venerdì 23 dicembre 2011

Caccia Grossa




Handeni, 4 Febbraio

I pigmei non sanno come accendere il fuoco, così lo tengono costantemente acceso, trasportando durante gli spostamenti dei tizzoni di brace all’interno di certe pignatte di terracotta.
Almeno cosi dice Mister Wilson, ma io credo che sia solo un’altra boutade di questo smargiasso Inglese ignorante.
La sera, finita la cena stiamo seduti attorno al fuoco a conversare e a bere whisky, e Mister Wilson a volte ne spara di così grosse che faccio fatica a trattenermi e a tacere.
Ieri, per esempio, ha detto di avere colpito tre antilopi, ognuna centrata in pieno con un solo colpo del suo Mannlicher a canna corta.
Figurarsi, tre antilopi!
Io non sono nemmeno riuscito a vederne di antilopi, non una sola in quasi due settimane che siamo qui, e lui ne becca addirittura tre in un giorno.
Secondo me non ci ha creduto nemmeno Mister H.
Mentre Mister Wilson raccontava, mi ha lanciato uno sguardo strano, una smorfia beffarda della bocca sotto i suoi baffetti da attore del cinema, ed era come se sorridesse solo con gli occhi: chiaro che non ci credeva nemmeno lui, alla storia delle antilopi.
“E lei, Mister H?” gli si è rivolto Mister Wilson “Come è andata la sua giornata?”
“Sono sulle tracce di un leone” ha risposto lui, senza entusiasmo “Ho visto le sue peste sul lick, e sono rimasto in attesa per tutto il pomeriggio, sperando si facesse vedere, prima o poi. A un certo punto si era fatto troppo buio per sparare, e ho preferito tornarmene al campo.”
Mi piace questo Mister H.
E’ simpatico, per essere americano, e non è per niente un gradasso: quando parla, lo fa in un modo che lascia il segno.
Deve essere uno scrittore, penso, o un professore di Università o qualcosa del genere. Ha spesso uno sguardo assorto, e ho notato che prende appunti su un libricino dalla copertina nera, che tiene in una tasca della giubba.
Gli piace bere, e la sera ci dà dentro con il Whisky, ma non l’ho mai visto alterato.
Quando le cose vanno bene e tu ti senti giù” mi ha detto una notte, mentre davamo fondo a una bottiglia di buorbon “un drink può farti star meglio. Ma quando le cose vanno davvero male e tu sei lucido, un drink rende solo tutto più chiaro.”
Ha buttato giù il suo Whisky di un fiato ed è rimasto lì in silenzio, a fissare il fuoco.
Lontano, nella radura vicino al fiume, si sentiva echeggiare il grido della iena, la sua risata agghiacciante e oscena.

6 Febbraio

Ieri è piovuto a dirotto e siamo stati costretti a rimanere rintanati sotto le tende per tutto il giorno.
Oggi, in compenso, ho avvistato due nusbari.
Sono saltati fuori all’improvviso da un cespuglio, alle mie spalle, e non ho avuto nemmeno il tempo di girarmi e prendere la mira che si erano già volatilizzati, spariti in un lampo nel folto della macchia.
Poco male, in fondo: tanto non gli avrei sparato.
Mister Wilson si è accanito tutto il giorno a dare la caccia ai kudù.
Non so perché si ostini così a inseguire quelle bestiacce, con tutta la selvaggina che c’è quaggiù.
L’unico motivo, secondo me, è la possibilità che ha poi di vantarsi con gli altri cacciatori della entità numerica delle sue catture, ne ho beccati sei, ne ho beccati nove.
Non ho visto Mister H. per tutto il giorno, secondo me è sulle tracce di un leone. L’ho notato che si allontanava dall’accampamento stamattina prestissimo, che non faceva ancora del tutto chiaro, e i due portatori che lo accompagnavano parlavano fra loro a voce alta, non saprei dire se eccitati o spaventati.
“Simba!” continuavano a ripetere “Bwana piga! Piga simba!” e si sono allontanati verso la strada, mentre io stavo davanti alla mia tenda, ad annusare il vento.
Ieri pomeriggio, mentre ce ne stavamo rintanati sotto la mia tenda a fumare e a bere whisky, Mister H. mi ha detto della iena.
A dire il vero, ero stato io ad andare sull’argomento.
“Strano animale, eh?” lo avevo apostrofato cercando di strapparlo via dal suo abituale silenzio. “Di notte la si sente ridere in un modo che gela il sangue.”
“Ha mai sparato a una iena?” mi ha chiesto chiudendo di scatto la copertina nera del suo taccuino.
“No, mai.”
“A cosa ha sparato, fino a oggi?”
“A dire il vero, a niente. Non ho ancora lasciato partire un colpo.”
“E perché?”
“Non ne ho avuto l’occasione.”
“In tutti questi giorni, con tutta la selvaggina che c’è?”
“Mai una volta.”
“Un bufalo, una giraffa? Una antilope?”
“No, niente. Ho avvistato tre nusbari, il secondo giorno, ma sono fuggiti prima che avessi il tempo di prendere la mira.”
“Capisco.”
“Ma, mi dica della iena.”
Fisi, la iena. E’ una bestiaccia. Ermafrodita, autofaga, divoratrice di morti, inseguitrice di vacche partorienti, è capacissima di staccarti un pezzo di faccia quando dormi. Triste cagna al seguito degli accampamenti, fetida, sporca, fornita di mascelle buone a spezzare le ossa che il leone ha lasciato.”
“Autofaga?”
“Mangia di tutto, anche il suo stesso sterco. Una volta ne ho colpita una a una decina di metri con due colpi di carabina Springfield. Ha cominciato a agitare la coda e a girare su se stessa, in cerchi concentrici, mordendosi e dilaniandosi, finché si è tirata fuori le budella. Allora, dopo essere riuscita a strapparsele, stava lì ferma a divorarle con gusto.”
“Che cosa orribile! Come ha potuto farlo?”
“Cosa, dice? Di sparare alla iena?”
“No, di rimanere li a guardarla mentre…”
“Mentre moriva? Amico, ogni animale muore a modo suo. Che sia un bufalo, un cobo o un leopardo, quando l’hai colpito con una pallottola 220 corazzata, quando gli hai messo dentro la sua morte nichelata, è lui che sceglie in che modo farla finita. Un leone muore da leone, una iena muore da iena, e questo è tutto.” Poi, prima che avessi avuto il tempo di dire qualcosa “Ora vado a dormire” ha tagliato corto. “Io amo dormire. La mia vita ha l’abitudine di cadere a pezzi quando sono sveglio, lo sa?” e mi ha lasciato li con i miei pensieri.


7 Febbraio

Strano animale davvero, la iena. Si nutre di carogne, è capace di mangiare il suo sterco e persino le sue budella, e questa notte mi sono svegliato di soprassalto udendo il suo urlo sghignazzante: ecco, forse a una bestiaccia così immonda sparerei volentieri anch’io, come ha fatto quella volta Mister H.
Ci rimangono solo tre giorni per cacciare, perché le piogge muovono sempre più a nord dalla Rhodesia e a meno di essere disposti a rimanere qui fino alla fine delle piogge, bisogna portarsi perlomeno a sino a Babati o a Kondoi, prima di trovarci in mezzo.
Dice mister Wilson che il 9 Febbraio è l’ultimo giorno buono per partire.
Mister Wilson non mi va a genio, invece mi piace un sacco questo Mister H: ha qualcosa di magnetico nello sguardo e sono convinto che mi farebbe bene frequentarlo.
Mentre ci incamminavamo verso i camion, accompagnati dai portatori, gli ho parlato apertamente
“Io non so se sarei capace di sparare a un nusbari così, a sangue freddo, e poi di rimanere lì a guardarlo morire.”
“Deve solo provarci, amico. Deve farlo, almeno una volta, e solo dopo potrà dire che cosa è stato veramente, cosa ha cambiato, in lei, il fatto di avere messo a segno un colpo.”
“Lei dice?”
“Guardi Mister Wilson: ha accumulato tanti trofei da non riuscire a contarli e ancora non è stanco di sparare a qualsiasi cosa si muova.”
“Sì, in effetti è vero. Mister Wilson è un grande cacciatore, e deve essere anche una persona di grande valore: mi diceva che ha frequentazioni importanti nell’alta società di Londra…”
“Io, se fossi in lei, non mi lascerei impressionare da questo.”
“Lei dice, Mister H?”
“Dico che è sbagliato giudicare un uomo dalle persone che frequenta. Giuda, per esempio, aveva degli amici irreprensibili.”
Sono convinto che Mister H. sia uno scrittore. Ama più ascoltare gli altri che parlare, osserva tutto con estrema attenzione e quando guarda qualcosa, il paesaggio, gli altri cacciatori, gli animali, lo fa con una luce strana negli occhi, come se l’impressione che ne riceve fosse in grado di cambiarlo, di modificare il suo essere.
A parte il fatto che lo vedo sempre più di frequente prendere appunti sul suo taccuino dalla copertina nera legata con un elastico sottile, ho l’impressione che riviva più volte, con gli occhi della mente, gli avvenimenti della sua giornata, come se tutto ciò che gli accade avesse una importanza enorme, per lui.
Oggi non è che un giorno qualunque di tutti i giorni che verranno” mi ha detto mentre abbandonavamo la strada per addentrarci nella macchia “ma ciò che lei farà in tutti i giorni che verranno dipende da quello che farà oggi.”
Penso che si riferisse alla caccia, in particolare ai dubbi che gli avevo espresso sulla mia capacità di sparare a un essere vivente così, a sangue freddo.
Comunque sia, è una frase che fa riflettere, e io ci sto rimuginando su da un bel po’ di tempo, ormai, mentre cammino nella foresta tenendo la canna del mio fucile appoggiata sull’avambraccio.
Ho deciso: la prossima volta che mi accadrà di avvistare un nusbari non starò tanto li a pensarci su:
non dovrò fare altro che inquadrarlo nel mirino e premere dolcemente il grilletto.
Il resto del lavoro lo porterà a termine il mio Remington.


8 Febbraio

Domani leviamo l’accampamento e partiamo.
Le piogge si stanno avvicinando molto più rapidamente di quanto fosse nelle previsioni.
Dice Mister H. che se annusi l’aria ne senti l’odore, che le puoi vedere venire avanti come disegnate su una carta geografica.
Questo che brilla stasera davanti alle nostre tende è l’ultimo fuoco acceso sul nostro Safari.
I portatori si sono radunati poco lontano dalla radura che ospita le tende, danzano e cantano in un modo che non avrei mai immaginato, seguendo quello che sembra un rituale gioioso e macabro allo stesso tempo.
Oggi Mister H. ha abbattuto un leone.
L’ha colpito vicino al fiume, in un tratto di savana dove l’erba era più bassa, trapassandogli la schiena da parte a parte con un colpo solo del suo 450 P2, e ora i portatori stanno dando vita a una specie di rito espiatorio sulla carcassa dell’animale, mentre noi conversiamo attorno al fuoco.
“Come è andata?”
La domanda di Wilson sembra quasi infastidire Mister H., che chiude il suo taccuino e comincia a raccontare, ma di malavoglia.
“Avevamo finito di attraversare un terreno piatto e boscoso, ed eravamo arrivati all’estremità della pianura, dove c’era solo qualche cespuglio e della sansevierie, quando abbiamo udito una tosse profonda, roca. Ho cercato con gli occhi il mio portatore: lui ha detto “Simba” e non sembrava per niente soddisfatto.
Wapi? gli ho sussurrato, dove? e lui ha fatto segno con la mano verso un isolotto di ispidi cespugli verdi. Mentre avanzavamo lentamente, cercando di vedere qualcosa attraverso la sansevieria, il portatore dava segni sempre più evidenti di nervosismo. “No” mi sussurrava impaurito “hapana, buana!” Era evidente che non gli andava affatto a genio che stessimo inseguendo un leone così da vicino.
Doveva essere il leone che avevamo sentito ruggire la mattina presto, uscendo dall’accampamento.
Noi avanzavamo e lui continuava ad allontanarsi lentamente; non riuscivamo a vederlo ma ne sentivamo la solita tosse roca e, più avanti, il brontolio sordo, profondo, impressionante.
Mentre noi lo inseguivamo il leone si allontanava, ma con lentezza. Evidentemente gli dispiaceva muoversi. Forse stava mangiando quando l’abbiamo sentito ruggire il mattino presto, e adesso stava riposando.
C’era una termitiera, davanti a noi; la scalammo, e dalla cima io mi guardai intorno.
Il leone era là, acquattato fra l’erba alta, un bellissimo esemplare di maschio con una folta criniera fulva. Sapevo di avere un colpo solo a disposizione, e che dovevo mirare al collo, per ucciderlo sicuramente. L’ho tenuto inquadrato per qualche secondo, fisso nel mirino e quando ha girato la testa da un lato, pigramente…”
“Ben fatto, Mister H.! Ben fatto!”
Non mi piace, questo Wilson, non mi piace per niente.
E’ vanitoso e strafottente, arrogante, pieno di sé fino alla boria, e per di più anche molto maleducato.
Non si interrompe in quel modo, proprio sul più bello, qualcuno che sta portando a termine un racconto così interessante.
“A me è andata anche meglio, sapesse!” ha continuato Wilson, impudente “Ho beccato sei kudu belli grossi, e una antilope che era una meraviglia! Una antilope, sei kudu e due kobo, e tutti centrati in pieno! Ah, lo Springfield: che arma!”
Mister H. sembra non reagire allo sgarbo; non si arrabbia, non si altera, non protesta nemmeno.
Mi guarda con quel suo sorriso triste, e un’aria di disapprovazione che, almeno questa, condivido con lui, e che entrambi sappiamo bene a chi è diretta.
“E il prossimo…” continua Wilson sempre più eccitato e tronfio “… il prossimo è un rinoceronte: giuro che non mi scappa, quanto è vero Iddio! Il rinoceronte mi manca! E’ un vero peccato che si debba levare il campo domani, e partire: se fossimo rimasti anche solo un altro giorno, sono sicuro che…”
Mister H. deve essersi stancato del blaterare vanaglorioso di Mister Wilson, perché non lo ascolta nemmeno più; scrive in fretta sul suo taccuino, smettendo di prendere appunti solo di tanto in tanto, giusto il tempo che gli serve per mandare giù una lunga sorsata di whisky.
E’ uno scrittore, ora ne sono sicuro. A cena l’ho sentito che parlava con Mrs. Garrick, la moglie di un cacciatore Inglese che si è aggregato al nostro gruppo all’ultimo minuto, e discutevano, appunto, di scrittori; li ho sentiti che nominavano Flaubert, Stendhal, Dostoievskij.
Dostoiewskij fu forgiato dalla Siberia” ha detto Mister H. alla bella signora “Gli scrittori si forgiano nell’ingiustizia come si forgiano le spade.”
Chissà cosa voleva dire.
Comunque sia, anch’io sono stanco di sorbirmi le fanfaronate di Wilson, e sto per andarmene nella mia tenda quando lui si rivolge proprio a me, con fare quasi irridente.
“E lei, Aldous: non ha niente di interessante da raccontarci?”
E’ la prima volta che si rivolge a me chiamandomi per nome: in dodici giorni non lo ha mai fatto, mai una volta, nemmeno per sbaglio.
“Possibile che in quasi due settimane di Safari lei non abbia avuto l’occasione, non dico di fare una cattura, ma nemmeno di sparare un colpo? Con tutto il ben di dio di selvaggina che scorrazza per il paese?”
Mi mette a disagio, questo stupido inglese borioso; non che io mi senta inferiore a lui, ma è il modo che ha di apostrofarmi, come se fosse sicuro che da ciò che gli rispondo avrà la conferma che io, rispetto a lui, non valgo niente.
“Non vorrà dirmi che si riduce a tornarsene a casa senza nemmeno un trofeo?”
Cerco lo sguardo di Mister H, quasi per averne una rassicurazione, ma lui continua a scribacchiare sul suo taccuino e a bere whisky, apparentemente disinteressato ai nostri discorsi.
“Ecco, io… in effetti proprio stamattina ho preso…”
“Un rinoceronte?” mi interrompe malamente Wilson “Non sarà che proprio lei che non ha mai sparato un colpo mi soffia la preda più ambita, e proprio l’ultimo giorno di Safari!” e sbotta a ridere in una risata fragorosa, smodata.
Una risata maligna.
Da iena.
“No, no. Ma che rinoceronte! Ecco, io volevo appunto dire… stamattina, vicino a una pozza d’acqua sul limitare della radura, ai piedi delle colline… ho preso due nusbari!”
Mister H sospende per un attimo di scrivere, e rimane lì ad ascoltarmi attento, con il suo taccuino aperto fra le mani; è proprio a lui che ho parlato diverse volte dei nusbari, in questi giorni, e dei dubbi che mi assalivano ogni volta che ne avvistavo uno.
“Due nusbari?” mi chiede Mister Wilson, come se cadesse dalle nuvole. “Mai sentiti nominare in vita mia! Si può sapere cosa sono, questi nusbari?”
Nell’attimo stesso in cui sto per rispondere capisco che non avrei dovuto farlo.
Voglio dire, di scaricare loro addosso la carabina, di centrarli mentre stavano cercando di fuggire nascondendosi nell’erba alta. D’altra parte, questo ultimo periodo della mia vita è stato tutto uno sbaglio: ho sbagliato a lasciare Jenny, a partecipare a questo Safari, a sparare addosso a quegli esseri spaventati che sono sbucati fuori dai cespugli all’improvviso, stamattina.
Guardo Mister H. che da parte sua mi scruta incuriosito, come se mi vedesse per la prima volta, e mi viene in mente quello che mi ha detto nel corso della prima cena che abbiamo consumato insieme durante il viaggio che ci ha condotti qui, in questo remoto meraviglioso fazzoletto di Africa: “Dobbiamo abituarci all’idea: ai più importanti bivi della vita, non c’è segnaletica.”
“Sì, Aldous, ce lo dica, sono curioso anch’io: che razza di animali sono questi nusbari?”
“Non lo so nemmeno io, o almeno non sono sicuro di saperlo. Sono fatti in modo strano, piccoli e neri; spuntano fuori all’improvviso dai cespugli, terrorizzati, agitano le braccia come degli ossessi e non fanno che gridare Nusbàri, nusbàri!!”

9 Febbraio

Leviamo l’accampamento, oggi si parte.
Un po’ mi dispiace, perché cominciava ad appassionarmi questa cosa della Caccia Grossa.
Ieri sera, quando ho finito di raccontare dei nusbari, Mister H. è rimasto per un attimo come paralizzato, poi ha chiuso di scatto il suo taccuino dalla copertina nera, lo ha assicurato con l’elastico e se lo è infilato nella tasca anteriore della giubba da cacciatore.
Si è alzato dalla sedia e se ne è andato senza dire una parola.
E’ stato un vero peccato perché mi avrebbe fatto piacere scambiare quattro chiacchiere con lui, prima di andare a dormire.
Mi sarebbe piaciuto, per esempio, chiedergli dei pigmei, se è vero che non sanno come accendere il fuoco, così lo tengono costantemente acceso, trasportando durante gli spostamenti dei tizzoni di brace all’interno di certe pignatte di terracotta.
E poi, volevo metterlo a parte di un dubbio, di una domanda che mi è venuta in mente pensando alle cose interessanti che mi aveva raccontato, lui che è scrittore, della iena.
La iena, appunto, questa bestia che, dicono, viva in solitudine e abbia l’abitudine di accoppiarsi una sola volta l’anno, che si nutre di carcasse e mangia il suo sterco, che è persino autofaga e capace di divorare le sue proprie budella; fetida, sporca, Fisi la iena che riempie il silenzio della notte con la sua oscena, agghiacciante risata, un animale che fa una vita così, io davvero me lo chiedo: cosa avrà mai da ridere?
Mah!

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