I PARTE
Ricordo che qualche tempo fa lessi, su un quotidiano nazionale, l’intervista al grande compositore Paolo Conte, autentico talento musicale nonché abile paroliere. Gli fu chiesto come mai in un’epoca durante la quale, molti fra i personaggi pubblici speculano sulla propria popolarità improvvisandosi scrittori, uno come lui, che in anni di fulgida carriera aveva palesato indiscutibili capacità espressive, non avesse mai pensato di proporsi anche in narrativa. Egli, molto sinceramente e con grande modestia, dichiarò che ognuno ha le sue autentiche predisposizioni, da identificare e da far convergere coerentemente alla propria matrice artistica. Precisò inoltre che un suo ipotetico esperimento, probabilmente franerebbe tra un buon inizio e un bel finale; riconoscendo dunque che il vero problema, sarebbe stato quello di riuscire a mantenere la tensione nella parte centrale dell’opera, ma anche di non perdersi nel dedalo di opzioni che raccordano gli estremi della stessa.
Ecco che le caratteristiche innate, portano ad affinare una specifica forma espressiva, e pochissimi sono coloro che riescono ad abbracciare ogni branca artistica senza forzature. Ci vuole quindi onestà intellettuale nel riconoscere questi limiti “fisiologici” ed umiltà per dedicarsi unicamente a un’attività mirata, sulla base delle proprie peculiarità artistiche e del proprio retaggio culturale.
Anche il cantautore romagnolo Samuele Bersani, durante un’intervista televisiva, confidò senza false reticenze al critico e al pubblico, che era idea diffusa nell’ambiente artistico, riconoscere nelle sue canzoni, testi particolarmente affini al poetare, liberando banalmente i suoi brani dal vincolo musicale.
Gli chiesero dunque se si vedesse nelle vesti del “vate moderno”. Egli replicò smentendo ogni appartenenza a quel genere, anche se ammetteva di scrivere utilizzando schemi molto metaforici, determinando così uno stile espositivo tipico di alcuni poeti.
E ancora, il leggendario De Andrè, incalzato a proposito delle stesse tematiche e sugli stessi dilemmi di identificazione artistica, ironizzò ricordando come sia radicata l’idea di definire poeta il giovane autore che si atteggia romanticamente alla pratica del verseggiare, mentre “cretino” chi si ostini pedissequamente a poetare nonostante la raggiunta maturità anagrafica. Proprio sulla base di questo preconcetto popolare, confidò che, per non saper né leggere né scrivere, preferiva riconoscersi nella figura di musico e paroliere (cantautore), onde evitare di venire bollato come “vecchio e cretino”.
Io, che umilmente ho percorso entrambe le esperienze artistiche, anche se in forma dilettantistica, posso confermare che effettivamente l’analogia fra paroliere e poeta esiste davvero, anche se i vincoli cui devono assoggettarsi i due creativi, sono diversi. Il cantautore infatti, deve rispettare i tempi medi di una canzone (circa 3-4 minuti) e preferibilmente parlare un linguaggio facile, essenziale, condito di qualche rima ed incisi accattivanti. Il poeta invece non ha teoricamente limiti di lunghezza e apparentemente nemmeno di metrica (diversamente da un tempo), dunque è fondamentalmente più libero di esprimere le proprie emozioni senza paletti spazio-temporali. Il testo di una canzone inoltre, viene veicolato tra i binari fissi di una melodia, che agevola fortemente il trasferimento del messaggio a vantaggio di chi ascolta. Il poeta, deve invece incantare con la sola arma del linguaggio, quindi dovrà in tal senso, mostrarsi più efficace ed intenso.
Il “predicare” del cantautore inoltre, non è un’imposizione, ma soltanto una libera scelta d’impostazione professionale (vedi autori impegnati degli anni 70-80) che ogni artista si ritaglia, creando un personaggio ben preciso, figlio della propria vena artistico-comunicativa; ma che sia quest’ultima scanzonata o all’opposto virtuosa, il messaggio trasmesso dal “personaggio” arriverà a una tipologia di pubblico certo diversa ma comunque ricettiva. Il poeta, viceversa, da sempre schivo, non si rivolge alla massa, ma ad una nicchia culturale di devoti, che pretendono un certo impegno letterario e intellettuale. Ecco che allora, mentre in alcuni casi, i testi di alcune canzoni possono assomigliare a formule poetiche, in altri, i due ruoli, sono indiscutibilmente distanti, sia come origine creativa, sia per la diversa fruibilità del messaggio trasmesso. Ultimo appunto, ma non ultimo, è la diversa “tendenza” nel presentare i due tipi di opere, che distingue l’approccio mediatico dei due autori, collocandoli in opposizione l’uno all’altro. Il cantautore è notoriamente più esplicativo e ama spesso introdurre ogni canzone con lunghe chiose, mentre il poeta, tende a trincerarsi dietro un linguaggio ermetico, se vogliamo anche ambiguo, ma pregno di caratteristico mistero. Quest’ultimo, lascia dunque al lettore la propria intima e libera interpretazione, che rende ancora più suggestiva la comunicazione espressiva.
… ovviamente, sempre e soltanto in base, alla mia personalissima opinione;
lieto di essere ancora assieme a voi, con le prossime riflessioni." Piero Saguatti
Segue nel prossimo numero di “Parole”…
II PARTE
Riprendendo il tema delle affinità che legherebbero il poeta al paroliere (o cantautore), sospeso nell’ultima edizione di “Parole”, aggiungerei quanto segue.
C’è un dilemma al quale molti di noi hanno dedicato particolare attenzione, e tale da giustificare una riflessione analitica, in grado di produrre qualche risposta concreta:
“esiste una correlazione effettiva fra il poeta e il paroliere, ossia un filo sottile che lega assieme queste due figure artistiche, alle volte apparentemente complementari, altre volte assolutamente distanti?”
Ruoli diversi determinano una demarcazione netta, che magari invero non esiste, infatti le loro ispirazioni provengono dal medesimo crogiuolo di emozioni, inoltre mostrano affini peculiarità artistiche, anche se contestualizzate in ambienti diversi. La mia idea, segue effettivamente quest’ultima teoria, ovvero tende ad avvicinare più di quanto il mercato non mostri, le caratteristiche di un paroliere o cantautore, a quelle del poeta, pur ammettendo uno sviluppo tecnico ben definito e specifico nei due casi.
Diciamo allora che lo spirito fertile ed evocativo dal quale sorgono le ispirazioni, è accomunato da una stessa romantica matrice, dalla medesima sensibilità, supportata da un’oggettiva predisposizione espositiva.
Espressioni tecnicamente discoste le loro, ma fondamentalmente simili nella sostanza; la forma e lo stile devono assoggettarsi ad un linguaggio tipico del proprio ruolo d’appartenenza. La metrica o il verseggiare impongono una determinata tecnica espositiva, mentre la musica convoglia inevitabilmente, lungo un preciso asse emotivo, tracciato dall’aria della melodia.
Entrando nel merito dell’analisi e articolandola maggiormente, trovo che l’evoluzione culturale abbia rimodellato i vecchi canoni, dando altra linfa sia al mondo della canzone d’autore che a quello del poeta, liberandoli finalmente da regole opprimenti e vetuste. Il poeta si è staccato dalla rima maniacale, per raggiungere un’indipendenza stilistica, foriera di nuove realtà artistiche davvero interessanti. Il paroliere, parimenti, ha trovato nuove dimensioni, affrancandosi da censure antipatiche d’altri tempi, potendo così contare sulla pressoché totale libertà di pensiero e su un linguaggio “volgare” maggiormente consono al contemporaneo parlato. Se vogliamo, il poeta non potendo contare sui paralleli benefici di un efficace impatto musicale, che sostengono ed amplificano il messaggio emotivo coinvolgendo altri sensi, ha come unica arma, la capacità di stupire attraverso un linguaggio particolarmente evocativo, capace di far leva sull’effetto ammaliante della fluidità espositiva. Di contro il paroliere, deve comunque adattare il testo alla melodia e alla sua ritmica, che da un lato facilitano l’ascolto, dall’altro costringono a una forma già abbozzata, in grado cioè di sposarsi “all’aria” dettata dalla musica.
“Parole ed emozioni” sono i medesimi ingredienti per entrambi i ruoli artistici dunque, ma con un’unica vera discriminante, ossia la musica, che però, guarda caso, viene costantemente ricercata anche nel poetare, attraverso l’effetto dei versi, che si sciolgono anch’essi in suggestive impressioni melodiche.
Per concludere questo “excursus” che ha richiesto uno sviluppo su ben due numeri di “Parole” per potere esaurire sufficientemente il tema affrontato, aggiungo che non si può prescindere dal “complemento interpretativo”, fortemente legato alla capacità di intrattenimento mediatico.
A mio avviso, le due figure artistiche sono spesso assai distanti (ma non sempre), e comunque entrambe devono garantire una buona dose comunicativa, tale da renderle accattivanti alle platee, sino a trasformare i due diversi interpreti in veri e propri fenomeni istrionici, capaci di calamitare l’attenzione.
D’altronde il carisma, è forse la principale peculiarità che contraddistingue i cantautori e tutti coloro che in genere, sono chiamati a calcare i palcoscenici, cosicché nel caso specifico musicale, gli stessi “procuratori” sono maggiormente attenti al “personaggio” da promuovere, prima ancora di assicurarsi la fondatezza delle sue qualità latenti. La peculiarità istrionica invece è molto meno determinante per il poeta, che nella maggior parte dei casi, viene letto in privato e molto raramente lo si critica o lo si apprezza anche per le sue doti interpretative. Per quest’ultimo, forse è il curriculum scolastico e la credibilità culturale a garantire la propria riuscita editoriale.
… ovviamente, sempre e soltanto in base, alla mia personalissima opinione;
lieto di essere ancora assieme a voi, con le prossime riflessioni.
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