lunedì 27 giugno 2011

La poetica del Sublime nell’opera artistica di Gerry Turano

di Antonella Catini Lucente (nota critico-poetica readatta in occasione della recente pubblicazione della monografia su l'opera di Gerry Turano, edita da Giulio Perrone nella nuova colla d'arte  VENTI-VENTUNO


  “seggo tremante, giorno e notte i miei amici si stupiscono di me,
ma perdonano le mie fantasticherie. Io non ci rinuncio al mio grande
compito
di aprire i Mondi Eterni, di aprire gli occhi immortali
dell’uomo ai Mondi del Pensiero e dell’Eternità
All’Umana Fantasia Che sempre si espande nel Seno di Dio”
(William Balke, Jerusalem)


Al principio era il Segno, e il Segno era presso Dio, e il Segno era Dio.
Al principio era  il Segno  – “ il mio primo disegno che io ricordi ritraeva un amico di famiglia , simpatico e abbondante” – scaturito spontaneo da cellule giovani  e da sinapsi fluide , ancora in cerca del connettore.
Un Segno dotato di una sua propria vita, pre-existita,  e che si sarebbe palesato, scaturendo dalla  apparente casualità del Caos,  in una nuova, inaspettata, sempre esistita Epifania “nulla è più sorprendente di scoprire come possa mutare in corso d’opera la forma di un modello immaginato, come possa condurti verso altra conoscenza. Conoscenza già esistente , probabilmente , che tuttavia non si sa di possedere”.
Un Segno , strumento e fine  allo stesso tempo,  di un misterioso quanto estatico “ viaggio iniziatico”, durante il quale , come trasportato su  canoa inconsapevole, l’autore tramuta il magma di una coscienza in formazione in un Cosmo di  significanti chiari  , specchi fedeli di profondità che si mostrano  via, via ;  significanti perfetti nel compimento del  processo di mimesis dal “ Nulla al Tutto”.
Al principio era il Segno, e il Segno era presso Dio.  
Prima della Creazione era la Perfezione. Prima dell’Azione era la Quiete. Ma l’atto creativo, necessario creatore di sé stesso, fin dalla sua scaturigine e per sua stessa essenza, compie la dissoluzione dell’Unità, attua la separazione di ciò che era “Intero” , bastante a sé stesso nell’assenza di desiderio, nella quiete assoluta, nella primordiale  e perfetta congiunzione di Uno e Molteplice. E lo fa obbligato da una Forza fatale tesa al ricongiungimento con l’Armonia del Principio:  dal Caos immanente,  prima dell’intervento ispirato dell’artista,  al regno dell’EDEN , non più che una sublime  ricomposizione ad Unità, la Terra promessa cui l’Arte ci conduce.
“Bisogna prendere in considerazione la scandalosa possibilità, sosteneva Theodore Roszak in La nascita di una controcultura , “che laddove l’immaginazione visionaria aumenta il proprio splendore, la magia, questa antica antagonista della scienza, si rinnovi, tramutando la nostra banale realtà quotidiana in qualcosa di più grosso forse di più pauroso, certamente di più avventuroso di quanto potrebbe mai comportare la ristretta razionalità della coscienza obiettiva”
È per questo che ogni processo creativo porta in sé la tragedia della ricomposizione, l’angoscia del “ ritorno” al Principio, la martellante e pur sublime tensione alla ricongiunzione di quell’incipit ignoto , a volte, fino al termine del percorso.  
Dice Turanonell’opera d’arte – se non vi è finzione – tutto si Manifesta. Anzi, accade qualcosa di più: in essa matura una nuova indole inaspettata, alla fine è sempre differente da come viene pensata e progettata”.
Una dichiarazione,  insieme, della insignificanza dell’uomo e della sua similitudine al divino; la constatazione di  assistere al compimento del proprio destino artistico come una sorta di spettatore – demiurgo,  strumento della Epifania di sé stesso , che assiste e si fa scalpello della maturazione di una nuova indole inaspettata; meravigliose parole che mostrano una profonda  convinzione : l’opera d’arte ha una sua propria vita che l’artista non fa che far emergere; una vita pre-esistente che sembra scegliere , nell’incarnarsi nel Figlio, il Predestinato; il Salvatore. Colui che, solo, potrebbe come nessun altro,  compiere il processo unico di disvelamento. E  così il Genio poetico, l’artista, nel loro creare si fanno  Profeti divenendo le loro Visioni epifanie di Verità che, attraverso un processo di benefica contaminazione,  possono essere consegnate agli uomini meno ispirati.  Un disvelamento che strappa, appunto, il “ Velo” (VALA, nella teofania di Blake, intesa come natura, superficie, involucro del mondo),  che squarcia le tenebre, che genera la Luce. Che , come dice l’artista, “mostra qualcosa che non si conosceva e che rivela, in qualche modo, all’artista stesso , aspetti sconosciuti della sua stessa personalità: una perfetta  consonanza con le parole di  W. Blake (“tutte le cose esistono nella Fantasia umana”,  Jerusalem, 69:25)  che,  parlando della sua  Jerusalem, affermava di aver composto il Poema “dietro immediata Dettatura (…) senza Premeditazione e anche senza Volerlo (…)  senza Travaglio o Applicazione” ( lettera all’amico Thomas Butt, 25 aprile 1803), intriso in quella  Visionarietà che partecipa della condizione dell’Eterno, in totale dissoluzione delle categorie di  Tempo e  Spazio.
La creazione artistica, nel percorso di Gerry Turano  è l’unica forma di conoscenza della Verità – “nutrire il desiderio di libertà (Verità)  e non ho altri strumenti, oltre l’arte”, a cui si abbandona consapevole che “Altri” ne detengono le chiavi e che pervenire ad essa è possibile solo attraverso l’ingresso nel mondo divino della Fantasia; non sarà allora il tirannico URIZEN, incarnazione della fredda e limitata ragione e dell’astratta speculazione, ma URTHONA , con l’aiuto di LOS ( custode della Visione) a ricondurre l’artista all’EDEN primordiale  perduto dopo la Caduta;  Eden a  cui si perviene nella ricomposizione delle antitetiche  e  apparenti  scissioni.
Il compimento del percorso si snoda così, in un tempo immobile e dinamico e   in uno spazio illusorio e ingannatore, tra LOS ed ENITHARMON, nello  stupore dello stesso creatore che, come condotto da Qualcuno, ritrova il sé stesso “originario”, quel sé stesso che era stato stabilito egli fosse e, insieme, si fa rivelatore di un mondo che, come ordinato al principio, solo lui avrebbe potuto rendere manifesto: “i moti dell’anima prendono forma su una semplice idea iniziale per svilupparsi in modo proprio e spesso inatteso . Nulla è più sorprendente di scoprire come possa mutare in corso d’opera la forma di un modello immaginato , come possa condurti verso altra conoscenza (coscienza)”.
In tal modo l’Atto Creativo dell’artista si fa emanazione, cogliendo la Parola che Dio pronuncia a Sé stesso, della Suprema Energia Creatrice che contiene, essa sì, Ragione e Intuizione in armonia perfetta.
Così l’Uomo è dotato di una Forza sacra  che, manifestandosi nella creazione artistica, si palesa in quanto emanazione di un Creatore “ altro da sé “ che si manifesta all’artista   quando  quest’ultimo si sorprende a “ dire / fare”  cose che travalicano la sua stessa intenzionalità cosciente.
L’uomo, nell’atto creativo artistico, si fa demiurgo dei primordi e inconsapevole strumento del divino che lo risolleva dalla “Caduta “ caduto , e lo affranca dall’illusorietà  delle proprie percezioni materiali, riconducendolo a quello Spazio-Tempo antecedente alla “Separazione”: “nulla è più sorprendente – dice Gerry Turano – di scoprire come possa mutare in corso d’opera la forma di un modello immaginato , come possa condurti verso altra conoscenza (coscienza)”:  una Palingenesi dell’ uomo caduto che si compie attraverso stadi successivi di coscienza e creazione , allo stesso tempo ineluttabili e volontari.  
Non solo l’arte si fa in tal modo  rivelatrice al suo autore, come dice Turano,  degli  “aspetti sconosciuti della sua stessa personalità” ma, ben più universalmente, svela  i segreti ultimi, i mondi occulti, gli universi celati a chi ha occhi bendati; palesa e morbidamente scopre , diffondendosi ed espandendosi, gli archetipi comuni ai figli dell’Uomo e si fa palingenesi incarnata nel Segno:  “gli antichi non intendevano fingere quando professavano di credere nella visione e nella rivelazione . Platone era in buona fede e così Milton: essi credevano veramente che Dio visitasse l’uomo” (W. Blake).
Il percorso , come lo stesso artista riferisce,  è obbligato: “il mio unico scopo è nutrire il desiderio di libertà e non ho altri strumenti, oltre l’arte , che mi consentano questo”.
Desiderio di libertà da intendere, nel percorso di Gerry, come desiderio di conoscenza; la libertà che possiede solo chi, compenetrato nella logica ultima delle cose, nulla più desidera , perché nel non avere, tutto possiede.
Libertà è qui Verità , quella Verità che “ vi farà liberi “ . Quindi, nel riferire la libertà alle sue forme espressive che il tempo ha mutato,  si evoca , in realtà,   una libertà  consustanziale all’Essere, immanente e trascendente allo stesso tempo , mezzo e fine , strumento e telos.   Una libertà il cui possesso passa per dirupi e burroni, struggimenti e abbandoni, estasi e deliri, intuizioni e cedimenti;  in un’ alternanza ininterrotta che vede l’artista  recitare la doppia parte di   carceriere e prigioniero, implacabile custode e sofferente mendicante , sempre in bilico tra il baratro irresistibile e la risalita dagli inferi.
E così sembra essere il percorso di Gerry Turano : una catarsi permanente che si snoda da un ante ad un post,  in un inarrestabile e congiunto processo di costruzione e distruzione, di obnubilamento e svelamento, di improvvisi chiardiluna e inaspettati dirupi : “ semplicemente mi volgo indietro per osservare i frammenti abbandonati della mia evoluzione”, dice l’artista.
 Quasi un guardare sé stesso , alla sua interiorità ; così le SCORIE , i FRAMMENTI abbandonati nelle sue vecchie tele , sulle sue vecchie carte , non sono solo i residui antichi di un gesto superato, ma sono , allo stesso tempo, le scorie e i  residui della sua anima ; quei residui e quelle scorie che , solo esistendo e solo abbandonando volgendosi al futuro, consentono l’ascesa verso la Verità/ Libertà che chiama l’artista.
E’ fatale l’abbandono dei ciottoli che ci hanno consentito di percorrere il cammino , che abbiamo raccolto lungo la strada, che abbiamo amato, carezzato, posseduto, che ci hanno ferito  ; è fatale lasciare al loro destino le nostre creature artistiche ; le creature più amate che,  tuttavia  , solo l’abbandono fa diventare parte insolubile dell’ anima:  SCORIE  che si fanno gemme, RIFIUTI  da cui nascono fiori . “ Ciò che appare rottame, disgregazione della forma, disintegrazione di unità , può essere in realtà naturale scoria di costruzione”. Un cammino che si snoda in quel Nulla che ci sovrasta , ma che all’artista appare “ zeppo di roba”;  un Nulla –Pieno la cui pienezza è nostro dovere e nostra sublime estasi cercare.
In una percorso maieutico mai stanco, riguardato con l’occhio rosso  del veggente  , Gerry Turano scava nei cunicoli più reconditi del dubbio , tranquillizzato dalla venuta messianica di “ una nuova fase che deve ancora comprendere” : il Messia arriverà , perché forse è già tra noi ! dubbio che l’artista scioglie nell’unico liquido a lui consentito, abbandonandosi  al solo processo alchemico a lui congeniale : l’Arte .
Inequivoche e  apocalittiche  le sue parole : “ Le mie opere , prima  o poi, mi riveleranno chi sono davvero”. Quel  dubbio , oggi esistente, è condizione essenziale per avvicinarsi alla libertà e che , nel suo ontologico dualismo , si ricompone nell’armonia delle apparenti contrapposizioni quando ci si avvicina “ alle porte della percezione”, come magicamente Aldous Huxley definì l’ingresso nel mondo delle visioni, nel mondo degli stati extra-ordinari  della mente.
Significativo, a tal proposito, ciò che risponde Turano alla domanda “ figurativo-astratto; monocromo-colore; luce –ombra; costruzione –distruzione ; ti riconosci in questo schematico elenco di contrasti”? ; “ di ognuna di queste contrapposizioni sembra che io abbia sperimentato entrambi gli aspetti”,  e poi continua:  “Ombra e luce, l’una è espressione dell’altra. Se l’ombra è protagonista dell’opera d’arte , in realtà stiamo celebrando la luce , scoprendo la positività della sua posizione oscura : è un’esortazione  ad approfondire la conoscenza di ciò che semplicemente appare. Un ansito volto ad andare “ Oltre” ciò che Maia ci consente ingannevolmente di vedere. 
Siamo di fronte alla  consapevolezza profonda che la Verità non si dà assiomaticamente, compiuta e definita in un’unica epifania, che non esistono,  nel percorso  artistico – filosofico apodittiche convinzioni  ( che,  in quanto tali, varrebbero e durerebbero lo spazio di un istante) , ma , al contrario,  si postula un dinamismo intellettuale in cui pensiero e espressione artistica congiuntamente si volgono verso la trascendenza che supera l’effimero e  che travalica l’ingannevole  compenetrandosi  con la superiore armonia.  
Quanto sopra rilevato è manifesto in ogni parola , disegno, scultura, quadro dell’artista , dove mai si percepisce un obbligatorio percorso interpretativo  univocamente dato e univocamente percorribile, assiomaticamente imposto e definitivamente manifesto.
Il segno, e la sua potente evocazione significante , incarna in sé la potenzialità della pluralità delle interpretazioni , attraverso cui a chi guarda è consentito, in una sorta di rivelato “ libero arbitrio”, leggervi ogni possibile contenuto,  riguardato e generato dalla libera interpretazione del “ lettore”.
Un’arte moltiplicante, indulgente, replicante, libera; un’arte che non ha la pretesa di dettare incontrovertibili sensi , inoppugnabili valori , ma che , nella sua permanente vitalità tesa al trascendente , si mostra  immediato viatico di appartenenza alla Molteplicità.
Un’ellissi, dove il centro è unico , ma la distanze mobili da cui il centro si guarda fanno sì che detto centro si riproduca e diffonda in infinite essenze iconografiche, ricca ognuna di esse, di infiniti messaggi.
Fondamentale a tal proposito la poetica della Luce di Turano e le sue “ OMBRE” .
Le ombre, nelle infinite proiezioni che un medesimo oggetto può replicare, divengono oggetti esse stesse. L’ombra non è , così , il replicante invisibile di altro da sé, l’ospite obbligato stretto a ceppi al suo carceriere, il secundus , l’esule , il figliol prodigo; L’Ombra è la prima , la più vera protagonista nella Verità: perché molteplice, non statica, compenetrata nel suo contrario , viva proprio grazie ad esso: la Luce.
Immediatamente è richiamato alla mente il “ contraria sunt complementa” , l’eterno scorrere eracliteo – e le parole “ciò che si oppone converge,  e dai discordanti bellissima armonia” , in un  il panteismo compiuto nella conciliazione sottesa a tutte le apparenti opposizioni ,  dove si attua  “ il matrimonio del Cielo con l’Inferno”.
Ritroviamo nelle parole dell’artista e nello svolgersi della sua poetica l’antica  dialettica platonica, le propaggini neoplatoniche  , le intuizioni di  Swedenborg e Jakob Bohme: “l’uno, il Sì, è puro potere, è la vita e la verità di Dio, o dio stesso. Dio però sarebbe inconoscibile a Se stesso e in Lui non vi sarebbe alcuna gioia o percezione , se non fosse per la presenza del “ no”. Quest’ultimo è l’antitesi, o l’opposto, del positivo o verità ; esso consente che questa divenga manifesta , e ciò è possibile solo perché è l’opposto in cui l’amore eterno può divenire attivo e percepibile “ (J. Boheme, questioni filosofiche,III,2).
Ma anche, in un coinvolgimento cosmico del pensiero , il taoismo orientale “Se si vuole restringere, bisogna ( innanzitutto) estendere , se si vuole indebolire , bisogna ( innanzitutto) rafforzare. Se si vuole far perire , bisogna ( innanzitutto) far fiorire” ( LAO-TZE),  in un’armonia quieta,  disciolta e caleidoscopicamente palesata  nel pensiero dei Grandi.
Un’arte di luci e Ombre, di forma che è sostanza – “nella vera arte la forma è sostanza”- dice il Maestro Turano,  perché   la “sostanza”  si incarna nella forma  e la trans - forma, in un ininterrotto processo alchemico, in “Forma sostanziale”, in  oro rosso, in permanente Rubedo. 
Un’arte di Pensiero e  Parola;  quella Parola impressa a fuoco nelle lettere , anch’essi segni, vivo archetipo di  significati occulti , rinascita e rinnovamento della tradizione cabalistica del linguaggio (Gershom Scholem.
Un’Arte ricca di significato, nutrita di segni , cibata di mistero, di alchimia, di occulto, di dubbio, di ricerca, di tensione,  di deriva, di armonia, di svelamento, ma anche di certezza, quella che l’artista ha già trovato, quella che non smetterà di  cercare.

Roma, 18 giugno 2011

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