Giambattista
Bergamaschi
Dire
e nascondere. Il segreto del poeta
(dall'omonimo studio in fieri)
(dall'omonimo studio in fieri)
La Poesia dice, ma nel contempo cela.
Sembra
voler mostrare, svelare; invece, soprattutto nasconde, occulta.
Forse
ha un po’ “paura”: nasce da religioso timore, da una sacra
apprensione, da una misteriosa, inspiegabile inquietudine.
Ciò
che dichiara è (dev’essere?) alla portata di tutti, ma quale mera
“forma vuota”, entro cui ciascun lettore potrà, volendo, situare
la propria specifica, personale, inconfondibile, talora segreta e
inconfessabile (persino a lui stesso) esperienza di vita.
Parole,
immagini, metafore, simboli, correlativi oggettivi “appaiono”
immediatamente leggibili nel loro senso e valore “tecnico-letterario”
(risiede in questo l’universalità
della grande poesia? Nel fatto di poter essere fruita da tutti quale
disponibile contenitore da riempire? E più funziona come tale, più
chiunque ha modo di calarci quel che vuole, più di autentica lirica
si tratta, forse?), ma a cosa esattamente facciano riferimento, a
quale urgente o struggente vissuto siano concretamente riconducibili
non lo sapremo mai.
* * *
* *
Neppure
il poeta riesce sempre a leggere fino in fondo oltre
le proprie parole e figure, che a volte lo hanno “immediatamente”
catturato, rapito, stregato, imponendoglisi in virtù della propria
stessa e autonoma forza/suggestione espressiva, come in un
sentore/presentimento di qualcosa “che non so”… di Verità
provenienti “chissà da dove”…
In
tal senso, la poesia confermerebbe la propria natura di barbaglio da
indagare, di cui cercare il bandolo, il punto d’origine, il mistico
istante e scatto da cui il gomitolo, chissà quando, come e perché,
prese a svolgersi.
Ma
quali sarebbero i “segreti” del poeta?
Forse
neanche lui li sa, crittati come sono oltre gli invisibili, difensivi
muri di fuoco di quell’inviolabile cifra che è il verbo poetico.
* * *
* *
Presi
nota, tempo fa, di una certa personalità
“a strati” o
“a
cipolla”:
da quello “pubblico” al più
interno/interiore/intimo/inconfessabile, ignoto persino al suo
custode, per non dire “carceriere”:
“Come
se la nostra esistenza si ‘avviluppasse’ e quasi raggomitolasse,
rannicchiasse (molto probabilmente a scopo difensivo) su almeno tre
strati: in quello più
esterno/esteriore, del tutto pubblico, sociale, alla libera e piena
portata di chiunque, non accade mai nulla che abbia veramente senso;
in quello intermedio si agita e ‘pretende’ di esprimersi tutta
una serie di vissuti, pensieri ed emozioni che riveliamo di rado, e
soltanto a certe persone - non necessariamente pochissime -, durante
speciali frangenti della nostra esistenza; in quello più occulto,
interiore, che non palesiamo ad alcuno, ‘riposano’ più o meno
indisturbate talune ‘immagini’ di noi, a noi stessi sovente
ignote.
Se ne stanno lì i codici
della vulnerabilità di
cui con rara efficacia scrive Björn Larsson ne I
poeti morti non scrivono gialli
1
”.
* * *
* *
In
una lirica, infine, il poeta parla di Sé per non
dire
dell’Altro ovvero dice dell’Altro per non
PARLARE
di Sé o ancora cita Entrambi
per confondere chi legge circa l’oggettivo
referente del discorso, talora anche solo
per lasciarlo “in sospeso”… suggestivamente nebuloso.
Non
di rado fa ricorso ad una sorta di narrazione in terza
persona (metodologia psicoanalitica discretamente efficace), per non
parlare in PRIMA di Sé; oppure in quest’ultima dice cose che, ad
esser sinceri, riguarderebbero l’Altro (uomo o donna: non sempre,
non necessariamente quest’ultima, se l’autore è un uomo).
Più
in generale, il poeta utilizza tanto la PRIMA quanto la SECONDA o
TERZA persona, singolare
o plurale,
in varia maniera e con mutevole intenzione: comunque, mai
indifferentemente, bensì a ragion veduta ovvero seguendo l’istinto.
E
potremmo esaminare svariate liriche, più o meno note, per verificare
la particolare pregnanza che di volta in volta vi riveste l’avveduto
utilizzo delle persone verbali.
In
ogni caso la poesia, come s’è detto, simula e dissimula: finge.
“Leggerla”
è allora scavare, far luce entro una tale affascinante reticenza
spinta fino alla menzogna.
(foto di Umberto Marconi, Burano, www.umbertomarconi.it/Foto/Burano/Burano%2022.htm)
Per contatti con l'autore:
Nessun commento:
Posta un commento