versi, che sono la loro esistenza, l’infanzia, i grani di quel rosario che si chiuderà in una preghiera finale recitata da altri. Li amo perché, come nel contributo prosa/poetico offerto da Passini, hanno il coraggio di esistere e bene: “Io ho iniziato a scrivere per me stesso, solo successivamente mi sono accorto che in realtà allo stesso modo lo facevo per il prossimo” (pag. 214).

Scrivere per amore di sé stessi. Perché come scrive ancora il nostro nella premessa ai suoi versi: “Io questa vita la rispetto. Non farlo sarebbe come sputare sugli sforzi di un genitore, come sputare su chi ha dato la Vita alla Vita, e questo non è onesto” (pag. 214). L’esempio di vita di Passini è dichiarato: “Io non frequento le chiese (…) Questo non significa che io non creda” (pag. 214). Poeta perché in cerca della verità che fa germogliare la fede nell’esistenza. Lo scrive in modo perfetto nei versi del canto III : “(…) un senso di non ritorno / e senza renderti conto / avrai vinto la guerra” (pag. 217).

La ricerca della luce uscendo dalla miniera dei pensieri disseminati nei versi. La corsa calma verso il finale dove arriverai comunque: spetta a te la scelta se essere un protagonista o un gregario. Sei entrato nell’esistenza, dove altri ti aspettavano, dalla quale uscirai per forza “spezzando catene, graffi di scintille, rantoli di sabbia”. Ma sarai tu il costruttore e l’innovatore. Il fabbro e l’artista che ha forgiato: “il sapore di sangue, il sapore di pane, il sapore di libertà” (pag. 217).

Il Nostro ci rammenta che dentro la fragile scorza del corpo c’è l’angelo che vuole volare, tornare all’energia di Madre Natura: “(…) angeli del firmamento / con l’integralità / di ali che non possono volare”(pag. 216). Noi di angeli ne abbiamo conosciuti. Guido Passini si è riconosciuto angelo e conoscendosi ha raccolto il bagliore fatuo che altri angeli hanno lasciato lungo il suo cammino. Come cantato amorevolmente nella poesia Gabriele a pag. 218: “(…) Non sei solo voce, / amico mio, sei molto di più. / Poche persone, / riescono ad illuminare / quell’angolo remoto / che chiamiamo Anima.”

Il vocativo ha sempre l’effetto della meta raggiunta e che si è costretti a lasciare. Ha l’afflato della domanda fatta a sé stessi e condensata nel nome della persona alla quale indirizziamo il nostro raccontare. L’enjambement rende con maggiore insistenza la distanza tra l’amico scomparso e chi resta a raccontare il calore delle mani perdute. Guido vive attraverso i suoi angeli. Con le sinestesie: “rantoli di sabbia / rumore vuoto”; il senso orfico che pervade la sua distinta poetica: “Ascolto la tua parola, / come fosse verbo / e mi riserbo / di gridarla / in sogno / mentre sveglio, stringo” (pag. 216) affida tutto il dolore composto al verso libero, in qualche parte rimato, lucido strumento di dialogo con sé e il mondo circostante.

“Oggi viviamo in un mondo in cui tutto sembra dovuto, pefino la vita, a volte anche una guarigione istantanea” (pag. 215).

Come per i dieci lebbrosi guariti da Gesù Cristo sulla via che conduceva a Gerusalemme (Luca 17,5) per la loro fede, Guido Passini è quell’unico che tornato indietro per ringraziare il suo benefattore rappresentò e rappresenta l’umanità intera, liberata per sempre dai suoi dolori.

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