Omelia del giorno 18 Aprile 2010
III Domenica di Pasqua (Anno C)
Sembra siano passati centinaia di secoli dal momento della paura e della fuga degli Apostoli alla vista della cattura di Gesù nell'orto del Getsemani. Avevano accolto con grande prontezza l'invito di Gesù a seguirLo: erano stati con Lui per tre anni, il tempo per rinsaldare amicizia e fiducia, ma all'ora della prova erano fuggiti tutti, abbandonando Gesù al suo destino.
Non ebbero il coraggio di seguirLo fino in fondo, rivelando così l'intera debolezza dell'uomo, di tutti gli uomini.
Solo dopo la discesa dello Spirito Santo a Pentecoste ritroveranno fede e coraggio in modo impressionante, come se fossero passati secoli dal momento dell'abbandono: erano diventati uomini `nuovi'.
Ce lo raccontano oggi gli Atti degli Apostoli:
In quei giorni, il sommo sacerdote cominciò ad interrogare gli apostoli, dicendo: “Vi avevamo espressamente ordinato di non insegnare più nel nome di costui, ed ecco voi avete riempito Gerusalemme della vostra dottrina, e volete fare ricadere su di noi il sangue di quell'uomo. Rispose allora Simon Pietro insieme agli apostoli: 'Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini. Il Dio dei nostri padre ha resuscitato Gesù che voi avevate ucciso appendendolo alla croce Dio lo ha innalzato con la sua destra facendolo capo e salvatore per dare ad Israele la grazia della conversione e del perdono dei peccati. E di questi fatti noi siamo testimoni, noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a coloro che si sottomettono a lui.”
Allora li fecero fustigare e ordinarono loro di non continuare a parlare nel nome di Gesù: quindi li rimisero in libertà. Ma essi se ne andarono dal sinedrio lieti di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù. (At. 5, 27-32)
Dopo la fuga, la paura al momento dell'arresto di Gesù nel Getsemani, che cambiamento è avvenuto negli Undici! Alla paura si è sostituito il coraggio della testimonianza, fino alla gioia di essere oltraggiati per amore di Gesù!
Ricordate? Al momento dell'arresto di Gesù, Pietro e gli altri avevano tentato una timida difesa del Maestro, talmente intrisa di spavento che non poteva che conoscere il fallimento disastroso e vergognoso della fuga.
Pietro, che amava Gesù e non si rassegnava a lasciarLo in mano ai nemici, Lo aveva seguito, cercando però di passare inosservato. E quando era stato scoperto, per la paura, addirittura, aveva ricorso al falso giuramento di non conoscerlo affatto, rinnegando un'amicizia e un amore che invece viveva profondamente.
Solo dopo aver sentito cantare il gallo, Pietro si era reso conto del male fatto - aver negato di conoscere Chi amava tanto, ma proprio tanto - e aveva pianto amaramente.
Quanto sarà stato difficile ammettere e riconoscere la vigliaccheria cui aveva ricorso per non correre pericoli! Non è facile accettare una tale umana debolezza. Ma Dio lo aveva permesso proprio per preparare nell'umiltà e nel coraggio colui che poi designerà per grandi cose. E capita a tutti noi.
Quante volte ci sentiamo pronti ad affrontare chissà cosa - parlo nel campo della fede, dell'amicizia, della virtù, della dignità - e poi al momento del confronto con la mentalità del mondo, che chiede a volte 'martirio' nel confessare ciò che siamo e crediamo, si manifesta tutta la nostra debolezza. Quanta gente generosa, che avrebbe, a parole, data la vita per il Regno di Dio, di fronte alla virulenza della mentalità che vuole dominare le persone, annullando i grandi valori, si china per paura. Non c'è da spaventarsi: è ciò che siamo senza la Grazia di Dio che ci sostiene.
Essere davvero cristiani, fino in fondo, con naturalezza, senza venir mai meno a ciò che veramente siamo 'dentro', non è facile. Più facile piegare la testa al mondo, per evitare, come Pietro, di fare, seguendoLo, la fine di Gesù nella passione.
Il Vangelo di oggi è bene leggerlo parola per parola. Pietro aveva ammesso il suo fallimento durante la passione, senza tentennamenti, anzi con aria di disfatta.
Sapeva quanto era grande la fiducia di Gesù, che lo aveva chiamato e scelto, ma forse, essendo venuto meno nella prova, ormai dubitava di poter essere ancora amato da Gesù, come prima, ... ma non dubitava del suo amore per il Maestro, che sicuramente era aumentato dopo quanto successo. Era un amore, quello di Pietro, che ora era fondato su una profonda e sincera umiltà, come deve essere sempre l'amore.
Ma è bene affidarsi a questo gioiello di Vangelo, che svela quanto sia grande l'amore di Gesù e la sua fiducia in noi, quando trova nel nostro cuore l'umiltà, di chi sa fidarsi di Lui.
Gesù si manifestò di nuovo agli apostoli sul mare di Tiberiade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Didimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedo e altri due discepoli. Simon Pietro disse loro: “Vado a pescare”. Gli dissero: “Veniamo anche noi con te”. Allora uscirono e salirono sulla barca; ma in quella notte non presero nulla. Quando era già l'alba Gesù si presentò loro: “Figlioli, non avete nulla da mangiare?”. Gli risposero: “No”. Allora disse loro: “Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete”. La gettarono e non potevano più tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: “È il Signore!”
Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si cinse ai fianchi la sopravveste, perché era spogliato, e si gettò in mare. Gli altri discepoli vennero invece con la barca, trascinando la rete piena di pesci; infatti non erano lontani da terra se non un centinaio di metri....
Allora Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, così pure il pesce...
Quando ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: “Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?”. Gli rispose: “Certo, Signore, tu lo sai che io ti amo.”
Gli disse: “Pasci i miei agnelli”. Gli disse di nuovo: “Simone di Giovanni, mi ami?”. Gli rispose: “Certo, Signore, lo sai che ti amo”. Gli disse: “Pasci le mie pecorelle”. Gli disse per la terza volta: “Simone di Giovanni mi ami?”. Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: “Mi ami?” e gli disse: “Signore, tu sai tutto: tu sai che ti amo”. Gli rispose: “Pasci le mie pecorelle. In verità in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo e andavi dove volevi, ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi”. Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo disse: “Seguimi”. (Gv. 21, 1-19)
Incredibile quanto abbiamo letto nel Vangelo: la fragilità non sempre va insieme al non amore e soprattutto la fiducia illimitata di Gesù non viene meno, perché Lui conosce i nostri cuori, impastati di miseria e di slanci di generosità e continua a “credere” in noi... come se nulla fosse accaduto.
La storia di Pietro è un poco la nostra vita cristiana: può essere grande la nostra fragilità, ma quando si ama, con la fiducia in Gesù possiamo andare oltre.
A volte possiamo essere vittime della nostra miseria, che ci porta quasi a negare Gesù, ma poi al giusto momento, diventiamo capaci di affermare un amore grande.
Forse l'amore ha bisogno, per trionfare, di questa nostra debolezza, che troppe volte si affida, per affermarsi, alla superbia, dimenticando le parole del Maestro: Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei Cieli.
E commuove davvero la fragilità di Pietro, che torna a riva a mani vuote, dopo una faticosa notte di pesca, ma riempie il cuore di grande stupore l'impeto nel cercare di raggiungere a nuoto Gesù e poi la forza convinta con cui risponde alla meravigliosa domanda: Mi ami tu?
Chissà quante volte queste due realtà, fragilità umana e amore, si sono alternate nella nostra vita. C'è solo da pregare che alla fine prevalga sempre l'amore.
Ricordo quando nel Belice mi giunsero assolutamente inaspettati, attraverso la comunicazione del Santo Padre Paolo VI, che mi voleva davvero un grande bene, la richiesta e l'invito di Gesù: Mi ami tu? Pasci le mie pecorelle., ossia la nomina a vescovo.
Non nego, che grande fu la mia sorpresa: “Impossibile - mi dicevo - che Dio si fidi della mia povertà e mi affidi il Suo gregge. Mi sentivo smarrito, come Pietro. Ma qualcosa dentro mi invitava a rispondere come Lui, perché era la verità: Signore, tu sai che io ti amo.
È la storia di tutti noi, che tanto assomigliamo a Pietro: fatichiamo tanto, in tutte le direzioni, per poi vivere la sensazione di essere a mani vuote. Forse occorre cambiare rotta: non affidarci unicamente alle nostre povere forze, ma alla Presenza di Gesù nella nostra vita.
Se Gesù ci domandasse oggi: Mi ami tu?, guardando alla quotidianità del nostro vivere, quale sarebbe la nostra risposta?
L'augurio e la preghiera è che sia sempre, nonostante tutto:
Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene.
Con Madre Teresa preghiamo:
Signore, tu sei la vita che voglio vivere,
la luce che voglio riflettere,
il cammino che conduce al Padre,
l'amore che voglio condividere,
la gioia che voglio seminare attorno a me.
Gesù, tu sei tutto per me, senza di te non posso nulla.
Tu sei il Pane di vita, che la Chiesa mi dà:
è per te, in te e con te, che posso vivere. Amen.
Antonio Riboldi – Vescovo –
Internet: www.vescovoriboldi.it
email: riboldi@tin.it
è per te, in te e con te, che posso vivere. Amen.
Antonio Riboldi – Vescovo –
Internet: www.vescovoriboldi.it
email: riboldi@tin.it
Nessun commento:
Posta un commento