giovedì 14 luglio 2011

TRAPASSO DISTRATTO

un racconto di Valentina Renzi


«Più che altro, a stupirla, era stata la naturalezza con cui lo aveva fatto. Mentre saliva di sopra, ci pensava e pensava a come sarebbe stata la sua vita, in futuro, da quel momento in poi. Diversa, migliore o peggiore, forse… ma senz’altro diversa»   (C. Lucarelli)

E, adesso, dopo aver aperto la porta si ritrovava per l’ultima volta in casa sua. Sarebbe stata l’ultima volta, perché niente di quel passato le sarebbe più appartenuto. Ogni congedo scava sempre dentro un po’ di amarezza ed ogni morte fa versare qualche lacrima per l’impotenza di aver lasciato qualcosa a metà, ma in lei, in quel momento, nessuno di questi sentimenti adombrava il minimo rimpianto, né la induceva a rimorsi. Sì… gli occhi le si fecero caldi e umidi, e le mani le stavano tremando come fossero elettrizzate, ma, allo stesso tempo, ogni pensiero si scioglieva goccia a goccia in quell’istante che assomigliava all’eternità da poter vivere di nuovo, ma in  modo del tutto ignoto e imprevedibile. Quell’istante aveva il sapore acerbo e irresistibile di una folata di vento, venuto da lontano - come un amante sconosciuto - a portarti per mano verso una nuova stagione, una nuova pienezza. Neppure le pareti, quelle pareti spesse e basse, assomigliavano più ai confini di una gabbia: guardando il soffitto Laura non si sentiva più soffocare. Tutto, attorno a lei, si stava sbiadendo e stava perdendo consistenza: era come se le sue mani stessero aderendo alla buccia - morbida e scivolosa - di una bolla di sapone e tutto quello che aveva vissuto fino a quel momento si stesse riducendo ad una frase tra parentesi, un concentrato superfluo che, tutto sommato, si sarebbe anche potuto cancellare per scrivere qualcosa di migliore e di più disteso.
In quello stato di estasi e incredulità, Laura si stava dirigendo nella stanza in cui amava trascorrere la maggior parte del tempo. Nel trapasso, quasi involontariamente, si sofferma di fronte allo specchio. Per la prima volta, in quei pochi minuti, la ragazza guardò realmente il proprio volto e trovò un contatto sincero con il proprio sguardo: l’ovale, che contornava i lineamenti regolari del suo viso, era stato rovinato, rosicchiato. Ad infliggerle quello sfregio crudele non erano stati i segni del tempo, ma alcune ferite simili a morsi. Fu in quel momento che Laura si rese conto di aver vissuto, per anni, come immersa in un acquario popolato da pesci voraci e indifferenti: a ognuno aveva dovuto sacrificare un pezzo di sé e a lei – di se stessa – non era rimasto che l’osso.
Dopo che la folgore di quella rivelazione spense il proprio fragore, Laura entrò finalmente nella sua stanza preferita, la stanza nella quale poteva lasciar scivolare via il tempo, libero. Era una piccola stanza senza arredi e quasi del tutto spoglia, a parte alcune tele e qualche pannello rimasto abbozzato, sui quali vigilavano una tavolozza variopinta e alcuni pennelli. A terra, in un altro angolo della stanza, giacevano una piccola polaroid e un album fotografico sfogliato, ma ancora da ultimare; al loro  fianco alloggiava anche una piccola pila di fogli scribacchiati disordinatamente e tenuti insieme da un vecchio laccio. Laura era molto affezionata a quegli oggetti. Anche se erano vecchi, malandati e del tutto inutili, lei li amava: per lei erano così vivi, così pieni dell’energia di cui pulsavano le sue emozioni e della freschezza della sua fantasia. Da sempre erano i testimoni silenziosi e segreti di tutta quella sua vitalità, alla quale gli altri non avevano mai prestato la minima cura, e che, probabilmente, non sarebbero stati neppure in grado di cogliere. Quegli oggetti e quella stanza erano tutto il suo mondo, tutta la sua vita: gli occhi, il cuore, la mente del suo regno…e adesso…anche quei tesori Laura avrebbe dovuto abbandonare al nulla? Laura esitava e non sapeva se lasciare tutto lì, così, intatto o portare qualcosa con sé… probabilmente se la polizia fosse venuta a perlustrare quelle stanze avrebbe potuto trovare alcuni indizi e cominciare a dar corpo a qualche sospetto, e poi, anche le altre persone avrebbero messo in moto i propri pensieri. Ma, ormai, Laura era libera e non le importava più nulla né dei giudizi, né di quegli alibi altrui che le avevano sempre attribuito un non so che di incomprensibile e irrimediabile...Diede un’ultima occhiata al proprio regno e prese qualcosa da portare con sé, il pezzo più bello della sua vecchia vita e corse via, incurante. Non si accorse di quel grumo di sensazioni appallottolate che lasciò cadere dietro di sé, oltrepassando l’uscio, né concesse la minima esitazione a quello che gli altri avrebbero potuto desumere mettendo insieme i pezzi sconnessi di quella strana vicenda. Tutto sarebbe partito da quella bicicletta ritrovata vicino al fiume, ruzzolata giù, lungo l’argine brullo che affianca il corso d’acqua: un’intera vita anagrafica era stata annullata da un gesto impulsivo, esasperato, eppure non sarebbe stata ritrovata nessuna traccia di sangue dell’ipotetica vittima, nessun indumento o resto, neppure  una vittima vera e propria…e quella ragazza misteriosamente scomparsa? Le indagini sarebbero partite probabilmente da questi elementi, ma fin dove sarebbero potute arrivare…? Le persone che avevano conosciuto Laura, si sarebbero piegate al dubbio  di fronte a quell’evidenza tagliente e, allo stesso tempo, imperfetta, rimasta incompiuta per via di alcune incongruenze. Tacitamente attonite, si sarebbero arrese e, forse, le avrebbero sacrificato qualche pensiero dalla patina opaca, riservato un angolo delle loro coscienze: avrebbero avvertito un po’ di impotenza, inghiottito un po’ di miseria. Negli anni a venire, passando su quella strada e rivolgendo lo sguardo a quel lato del fiume, avrebbero avvertito la memoria contrarsi, come una cieca nemica strattonata da un filo senza capo. Udendo il suo nome si sarebbero ricordati di aver conosciuto un’altra ragazza chiamata Laura: candidamente bella, mite, immobilizzata in un’indole remissiva, assomigliava a una perla imbrigliata in una ragnatela.  Un giorno ella svanì - improvvisamente e lievemente - come un velo di vita. Allora, forse, si sarebbero sentiti loro gli assassini distratti di quella ragazza solitaria e strana, dallo sguardo triste e evanescente, sempre sospeso altrove. Quella ragazza, che sorrideva gentile e parlava poco, non era riuscita a trovare orecchie e cuori disposti ad ascoltarla, né qualcuno in grado di regalarle un’emozione che respirasse ariosa come un battito d’ali.  Quella ragazza, ogni sera, si addormentava con un nodo alla gola mentre le mani le scivolavano lungo la parete, nel vano tentativo di allontanarla. Laura, che si era sempre un po’ uccisa per gli altri, aveva deciso di rinascere solo per essere riconoscente a se stessa.

Su un bigliettino stropicciato - ritrovato vicino all’uscio di casa - la giovane aveva appuntato alcune parole: 

«In questo deserto di pura luce, il cielo è il mio tetto, la luna il mio letto e la voce dell’acqua la mia ninna nanna. Una stella mi fa compagnia e guarda tutto dall’alto, insieme a me. Il silenzio e la pace rendono piccoli i rumori della vita e fragili i brusii dei pensieri. È un istante sottile questo momento, un tratto crudo di matita che ha scalfito il passato e ha lasciato un’impronta sulla strada di domani.»

 

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