giovedì 17 settembre 2009

Camaldoli, martedì 16 settembre 2009

di Ivan Nicoletto

Viviamo spesso il mondo e le relazioni con gli altri in modo spietato, producendo infinite forme di micro e di macro violenza verbale e fisica, economica e militare, razziale e sessuale, religiosa ed ecologica…
La memoria della madre addolorata, della donna della pietà, mitiga l’esplosione della nostra forza che sopraffà, ci apre l’orecchio del cuore ad un altro atteggiamento che sgorga dal sentire materno, e cambia il nostro modo di entrare in contatto con noi stessi e con la vita che ci attornia.
Congiunta alla passione del Figlio c’è la manifestazione pietosa della madre trafitta dal dolore di colui che è carne della sua carne. In Dio, possiamo dire, c’è il figlio che pende dal patibolo per amore, e c’è una donna-madre che condivide la sofferenza del corpo lacerato.
La madre, sotto la croce, incarna l’espressione materna di Dio, che si prende cura di, e compatisce ogni essere vivente che è disprezzato e ucciso, deriso e umiliato, calpestato e torturato, violentato ed emarginato, non riconosciuto, non-amato… Essa riassume in sé anche la voce della terra madre, che viene da noi abusata e sfruttata, tanto da mettere in forse la stessa sopravvivenza del pianeta, con l’incalcolabilità delle forme di vita che esso contiene, dei tempi profondi che lo hanno generato.
In Maria che piange il figlio, conflagra il mondo della contraddizione umana che non anela alla liturgia della vita bensì della morte: pensiamo al conflitto insanabile fra Palestina e Israele, fra i nord e i sud, fra le religioni, fra le generazioni, fra le diversità umane…
La vita è generata biologicamente, ma sappiamo che non basta. Non siamo solo messi al mondo, ma entriamo nel gioco delle relazioni emozionali di coloro che ci accolgono. La nostra vita è lasciata alla nostra iniziativa per essere accudita e amorizzata, o per essere negletta e brutalizzata: dalla prima poppata al seno, fino al pianto di congedo alla nostra dipartita, noi esprimiamo una gamma infinita di gesti che si colorano di apertura o di chiusura, di ascolto o di sordità… che poi divengono i fili del tessuto con i quali costruiamo e abitiamo il mondo...

Tra le tante immagini, parole, e musiche che hanno evocato questa madre di pietà, vorrei accennare alla tavola che si trova a San Sepolcro, di Piero della Francesca: La Madonna della Misericordia. Al centro campeggia la figura di Maria che raccoglie sotto l’ampio manto, tenuto disteso dalle sue braccia aperte, persone di ogni tipo, strato e condizione sociale, che a lei si rivolgono oranti, affidandosi alla sua materna protezione. Tra questi invocanti, riconosciamo anche un boia, dal suo cappuccio nero, ad esprimere che non esiste condizione umana che non possa accostarsi fiduciosa alla fonte della benevolenza.
In questa figurazione della Madre, colpisce soprattutto il suo portamento imperturbato, il suo volto che impressiona per una certa impassibilità, rispetto alle immagini tradizionali della pietà…
Come mai tanto distacco ospitale? Forse, esso fa segno ad un’accoglienza che non seleziona e non esclude nessuno, non rivendica nemmeno più una propria fisionomia, per farsi tramite e partecipazione di grazia per tutti… Pianto e speranza si tengono insieme, nei nostri cuori. Lacerazione, e anelito ad una trasfigurazione, come canta questo testo rivolto a tutte le tessitrici del mondo, tra le quali è Maria, che piange addolorata la meravigliosa creazione del figlio, ridotta a brandelli.

Dio è seduta e piange,
la meravigliosa tappezzeria della creazione
che aveva tessuto con tanta gioia è mutilata,
è strappata a brandelli, ridotta in cenci;
la sua bellezza è scheggiata dalla violenza.

Dio è seduta e piange.
Ma, guardate, raccoglie i brandelli,
per ricominciare a tessere.
Raccoglie i brandelli delle nostre tristezze,
le pene, le lacrime, le frustrazioni
causate dalla crudeltà, dalla violenza,
dall’ignoranza, dagli stupri, dagli assassinii.

Raccoglie i brandelli di un duro lavoro,
degli sforzi coraggiosi, delle iniziative di pace,
delle proteste contro l’ingiustizia.
Tutte queste realtà che sembrano piccole e deboli,
le parole, le azioni offerte in sacrificio,
nella speranza, la fede, l’amore.

Guardate!
Tutto ritesse con il filo d’oro della gioia.
Dà vita ad un nuovo arazzo,
una creazione ancora più ricca, ancora più bella
di quanto fosse l’antica!

Dio è seduta, tesse con pazienza, con perseveranza,
e con il sorriso che sprigiona come un arcobaleno,
sul volto bagnato dalle lacrime.
E ci invita a non offrire soltanto i cenci
e i brandelli delle nostre sofferenze
e del nostro lavoro.

Ci domanda molto di più;
di restarle accanto al telaio della gioia,
e a tessere con lei l’arazzo della nuova creazione.

(M. RIENSIRU CEC)

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