martedì 25 giugno 2013

La “piccola morte bianca”

di Enrico Gorini



marta corti: … associazione diabete merc pom 16-18 incontri di interesse: racconta le tue esperienze di ipo con rimbalzo
16/6/13 esperienza di grave ipo:
FAME DI ZUCCHERO - LA “PICCOLA MORTE BIANCA” del diabetico: un insulinodipendente racconta la “scimmia”

Ho cenato chiacchierando, quindi senza badare alla quantità di carboidrati effettivamente assunta. A fine pasto, ho presentato ai miei ospiti la mia granita di gelso, fatta con le more appena raccolte. Poiché era molto zuccherina, dopo rapida (troppo rapida) riflessione ho deciso di fare 4 unità anziché le 2-3 che faccio solitamente. Io sono molto sensibile all’insulina, pertanto ne devo usare un modico quantitativo.

Quasi due ore dopo cena, sto leggendo: inizio a notare strani segni di stanchezza, tanto che non ho neppure voglia di distogliermi dalla lettura per vedere se per caso ero in ipo. Non mi sembra urgente. Dopo poco però con fatica mi alzo, e allora noto le gambe rigide. Forse è perché oggi mi sono speso molto, fisicamente. Vado a misurarmi con un presentimento, e scopro di avere la glicemia a 55. Imprecando, inizio l’usata battaglia dello zucchero che dovrà salvarmi. Poiché l’altro giorno ho cambiato gli assetti di cucina, ora anche trovare lo zucchero non è un’operazione banale. Al primo cucchiaino, rimango brutalmente scornato perché ho portato in bocca un cucchiaino di sale. Devo sputacchiare, dominare la rabbia e trovare la polvere bianca, non è difficile, in casa ce n’è un po’ ovunque. Dopo un po’ di brancicamenti, lo trovo e non esito a ingurgitarne a cucchiaiate, due per iniziare. Intanto cerco di ragionare e capire se è sufficiente; per ora attendo, mi siedo sul divano per lasciare passare i 15 minuti di osservazione e decidere se assumere altro zucchero. È il tempo che ci vuole perché lo zucchero passi dallo stomaco al sangue, e dal sangue ai muscoli e al cervello. La paura però è che, nel frattempo, la glicemia scenda ancora di più, quindi si prolungherebbe la sofferenza da mancanza di zucchero, e la carenza potrebbe diventare pericolosa. In ogni caso il peggio deve venire.
Devo rilassare la mente in modo da azzerare il dispendio energetico? mi chiedo. Ma impormi un momentaneo stacco dalla realtà, non mi darà esso stesso un effetto ancora più acuto, tormentoso e disperante? Forse, se faccio finta di niente e mi dedico a piccoli gesti di quotidiana domesticità, magari il mio cervello si pacifica meglio. In ogni caso meglio non stendermi, la mia bassa pressione poi mi fa brutti scherzi… rimango seduto, ma con le gambe alzate e testa un po’ riversa all’indietro.
Ascolto il mio corpo: e aspetto. Sì, ma intanto mi rendo conto di come la mia mente si sforzi di capire come deve auto-gestirsi. Sono ancora lucido? Cosa è meglio che faccia? altro zucchero?
Al diavolo le prescrizioni standardizzate del diabetologico, qui la mia priorità è sfamare presto i miei tessuti. Sì, mi rendo conto che 55 non è un valore troppo basso, non è pericoloso… ma se davvero ho sbagliato i conti? Che cavolo ho mangiato esattamente? Ero in compagnia, ho chiacchierato fitto, non ho badato a quanti carboidrati ho mangiato… vediamo… un po’ di zuppa di legumi, un po’ di pane, un uovo, un po’ di salame… ho fatto 4 unità di insulina, troppe accidentaccio, dovevo capirlo! 

Mangio altro zucchero, poi 200 ml di succo di frutta, al diavolo i 15 minuti da manuale! Arrivo a calcolare, approssimativamente, l’equivalente di 9-10 zollette. Intanto mi è arrivata la sensazione di soffocamento, ho chiamato mia moglie che era già a letto e ora mi sta ventilando. Mi dispiace di allarmare i miei famigliari, ma cosa ci posso fare, accidentaccio, ora si tratta di risalire con gli zuccheri. Sono sicuramente nel momento peggiore, il cuore mi batte a mille, ripetendo freneticamente ti-odio-ti-odio- ti-odio- ti-odio- ti-odio- ti-odio. Sono tutto sudato. Il corpo è in fibrillazione, come scosso da un demone interno che urla e si agita dentro i tessuti.
Ecco la paura di morire. Al diavolo, non devo pensare a nulla, devo stare tranquillo. A questo punto non posso fare altro che aspettare che il mostro si stanchi di tormentarmi e se ne vada da solo. Per esperienza so che arriva un momento, un momento quasi preciso, nel quale dici a te stesso: “Ecco, se ne sta andando!”, e allora tu lo aspetti quel momento, anzi, diventi tu stesso un’attesa, come null’altro vi fosse nel mondo, come una partoriente che deve sgravarsi.

Talvolta però, benché raramente, il mostro ha fatto solo una finta, ed è ritornato, e allora ho avuto l’impulso di piangere dalla disperazione, ma mi sono dovuto trattenere perché ho capito che il mostro ci ha gusto e mi assalirebbe con più tormenti. Diabete, te lo devo dire dal profondo del cuore, in questi momenti - come non mai - con tutto il cuore io ti odio!

La guerra di questa notte è durata 20 minuti.

Nessun commento: