venerdì 24 settembre 2010

L'uomo ricco e il povero Lazzaro

Omelia del giorno 26 Settembre 2010

XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)

Quello di diventare ricchi non è più, oggi, un 'sogno' da bambini, che guardano alla 'favolosa' vita che conduce chi è arrivato alla ricchezza.

Da quanto possiamo capire attraverso i massmedia e l'opinione pubblica è diventato la 'favola' degli adulti, che ha i suoi giornali specializzati, con tanti servizi su 'cosa fanno', 'come e dove vivono i paperoni o i vip', coloro che sono classificati come gli 'idoli' del nostro tempo, con tanta gente che cerca di imitarli o di vivere almeno nella loro ombra, senza minimamente pensare che dietro queste facciate di lusso, spesso vi è una grande povertà di cuore ed un senso di solitudine e di vuoto che a volte li porta alla disperazione, magari con il rimorso (e questa sarebbe una grazia!) di avere depredato tanta gente che, a causa della loro sfrenata ricchezza, è costretta a vivere sul marciapiede delle città.

A costoro e a quanti vorrebbero essere come loro, così parla oggi il profeta Amos:

"Così dice il Signore onnipotente: 'Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria! Essi su letti di avorio e straiati sui loro divani, mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella stalla. Canterellano al suono dell'arpa, si pareggiano a Davide negli strumenti musicali, bevono il vino in larghe coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati, ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano. Perciò andranno in esilio in testa ai deportati e cesserà l'orgia dei buontemponi'. (Amos 6, 4-7)

Dura la descrizione del ricco: una ricchezza che nulla ha a che fare con la vera ricchezza del cuore, che appartiene a quelli che Gesù chiama beati, voi, poveri in spirito'!

Oggi, nel mondo, per la crisi che attanaglia le grandi potenze, troppi sono costretti a misurare le necessità della vita su quanto ricevono e certamente sono costretti a privazioni che prima non conoscevano. Ormai la povertà, fino alle necessità più semplici, è di tanti. Ed è duro per tanti dovere rinunciare ad una vita da benestanti - almeno così sembrava - ed accontentarsi del poco... se basta. Ma... è vera felicità quella del ricco? O la felicità è del povero Lazzaro di cui parla il Vangelo?

Per costruire una vera felicità, che poi è ricchezza di valori nella e per la famiglia e nella società, occorre la ricchezza materiale o la ricchezza del cuore?

A volte, osservando la voglia di benessere, che cerca di circondarsi di tutti i capricci che il commercio offre, un mercato senza anima, che si chiama moda, ci si rende conto che prende molti, li rende forse per un momento soddisfatti, ma non fa mai felici... è troppo poco!!

Ricordo la dignitosa povertà della mia famiglia, dove si viveva del necessario e non c'era posto per mode o capricci. Ma al loro posto c'era tanta pace, tanto amore, tanta moralità che era il dono della povertà, diremmo oggi della sobrietà. Si era felici del poco.

Altri tempi si dirà, ma anche altra felicità e giustizia e moralità. Davvero 'beati i poveri in spirito, vostro è il regno dei cieli'... ieri, oggi e sempre.

È peccato possedere poco o tanto?

Quando è esibizione sciocca del tanto che si possiede ha del grottesco, come se vivere fosse una `favola', ma è solo una tragica e dolorosa farsa.

Ma possedere più del necessario, ossia essere in qualche modo ricco, diventa un bene quando è frutto di giustizia e fatica e, soprattutto, la ricchezza non è un 'dio' del cuore, ma un mezzo di amore. Il pericolo non è possedere, ma 'farsi possedere', diventando schiavi delle cose che passano.

Possedere da 'distaccati', da 'poveri in spirito', con il cuore libero, diventa occasione di colmare i tanti vuoti dei miseri. Diventa un bene per chi non ha. Ricordiamocelo: la ricchezza, qualunque sia, non è il bene che si deve cercare a tutti i sosti, ma un mezzo per amare.

Nel Vangelo di oggi si ha la sensazione che Gesù si prenda gioco della stoltezza del ricco:

"Gesù disse ai farisei: 'C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e bisso, e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di saziarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli Angeli in seno ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell'inferno, fra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora guardando disse: 'Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro ad intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura.

Ma Abramo rispose: 'Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora lui invece è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. Per di più tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare tra voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi.

E Gesù, quasi avvertendoci, continua:

Quegli replicò: 'Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: `Hanno Mosè e i Profeti, ascoltino loro. E lui: 'No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. Abramo rispose: 'Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti sarebbero persuasi'. (Mc. 16, 19-31)

Una chiara e dura lezione di quanto sia difficile liberarsi dalla schiavitù dell'avere, del benessere a tutti i costi, per fare strada alla libertà e all'amore.

Affermava il grande Paolo VI, in un discorso alle conferenze dì S. Vincenzo:

"Voi sapete che oggi si parla molto della chiesa dei poveri: è questa una considerazione circa la società religiosa, fondata da Cristo, piena di significato; bene intesa essa ci riporta alle origini evangeliche della Chiesa stessa, al disegno stesso di Dio in ordine alla salute del mondo, all'esempio indimenticabile di Gesù, Lui stesso povero e annunciatore ai poveri della sua buona novella, quando attribuisce a Sé il vaticinio di Isaia: 'Lo Spirito del Signore è su di me e mi ha mandato ad annunciare ai poveri la buona novella', e ancora quando chiamerà per primi beati e destinati al regno dei cieli, 'i poveri in spirito'.

E di più questa apologia della povertà in seno alla Chiesa, questa rivendicazione della povertà come tesoro proprio, ci apre la vena di una spiritualità che sembra destinata a diffondersi nella coscienza cristiana del nostro tempo; essa ci ricorda come il regno di Dio, cioè il dono che Cristo porta al mondo per la sua salvezza, non è nella sfera delle cose appetibili di questa terra, e tantomeno non è una ricchezza temporale... Così il discepolo di Cristo, nella severa scuola, scorge sempre un rapporto meraviglioso tra povertà e carità'. (nov. 1964)

Leggendo la vita di Madre Teresa di Calcutta, l'apostola dei più poveri tra i poveri, si resta scossi da come amasse lasciarsi 'nutrire' da Dio, in totale povertà... anche se la missione scelta era quella di stare tra gli ultimi degli ultimi. E ciò che fa rimanere senza parole è che la Provvidenza non le facesse mai mancare nulla, poiché metteva tutto nella cura diretta di Dio.

Vestiva l'abito degli ultimi - così considerato in India - e viveva tra di loro.

Ma non le mancava mai il necessario per sostenere le tante opere nel mondo.

Davvero questa è povertà, cioè abbandono nelle mani di Dio, che costruisce pace e santità.

Nella mia lunga vita, nel Belice e qui, ho toccato con mano come vi siano davvero persone che hanno possibilità e sanno condividerle per alleggerire il peso delle tante povertà incontrate.

Donne e uomini di una generosità incredibile, che dimostra come a volte il possedere diventa motivo di carità, tanto da dover a volte frenare la generosità. Le ho sempre considerate 'la mano di Dio', che riempie le mie, perché io riempissi le mani vuote di tanti.

C'è ancora tanta generosità che non ha paura di farsi povera per dare speranza a chi non ha, ma la ritrova proprio nella loro carità.

Prego perché nessuno di noi si trovi nei panni del ricco epulone che dall'inferno invoca una goccia di acqua, quando qui ne aveva in abbondanza da dissetare tanti… ma nei panni del povero Lazzaro, che riposa nelle braccia di Dio, qui e dopo.

Così pregava don Tonino Bello:

"Cari cristiani questo digiuno lasciatelo fare a noi. Ci potrà servire come mezzo per ottenere qualcosa di immediato. Voi piuttosto fatene un altro: un digiuno che sia profezia. Astenetevi non tanto da un pasto, ma dall'ingordigia, dal sopruso, dalla smania di accaparrarsi, dalle collusioni disoneste con certe forme di potere. Più che privarvi di un piatto, privatevi del lusso, dello spreco, del superfluo: ci vuole più coraggio. Più che non toccare un pane, dividete il pane: il pane delle situazioni penose dei disoccupati, degli sfruttati, dei disperati che ci stanno attorno. L'altro digiuno lasciatelo fare a noi".

Antonio Riboldi – Vescovo –

Internet: www.vescovoriboldi.it

email: riboldi@tin.it

Nessun commento: