Omelia del giorno 24 Ottobre 2010
XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)
Ottobre è il mese che la Chiesa dedica alla missione
È necessario continuare ad evangelizzare, ripetendo che ogni uomo, nessuno escluso, non è 'totalmente uomo', creatura di Dio, se non è illuminato e sostenuto dalla stupenda verità che Gesù ha condiviso con i Suoi, cioè la Buona Novella del Vangelo: siamo tutti amati dal Padre e Lui attende il nostro amore.
Una verità che non è solo conoscenza, ma deve diventare esperienza di vita. È il Volto di Dio che vuole diventare volto dell'uomo, o, ancora meglio, la vita che diviene Sua trasparenza. Ma tanti - anche tra di noi, che ci chiamiamo cristiani, superficialmente, troppo superficialmente -non sanno afferrare l'urgenza "di questo Annuncio, dell'evangelizzazione per l'umanità e... anche per la nostra Italia.
In questo mese è doveroso pensare ai tanti nostri missionari che senza badare ai sacrifici, condividendo la povertà di tanti, mettendo in conto il pericolo di sacrificare la vita, portano l'amore di Dio in terre lontane e spesso pericolose.
Ma proprio il ricordarli ci deve spingere ad altrettanta generosità, iniziando la missione evangelizzatrice nelle nostre famiglie, nelle comunità, ovunque.... senza false paure! Scrive il Santo Padre per questo mese:
"Una fede adulta, capace di affidarsi totalmente alla Parola di Dio e allo studio delle verità della fede, è condizione per poter promuovere un umanesimo nuovo, fondato sul Vangelo di Gesù. Vogliamo vedere Gesù' è la richiesta che alcuni greci...presentano all'apostolo Filippo. Essa risuona anche nel nostro cuore in questo mese di ottobre, che ci ricorda come l'impegno e il compito dell'annuncio evangelico spetti a tutta la Chiesa, missionaria per sua natura e ci invita a farci promotori della novità della vita, fatta di relazioni autentiche, in comunità fondate sul Vangelo. In una società multietnica che sempre più presenta e sperimenta forme di solitudine e di indifferenza preoccupanti i cristiani devono imparare ad offrire segni di speranza e divenire fratelli universali".
La Parola di Dio di questa domenica indica la via maestra per diventare davvero portatori della Gioia del Vangelo, facendone partecipi i nostri fratelli - vera essenza della missione – e cioè
l'umiltà: "CHIUNQUE SI ESALTA SARÀ UMILIATO E CHI SI UMILIA SARÀ ESALTATO"
La Parola di Gesù pare diretta al nostro tempo in cui si assiste alla follia dell'uomo che si esalta.
Facile notare come nei discorsi il pronome che più si evidenzia sia 'io', con la voglia di mettersi in mostra, di 'contare', senza più la capacità di 'guardarsi dentro' e riconoscere il 'poco' che siamo. Sembra ripetersi all'infinito, nella storia dell'uomo, la tentazione che in origine portò i nostri progenitori a disobbedire a Dio, per... diventare come Lui.
È da quel momento che è iniziata la storia nefanda dell'uomo, che ha perso la misura della propria condizione di semplice creatura, facendo di tutto per 'sentirsi onnipotente'.... senza più pensare che è ben altra la 'vera immagine divina', che deve coltivare dentro di sé e davanti agli occhi di Dio. Così oggi Dio ci parla attraverso il Libro del Siracide:
"Il Signore è giudice e per Lui non c'è preferenza di persone. Non è parziale a danno del povero e ascolta la preghiera dell'oppresso. Non trascura la supplica dell'orfano, né della vedova, quando si sfoga nel lamento. Chi la soccorre è accolto con benevolenza, la sua preghiera arriva fino alle nubi. La preghiera del povero attraversa le nubi né si quieta finchè non sia arrivata; non desiste finchè l'Altissimo non sia intervenuto e abbia reso soddisfazione ai giusti e ristabilito l'equità". (Sir. 35, 15b-17.20-22a)
E se c'è qualcosa che provoca naturalmente fastidio è proprio quel darsi delle arie, o superbia, che incontriamo sulle nostre strade. Doveva dare 'fastidio' anche a Gesù, sempre tanto umile in tutto –ed era Figlio di Dio! – avere a che fare con tanti che, come oggi, cercavano di esibire ciò che non è certamente la vera grandezza dell'uomo, l'esteriorità.
Più una persona è davvero interiormente 'grande' e più tace o cerca di nascondersi, come a non farsi notare. Chi è davvero umile non si dà arie, ma anzi ha la netta percezione di essere l'ultimo.
Quanta gente umile, che non ha 'mostrato' la sua importanza o posizione, ho avuto modo di conoscere ed ammirare. La loro modestia, questo quasi sentirsi 'inferiori' a tutti li corazzava di un grande silenzio, che però illuminava, senza che loro stessi se ne accorgessero.
Gesù, oggi, evidenzia con chiarezza i due atteggiamenti dell'umile e del superbo. Così parla:
"In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l'intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 'Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: 'O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo'.
Il pubblicano, invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: 'O Dio, abbi pietà di me peccatore'.
Io vi dico: questi, a differenza dell'altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato". (Lc. 18, 9-14)
Tutto nel fariseo indica una sorta di colloquio alla pari con Dio: la posizione eretta del corpo, e soprattutto la preghiera snocciolata tra sé e sé, come incensasse... se stesso! Quest'uomo non solo non sta pregando Dio, ma potremmo dire che... non sta proprio pregando!!!
Semplicemente sta esaltando se stesso a se stesso, s'inchina all'idolo della sua presunta giustizia: il suo io. Si autoconvince della propria 'superiorità' e, come avvallo di tutto, considera il 'suo' digiunare e fare l'elemosina. Un quadro che sa di molto narcisismo.
Ben diverso è l'atteggiamento del pubblicano: il suo quasi non osare di alzare gli occhi al cielo e le scarne parole, in cui vi è tutta la consapevolezza di essere peccatore, quindi... nessuno! Ma è proprio questa preghiera che commuove il Cuore di Dio.
Gesù davvero dipinge un'immagine della differenza tra colui che è pieno di se stesso, incapace di `perdersi', guardando la santità di Dio, e di chi, avendo coscienza della sua realtà di peccatore agli occhi di Dio, 'si abbandona' a Lui.
Diceva il nostro caro Paolo VI:
"Non abbiamo la sapienza - e si chiama umiltà - di chiamarci creature. Perciò manchiamo di senso religioso e morale, di timor di Dio. Manchiamo di capacità e spesso di volontà di riconoscere la trascendenza divina che darebbe a tutto il nostro pensiero la visione della proporzione, dei valori, la voglia di pregar e sperare, la gioia vera di vivere.
Noi parliamo di noi stessi come fossimo padroni della nostra vita e non soltanto responsabili del suo impegno. Ci chiudiamo nell'ambito della nostra esperienza domestica, sociale, senza avvertire che tutto il nostro essere, il nostro vivere ha e deve avere un'apertura verso il divino. E così il senso che abbiamo di noi stessi ci appaga, anche se è privo dei rapporti con l'universo, con Dio.
Siamo egoisti e perciò orgogliosi e presuntuosi. Se avessimo il senso delle proporzioni vere e totali del nostro essere, avremmo maggiore entusiasmo di ciò che siamo realmente, e saremmo meravigliati di tutto dovere a Dio, Datore di ogni bene.
La piccolezza nostra e la grandezza di Dio formerebbero i poli del nostro pensiero e, sospesi tra il nulla della nostra origine e il tutto del nostro fine, comprenderemmo qualche cosa del grande e drammatico poema della nostra vita". (15-08-1957)
Meditando sulla grande virtù dell'umiltà, sfilano nei ricordi della mia vita tanti esempi di 'grandi santi', la cui grandezza appariva proprio dalla loro semplicità.
Voglio solo ricordare l'incontro con Madre Teresa di Calcutta.
Un giorno, un giovane, ammirato dalla sua 'notorietà', le chiese press'a poco così: 'Madre, cosa si sente nel vedersi ammirata per la sua grandezza spirituale?'.
`Mi sento quello che veramente sono davanti a Dio, un nulla di fronte a Lui. Quello che opero non sono mie opere, ma Sue. Io sono solo la matita tra le mani di Dio, di cui Lui si serve per compiere grandi cose'.
Era come risentire il cantico di Maria SS.ma, nella sua visita a S. Elisabetta, dopo l'annuncio dell'Angelo, chiamata a essere madre del Figlio dì Dio: 'Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente, perché ha guardato all'umiltà della Sua serva, Santo è il Suo Nome.'
Cosi pregava S. Francesco di Sales, per chiedere l'umiltà:
"Ricordati, dolcissima Vergine, che tu sei mia Madre e io tuo figlio,
che tu sei potente e che io sono un misero uomo.
Ti supplico, dolcissima Madre, di assistermi e di difendermi in tutto ciò che faccio. O Vergine bella,,davanti al tuo incanto, Dio non resiste
Perché il tuo amatissimo Figlio ti ha dato ogni potere in cielo e in terra.
Non dirmi che non devi, perché sei la Madre comune di tutti gli uomini fragili e sei la mia in modo singolare.
Vergine dolcissima, perché tu sei mia Madre e sei potente,
come potrei scusarti se tu non mi offrissi il tuo aiuto e la tua tenerezza?
Per l'onore e per la gloria del tuo Figlio divino
accettami come tuo figlio senza considerare i miei peccati e le mie miserie. Libera la mia anima e il mio corpo da ogni male:
donami tutte le virtù, soprattutto l'umiltà.
Arricchiscimi di tutte le virtù e di tutte le grazie,
nel nome del tuo Diletto Figlio, Gesù Cristo. Amen."
Antonio Riboldi – Vescovo –
Internet: www.vescovoriboldi.it
email: riboldi@tin.it
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