di Ivan Nicoletto, monaco di Camaldoli
INTRODUZIONE
Il poeta Mario Luzi interpreta il nostro tempo come un Mondo in ansia di nascere / Ma stretta è la porta dell’origine / a miriadi si accalcano/ … E noi dal gorgo / d’un oscuro tempo / lì in quello sciame/ fila / ciascuno il filo / luminoso / e doloroso della grande trama, / fabbrica una storia / nella storia… [LUZI, 2004, 965] .
Vorrei tentare di rintracciare alcuni fili luminosi e dolorosi della grande trama della vita che stanno emergendo nei nostri corpi personali e plurali, nei respiri o gemiti del mondo, per poter corrispondere a questi mutamenti con degli atteggiamenti di speranza creativa, per questo intitolo i seguenti spunti di riflessione: l’incessante avvenire dell’Inaspettato.
Siamo consapevoli e coinvolti nei molti, veloci, e strutturali cambiamenti che stanno trasformando, il più delle volte in modo imprevedibile, le configurazioni politiche ed economiche, psicologiche e tecnologiche, etiche e spirituali dei nostri vissuti… Come ogni passaggio epocale, in cui mutano profondamente gli schemi di riferimento, i linguaggi, e le relazioni, siamo pervasi da sentimenti di insicurezza e di incertezza, come se il suolo franasse sotto i nostri piedi. Abitatori perplessi di un presente destabilizzante, e di un incerto futuro, possiamo accompagnare queste trasformazioni in modi diversi:
- molti Caimani accolgono e cavalcano in modo irresponsabile ed egoista il mutamento, a detrimento degli altri, abusando del potere come dell’ambiente, cogliendo nel nuovo un’opportunità di profitto, invece che un’occasione di emancipazione e di riscatto.
- altri, più Crostacei, vedono con ribrezzo la crisi attuale, che dissolve gli assetti esistenti. Bramano fondazioni stabili e sicure, pensando di trovarle nel passato già sperimentato, o nei testi fondativi di una tradizione… ma il futuro non può essere prescritto o desunto dal passato, e le vecchie mappe non possono più fornire una guida adeguata per nuovi territori. D’altronde, assoluti certi e sicuri possono rappresentare dei sintomi di una morte imminente…
- un’altra genìa di Mutanti affina una capacità di ascolto, conformando i propri corpi in modo ospitale nei confronti degli eventi in atto, che destabilizzano le logiche fondative e assolute. Tali creature accolgono l’incertezza come il battito d’ali della vita, che abbraccia la complessità, l’incomprensibile e l’incompletezza. Essi credono, addirittura, che il Divino sia l’emergente Energia creatrice della vita, in un mondo in cui il futuro rimane aperto e indeterminato.
Speranza, in questo frangente è, forse, la transitoria traccia dell’apertura inesauribile dei sistemi, delle strutture, dei corpi, senza la quale il respiro della vita cessa. Questo atteggiamento di intelligente ignoranza ci tiene aperti sull’Inaspettato, che è il dono del futuro, il nuovo che lo Spirito versa nei contenitori delle nostre menti e dei nostri cuori per una nascita inesauribile.
Per renderci sensibili all’ascolto di questi battiti e respiri del mondo, vorrei anzitutto prendere le mosse da una particolare esperienza umana, che in una situazione di estrema disperazione non ha cessato di alimentare la speranza. Non solo ha fatto della sua carne il luogo di nascita di un atteggiamento alternativo al già esistente, ma ha anche maturato la consapevolezza che il Divino scommette, fa affidamento, spera sulle nostre capacità generative, cercando di manifestarsi in noi, attraverso di noi. In una seconda parte evocherò alcune delle emergenze spirituali in atto, che modulano o educano la nostra speranza.
1. CIASCUNO/A È UN NUOVO ORGANO DI SENSO DEL MONDO
La prima ed essenziale sorgiva di speranza che vorrei evidenziare, riguarda la consapevolezza di ciascuno/a come un nuovo, inedito organo di senso del mondo. Il senso della realtà e dell’esistenza non è un dato di fatto, qualcosa di pre-stabilito, ma un dono e un compito da realizzare, una possibilità da sostanziare con la nostra carne e i nostri sensi: la sconosciuta / nascita che sempre permane / nel nascere [GUALTIERI, 2006].
Vorrei partire dall’esperienza di una donna, Etty Hillesum, ebrea olandese internata nel campo di smistamento di Westerbork, prima di intraprendere il suo ultimo viaggio verso quello di sterminio di Auschwitz, cuore di tenebra della “civiltà” europea.
In una lettera scritta nel dicembre del 1942 dal campo, essa invoca un nuovo organo di senso che renda possibile il superamento della logica di potenza annientatrice, di cui lei è vittima assieme a miriadi di altre persone; un nuovo organo che possa accogliere e portare il non-senso, la disperazione, il vuoto, con la fiduciosa speranza che in questo dolore si possa aprire dell’altro.
Ascoltiamo le sue parole:
“Forse possediamo altri organi oltre alla ragione, organi che allora non conoscevamo, e che potrebbero farci capire questa realtà sconcertante.
Io credo che per ogni evento – buono o cattivo - una persona possieda un organo che gli consente di superarlo, un nuovo senso delle cose, attinto dai pozzi più profondi della nostra miseria e disperazione, per farlo decantare e divenire fattore di crescita e di comprensione”. [Lettere, 45]
Faccio anzitutto notare che Etty scrive un Diario e delle Lettere, espressione di una trasformazione creativa della propria esperienza, che si fa parola comunicante, rivolta all’altro. È una scrittura che si scava un letto sulla superficie dura e inscalfibile della realtà che lei sta vivendo, per tramutarla in parola condivisa, per sprigionare una significazione da quello che accade: un’articolazione dialogale della speranza, un tentativo di dare significato alla propria esistenza scalfendo l’orrore innominabile e il non senso della vita.
Proviamo ora a compiere un esercizio di ascolto di alcune parole emerse nel testo che abbiamo letto, soffermando la nostra attenzione su tre espressioni: un nuovo organo di senso delle cose; oltre la ragione; pozzi di disperazione come un fattore di crescita e di comprensione.
Un nuovo organo di senso delle cose. L’attraversamento di un’esperienza inedita di violenza, che causa sofferenze atroci ad una moltitudine di persone, suscita nel cuore di Etty l’urgenza di resistere, di non lasciarsi ammutolire dal negativo, di osare una risposta vitale che non sia soltanto rassegnata accettazione della crudele realtà, o la mera preoccupazione di mettere in salvo la propria pelle. Essa osa rompere l’ordine del sistema imposto per generare un altro senso, per accedere ad un ordine diverso di realtà e di vita, guadagnato attraverso il patire di ciò che le accade.
Il suo apporto personale alla terribile realtà che incombe consiste nell’offrire se stessa come “un campo di battaglia”, una via sperimentale che fa di sé stessa il luogo di scontro fra sé e quel vortice d’insensatezza che sta cancellando ogni traccia di riconoscimento umano dell’altro. Da questo urto tra sé e la realtà si attiva un organo inaspettato, un’intelligenza interiore sottratta all’odio e alla commiserazione, che fuoriesce dal rapporto evita di mettersi del prevaricatore e della vittima.
Etty parte dal proprio sentire, dai gesti più ordinari del quotidiano, per disinnescare il dispositivo dell’odio distruttivo scatenato dalla logica totalitaria o immunitaria che estirpa l’altro.
Non c’è proporzione, potremmo subito affermare, tra il desiderio che anima questo insignificante grumo di carne umana, perlopiù donna, e l’ingranaggio strapotente del nazismo!
Con un atto politico che non incolpa nessuno, né trova un alibi giustificazionista, Etty aderisce con passione e fedeltà a quell’esigenza di vita e di amore che pulsa libera in lei, e di cui nessuno può privarla, più forte della logica di morte in cui è immersa, e del semplice istinto di sopravvivenza.
Magari avete visto il film Revolutionary Road (2008), che presenta il tentativo, da parte di una coppia, di creare un’allargatura di senso nel sistema produttivo omologante, in termini di lavoro e di relazione umana. La donna, forse in modo troppo ingenuo, offre l’occasione di una fuoriuscita dalla logica inesorabile del guadagno e della riproduzione, spiccando il volo per un altro orizzonte di speranza, mentre il marito troverà un alibi, una giustificazione a rientrare nei ranghi realistici dell’impiego, al seguito dell’offerta di una promozione che farà fallire tragicamente la relazione…
Etty crea, lì dov’è inchiodata, uno spazio libero fra gli eventi esterni e se stessa, fra il fuori e il dentro, fra il reale e il possibile. In se stessa opera uno slargo che accoglie il negativo brutalizzante che la circonda interrompendolo, impedendogli che dilaghi diventando distruttivo, rendendo possibile che qualcos’altro accada, che possa emergere un significato, una voce che dice sì al cuore del no.
Quale sì? Il diventare tramite di una verità, di un amore, di una forza libera, di un cielo –lo si chiami come si vuole! - che si è riusciti a liberare in sé, e che si traduce in gesti e sguardi e considerazioni che ridisegnano il mondo. Sorge un’attenzione empatica che fa cadere le mura di separazione fra vincitori e vinti, fra bene e male. Con un lavoro su di sé, lei supera il dualismo dei contrari, perché avverte che la radice dei mali è l’essere contro, il contrapporsi all’altro. In questo dissolvimento della dialettica si sente di partecipare ad un’umanità in cui tutti sono sconfitti. Ma c’è di più! Lei si sente partecipe di una condizione umana che antecede ogni gerarchia, ruolo, funzione e legge discriminanti, e dal dono di questo altrove, scoperto, emerge il riconoscimento, l’apprezzamento, l’universale pietas. Il suo sguardo si apre alla sorpresa dell’unicità di ogni vita, di ogni volto, di ogni sventura…
Oltre la ragione. Questa nuova possibilità di senso, affiorata nel mezzo della tempesta della contraddizione, del male incombente, non può essere ricomposta o riconciliata in un sistema di spiegazioni, ma sta oltre la ragione come organo di comprensione causale, assicurante e omologante, capace di giustificare freddamente persino il tutto-insensato. Se la ragione ha prodotto quel dispositivo immunitario esclusivo, sfociato nel totalitarismo nazista; se la ragione è quell’ordine catturante già deciso altrove, che s’impone con forza inoppugnabile attraverso discorsi e azioni collettive che hanno la parvenza di verità e di normalità, allora occorre rompere quell’incantesimo, per attingere ad un’altra fonte di conoscenza, sensibile alle voci e ai gemiti che vengono dalla vita. Importa generare un organo che accetta un senso incompiuto, aperto oltre sé, crea contatto e relazione con l’alterità, sa azzardarsi in attraversamenti inediti, esponendosi all’insicurezza della trasformazione.
Nel corpo di ciascuno può accadere l’impensato, direbbe Luisa Muraro. Si apre dell’altro, ciò che non conosci e che, presentandosi di colpo, fa cadere i recinti isolanti e i muri separanti che un ordine politico o morale o religioso aveva escluso… e modifica radicalmente la tua esperienza. Altri occhi si aprono in te, come un cuneo che penetra nella roccia del mondo già stabilito, spezzando la continuità del tempo con il suo corteo di occupazioni, organizzazioni, obblighi, imposizioni a cui siamo abituati.
Questa irruzione è immaginata artisticamente da El Lisickij come Il cuneo rosso che rompe il cerchio bianco, metafora di ciò che l'esporci all’impensato può provocare in noi: infrazione del cerchio che vorremmo chiuso e auto-trasparente dell'io o di un discorso, e l’emergere di un residuo che sfugge alla presa, di un eccesso che rimane sempre oscuro, che è fonte di nuova libertà, che può anche metterti a disagio, e rivelarsi inquietante, perché ti priva di quello che prima ti proteggeva e ti assicurava… ti apre all’incalcolabile!
Pozzi di disperazione come fattori di crescita. Ciascuno ci noi sa per esperienza che ogni atto generativo di un nuovo sentire, sia esso l’ascolto e la cura quotidiana dell’altro, lo sguardo e il gesto accogliente, il compito del pensare e dell’agire sociale o politico comportano un travaglio.
Ci viene chiesto di accogliere in noi stessi quanto vi è di vulnerabile e di contingente della vita: la potenza del negativo, la perdita e la disperazione, il limite e l’angoscia, o le zone oscure dei nostri cuori o dei nostri pensieri… Farci carico delle potenzialità del male nelle contingenze date, riconoscerlo, intuirne il decorso a volte inarrestabile e senza giustificazione, senza sapere e voler sapere, senza domandare ragione, perché impensabile nel suo fondo, eccede l’umana conoscenza.
Tutto ciò non toglie alla Hillesum la possibilità di sperare e di credere l’impossibile, che il bene conservi una preminenza, una sua potenza altrettanto misteriosa e imprevedibile. Il patire la sventura, il subire la pressione selettiva esercitata su di lei da ciò che accade, la spingono a venire a contatto con una profondità sconosciuta dell’esperienza, e dunque di poterla ampliare, articolare, trasformare, rendere attiva e comunicabile.
Attingendo e confidando in riserve oscure e invisibili di energia, lei evoca e si connette con una Alterità, mette in rapporto gli accadimenti con uno spazio in noi stessi che sporge oltre noi stessi, a cui accorda una segreta fiducia. Questo affondo e affidamento fa emergere un altro tempo, oltre quello ordinario; attiva un’Energia che viene da altrove, ci dà accesso a fonti che nemmeno sospettavamo, giacenti nel profondo dell’anima, e diventano luoghi di comunicazione, condivisibili con altri.
È il risveglio in sé stessi – ci dice ancora Etty – di uno spazio sconosciuto o di una presenza ascoltante che all’inizio può essere ostruito, sepolto da pietre e da sabbia che si sono depositate in noi (Diario, 60, 201-202), ma che si rivela attingibile. Abitare sulla soglia dell’ascolto di me e del fuori, che risuona in un dentro ampio, vivo, inafferrabile, possiamo nominarlo spazio del mistero, del sacro, del divino, immerso nel più profondo di noi, che si affida alle nostre mani, alla nostra intelligenza, ai nostri cuori. Ancora alcune parole della Hillesum:
“Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu (Dio) non puoi aiutare noi, ma che siamo noi ad aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L’unica cosa che possiamo salvare in questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini. Sì, mio Dio, sembra che tu non possa far molto per modificare le circostanze attuali ma anch’esse fanno parte di questa vita… E quasi a ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi…”. [Diario, 169-170]
Ritengo essenziale sottolineare questo gesto/possibilità di disseppellire Dio dal cuore umano, che è affidato alla responsabilità e alla libertà degli uomini e delle donne. Un Dio che precipita dal cielo regale della trascendenza e della separatezza, per accadere in una relazione, con tutta la precarietà e l’instabilità che questo comporta, in continua modificazione reciproca, dove niente è garantito. Un Divino che affiora come in-vocazione di senso e di amore che attende di risorgere dal sepolcro del cuore per poter irradiarsi come relazione accogliente, giustizia, magari felicità. Il nuovo che può abitare in ogni istante spingendo, per nascere, in ognuno di noi.
Un’altra donna, Gabriella Caramore, evoca la fede con tonalità simili a quelle che abbiamo sentito risuonare in Etty Hillesum:
“Che cos’è poi la fede se non la possibilità, per grazia, di aprire gli occhi su questa luce scesa in mezzo alle nostre oscurità, e darle la possibilità di raggiungerci con i suoi bagliori, e renderle più lieve la fatica di non spegnersi, ma di durare?” [CARAMORE, 2008, 238].
“Aprire gli occhi”, e scoprire che i nostri corpi sporgono su fondali insondabili, si distendono come galassie di senso in formazione sepolte in noi, che attendono il nostro crescente coinvolgimento. Energie che attendono di essere disseppellite perché dell’altro possa tralucere, generando vita ulteriore con le nostre parole e i nostri gesti, con le scintille di invenzione che si sprigionano al contatto con la realtà, e fanno del nostro mondo un cantiere aperto, nel quale mettiamo al mondo il senso.
Noi spesso cadiamo nella tentazione di assicurare o di stabilizzare la vita attraverso spiegazioni e abitudini, controlli e ripetizioni, discorsi e definizioni. Tendiamo a chiudere la realtà umana e divina in assoluti, fissazioni, ideologie in cui imprigioniamo noi stessi… Ma la vita, e Dio quale sua perenne scaturigine, non sono mai fissi e fissabili, pena il loro arrestarsi mortale, ma si manifestano emergenti dalle profondità dei corpi, si mettono nelle mani, nelle scelte, nelle azioni delle creature, non diversamente da Gesù, che ha raccontato nella sua carne l’amore di Dio.
Vivere è abitare nella possibilità afferma Emily Dickinson. Per la fede vale la stessa attitudine. È l’abitare nelle possibilità offerte da un Dio che non si lascia rinchiudere nelle nostre codificazioni, il Dio nascente nelle nostre personali accoglienze ed espressività, nell’apertura alle sue ispirazioni, diventando grembi di quel Soffio vivo che non sai di dove viene dove va, che ci immette in un incessante processo trasformativo, che nemmeno io so immaginare dove mi condurrà.
Il poeta Gerald Hopkins si rivolge a Dio dicendogli: come acqua di fonte / sgorgo dalla tua mano. Io sgorgo da Dio: non sono un prodotto finito, ma sono un flusso continuo di creazione. Una persona che vive il mondo come bell’e fatto faticherà a scorgere nel mondo il dito di Dio all’opera, quel Vivente che ci aspetta ad ogni istante nell’opera che stiamo compiendo, sul gesto che stiamo facendo, sulla parola che stiamo pronunciando, sul silenzio in-vocante che lasciamo affiorare, sul de-siderio che siamo...
L’emergenza spirituale, il vino nuovo che siamo chiamati anzitutto ad accogliere, è la generazione di noi stessi, il novum che il nostro essere porta al mondo, il potere incarnato nella novità irripetibile di ciascuno, tutto quello che iniziamo e che ci rende ogni giorno nuovi: ciascuno di noi è un granellino di sabbia del cosmo, e tuttavia è questo granellino e non un altro, mistero concreto, nucleo sorgivo, novità vivente che va al di là della mia immaginazione, in cammino verso qualcosa di sconosciuto e di nuovo, passando per momenti di precarietà e di incertezza, di scelte ambivalenti e limitate, di instabilità, e talvolta di rovesciamento e di distruzione degli otri vecchi, o delle forme ricevute.
Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi, canta il salmo 139. Tutto è ancora in formazione! Io, noi, la storia, il cosmo… siamo in una travagliata, informe generazione che spetta anche a noi di compiere, in questo frangente dell’evoluzione umana. Un esercizio che magari ci invita e ci abilita a diventare più autonomi e creativi, a superare il prolungamento indefinito del nostro stato di inferiorità, di dipendenza infantile da principi e vincoli d’autorità determinati da quelli che crediamo conoscano meglio di noi quali siano il nostro bene o il nostro male, mentre nessuno può esporsi, esistere e scegliere al nostro posto. Educarci all’ascolto interiore, al respiro, alla voce interiore, per allargare gli spazi della nostra interiorità, la capacità di orientamento, la disponibilità alla trasformazione… Quando siamo sconnessi alla nostra voce e al nostro respiro, infatti, aumenta la nostra debolezza, che altri possono usare per stabilire un loro potere o per minacciarci. Mentre la vita vuole far sorgere, con il nostro volto, un nuovo mondo, un’estasi di sé che non è mai esistita prima, di cui siamo i generatori responsabili e adulti.
Connettiamo quanto siamo venuti scoprendo, con lo stile evangelico di Gesù.
Gesù colloca la persona, con i suoi aneliti, i suoi limiti, le sue impossibilità al primo posto, e la legge, le strutture, o le teorie umane sono poste a servizio della fioritura delle persone (il sabato è per l’uomo e non l’uomo per il sabato, Mc 2,27). Egli non mette al primo posto i principi stabiliti, immutabili e universali, sotto il cui peso si devono piegare tutti allo stesso modo, ma introduce la variabile della singolarità: ogni situazione umana va accolta, ascoltata e interpretata perché ne possa scaturire il meglio, un di più, un oltre, perchè anche dall’esperienza del negativo possa nascere una nuova significazione.
Il cristianesimo inizia con Gesù che rivolgendosi all’altro/a incontrati per via non mette di mezzo il peso di cose già decise o rifiutate, di questioni già formulate, di scelte già giudicate, di regole e principi già stabiliti, ma a tutto guarda per quello che di nuovo, umano, possibilmente felice lì, in quel contesto, può accadere. Riconosce le condizioni contraddittorie che ci imprigionano, tra ciò che viviamo e ciò cui aspiriamo, ma offre possibilità di trasformazione, sguardi innervati alla speranza di un cambiamento, che permettono alle persone l’opportunità di diventare quello che ancora non sono, sconvolgendo la macchina della ripetizione e della necessità.
La fede rinasce dall’attraversamento di una distruzione, di una kenosi, di una presenza infranta che, risuscitata dall’Amore, si ritrae e fa segno ad un futuro veniente, a ciò che ancora manca, al limite da aprire, agli spazi imprevedibili che Dio si apre nel nostro desiderio e passione, attesa e affidamento.
Spunti per una pratica generativa:
- Quali spazi personali di coltivazione degli affetti e della riflessione, quale arte dell’interiorità ci stiamo offrendo, per sviluppare quell’energia creatrice e amante che lo Spirito di Gesù continua a suscitare in noi, per corrispondere, personalmente e insieme, a quelle modalità nuove di vita e di relazione, di cura e di giustizia, di lectio umano-divina degli eventi?
- Cosa facciamo venire al mondo, come disseppelliamo il Divino in noi e fra di noi, tramite ciò che non ha ancora avuto luogo e che attende di avvenire?
- Come stiamo in presenza del negativo, nella nostra esistenza, e troviamo vie di trasformazione?
Il nuovo in noi, il sopravvenuto,
è entrato nel nostro cuore, è penetrato
nella sua carne più interna e anche là
non è più - è già nel sangue…
Noi non possiamo dire chi sia entrato,
forse non lo sapremo mai, ma molti
indizi suggeriscono che il futuro entra in
noi in questa maniera per trasformarsi in
noi, molto prima che accada.
[RAINER MARIA RILKE]
2. EMERGENZE KAIROLOGICHE, O E-DUCAZIONI ALL’INATTESO CHE AVVIENE
Dopo aver rilevato l’importanza della fedeltà alla nostra singolarità, dell’assumerci la responsabilità di farla fiorire, di crescere come adulti autonomi, che dispiegano il proprio cammino senza rinunciarvi per paura, occorre ora sottolineare che la nostra soggettività è sempre inter-soggettiva. Essere, nella rete della vita, significa inter-essere, in quanto siamo connessi gli uni agli altri, e in un mondo di inter-connessioni ogni tipo di assolutismo deve lasciare il posto al relazionalismo, nel quale ogni soggettività è esposta agli altri, dai quali codipende e con i quali interagisce.
Nel contesto dei mutamenti epocali in cui siamo coinvolti, in cui ogni corpo personale e sociale si rivela un’evoluzione parziale e incompleta dell’umanità, credo che il secondo esercizio spirituale, dopo quello del diventare nuovo organo di senso, riguardi l’educazione all’ospitalità delle differenze, l’addestramento alla coesistenza con l’altro, con gli altri, non solo in quanto parti di specifiche famiglie culturali, nazionali, politiche, religiose… che tendono a formare un tutto esclusivo e identitario, che crea i diversi, gli estranei e i nemici da colonizzare e sottomettere.
Abbiamo piuttosto da imparare a crescere, [IRIGARAY, 2009], fino a raggiungere una maturità e una libertà che si modula in funzione degli esseri umani e non-umani che la circondano, irriducibili alle proprie soggettività, per trovare con gli altri un mondo sempre in divenire, dove ogni vivente abbia la possibilità di esistere, in cui le differenze si intrecciano e si fecondano in nome di un’appartenenza universale e di una solidarietà con il mondo. L’altro, che sta al di qua o al di là del nostro mondo, può aprire un cammino per l’elaborazione di una nuova epoca culturale, ci apre una possibilità ulteriore di futuro.
Vorrei suggerire tre ambiti di emergenza in cui praticare questa spiritualità ospitale e speranzosa, in cui immaginare degli itinerari educativi: 1. Nascere ad una cittadinanza/ad un’etica mondiale 2. Accogliere un multiverso religioso 3. Accompagnare creativamente la transizione tecnologica.
2.1 Nascere ad una cittadinanza/ad un’etica mondiale.
Il recente, disperante decreto sull’immigrazione, testimonia la fatica ad accogliere la sfida che la specie umana non ha mai finora affrontato in modo così impellente, ossia di approntare le forme convenienti ad una civiltà globale composta di differenze singolari, dove convergono occidentali e islamici, turchi e confuciani, giapponesi e africani, buddisti e quaccheri… e innumerevoli altre civiltà, culture, spiritualità... Un incontro con lo straniero non soltanto fuori dalle nostre frontiere, ma all’interno delle nostre stesse realtà locali.
Per la prima volta nella storia ci viene offerta l’opportunità, mai data finora, in cui tutte le tribù umane possono incontrarsi e scambiare saperi, valori, tradizioni ed etiche; possono imparare a sentire, pensare e agire insieme, collegati da strumenti mediatici e da vicende globali che noi stessi abbiamo approntato, e che ora ci coinvolgono ancor più intensamente, per consentire a nuovi balzi creativi e collaborativi oppure, al contrario, per reiterare azioni possessive, repressive, distruttive.
Il motore principale che ha creato questa situazione mondiale interattiva è da attribuire ad un particolare sviluppo della razionalità scientifica, che ha dischiuso alle menti occidentali un intero universo regolato da leggi e da strutture organizzate. Dallo sviluppo delle sue potenzialità, questa razionalità ci sta conducendo oltre sé stessa, ci sta facendo cogliere l’inadeguatezza, la parzialità, la riduttività di un’interpretazione oggettiva e neutrale del mondo come struttura chiusa, fissata nella ripetizione ferrea e univoca dei movimenti, secondo leggi e principi calcolabili e prevedibili. Se tutto il reale viene infatti ridotto a fatti, a forza, e a materia, senza relazione ad altro, non c’è niente che abbia valore, significato, che si possa amare: siamo abbandonati sul freddo e immenso fondale dello spazio e del tempo, parti di un grande meccanismo.
Sono le stesse esplorazioni della conoscenza scientifica che oggi contestano una visione del mondo depurato di senso, per rivalutare le forme della vita che sente, che grazie ai linguaggi e alle relazioni diventa cosciente di ciò che vive. Sarah Kauffman, il principale teorico della complessità e dell’auto-organizzazione in ambito biologico afferma: “Siamo chiamati a ripensare il ruolo stesso della ragione, perché la ragione non può essere una guida sufficiente per vivere le nostre vite protese in avanti, che non sanno mai in anticipo quale sarà lo sviluppo delle nostre decisioni e delle nostre scelte” [KAUFFMAN 2008, 149].
In seno alle stesse scienze della complessità è sorta la consapevolezza che la ragione è una parte dell’immensità ancora misteriosa della vita che sta per emergere, che ci include tutti. La vita, nel corso immane dell’evoluzione, oltre alla ragione ci ha equipaggiati di altri strumenti per inoltrarci su territori o pozzi di non conosciuto sul quale sporgiamo: l’attitudine alla cura, al sentire, all’immaginare e all’intuire, al sognare e al costruire, al simboleggiare e al saper cogliere le opportunità, al donare e al pregare, al giocare e al danzare…
Scopriamo a poco a poco che questa vasta rete della vita cosmica, e della biosfera a cui apparteniamo, è la trama più complessa che conosciamo, in parte regolata da leggi ma in parte senza leggi: un processo febbrile e disordinato, gremito di eventi, di irreversibilità e di alternative, di rischi e di opportunità, pieno di irregolarità, di interruzioni, di tortuosità che diventa più intensamente libero e creativo a mano a mano che si complessifica e che si auto-organizza.
Diventiamo coscienti che l’evoluzione dell’universo, della biosfera, delle culture e dell’azione umana è profondamente creativa, che la vita sta rendendo possibile sempre più ampi spazi di creatività impensata, che in parte co-creiamo; ambiti da cui sono emerse le azioni, le intenzioni e i valori, la coscienza e i profumi, i sapori e le idee, le arti culinarie e architettoniche, le economie e le armi, le tecnologie e le politiche, le città e le religioni, i mondi virtuali e i sogni…
E tutta questa profusione di manifestazioni dell’Energia creatrice della vita non sono solo emergenti ma sono anche radicalmente imprevedibili.
E oggi, nel contesto interagente in cui viviamo, cosa chiede a noi, a cosa sta educandoci l’energia creatrice? Siamo in grado di aprirci e di corrispondere ad essa?
La peculiarità storica del momento in cui viviamo è definito da alcuni società mondiale del rischio [BECK, 2008], contraddistinto dalla possibilità di disporre, con le nostre decisioni, della vita sulla terra, orientandola verso l’accudimento o l’auto-annientamento. Il pianeta globalizzato sta vivendo un momento critico, affetto da un considerevole numero di problemi che vanno dalla crisi energetica al riscaldamento globale, dalle eccedenze demografiche alle migrazioni, dagli scontri culturali alle braci di follia, che cova sempre sotto la cenere, del riarmo nucleare, dai fondamentalismi religiosi alle enormi ingiustizie economiche, al pericolo di estinzione di molte specie animali o vegetali… Sebbene le stesse ricerche scientifiche ci stiano ammonendo sugli effetti disastrosi delle nostre scelte, sembra non siamo molto disposti a modificare le nostre antiche propensioni all’esercizio della forza, ereditate dal passato, e volte al profitto, al potere e al dominio. Siamo consapevoli di essere capaci di grandi atrocità in cui l’altro è sempre disumanizzato o distrutto…
Siamo messi alle strette, dalle minacce che incombono, a volgerle in nuove opportunità creative, ad inventare un ethos globale, un’etica mondiale che abbracci non solo le diverse culture, le civiltà e le tradizioni, ma tutto il vivente che ci circonda. Credenti o non-credenti, noi creiamo insieme i dispositivi che danno significato alle nostre vite in tutti i modi dell’ideare e dell’agire, della consapevolezza, del discutere e del decidere, e lo facciamo senza conoscere ogni cosa, e dobbiamo scegliere e agire includendo l’incertezza e la nostra inevitabile ignoranza.
Da dove nascono questa fede e questo coraggio, questa speranza della vita di cui siamo parte?
Fede e coraggio sono sacri, sono sacre le nostre scelte a favore della vita, della nostra, di tutte le specie, del pianeta intero e di tutti quelli che verranno.
È, forse, questo universo emergente di creatività incessante, la salvaguardia creativa del mondo, la culla del sacro che dobbiamo reinventare, del quale noi stessi siamo parte, verso cui ci protendiamo? Assumere una nuova visione di Dio come la straordinaria creatività che ci avvolge e ci accomuna, come quella sorgente che tutto vivifica ed è immanente presenza, nella cui luce tutto è interconnesso e diviene?
Siamo invitati dalla presente situazione di convergenza del mondo ad assumere la creatività come senso di Dio immanente al mondo, invitati ad accogliere il mondo come il corpo manifesto di Dio, che è la sorgente e la promessa dell’immenso divenire. È un invito a condividere una visione creativa del mondo affidata alle nostre mani e alle nostre sapienze, alle nostre culture, con umiltà e tolleranza, con la consapevolezza dell’impensato e dello sconosciuto, non sapendo quale sarà l’esito della storia evolutiva, nel momento in cui i suoi sviluppi dipenderanno dalle nostre scelte.
Possiamo reinventare il sacro, un’etica globale, partecipando ad uno spazio condiviso, uno spazio spirituale aperto, non minaccioso per la nostra creatività, e possiamo nominarlo Dio.
Dio come il nostro nome che sta per la creatività incessante e inedita nell’universo, nella biosfera, nelle nostre vite, nell’umanità come progettualità e come sviluppo, come un’instabile struttura di transizione verso altre misure dell’esistere, affidandosi alla nostra contingenza, in una interminabile migrazione attraverso tutte le forme possibili della vita, verso lo svelarsi senza più riserve della pienezza dell’Amore…
Spunti per una pratica generativa:
- Come edificare insieme un’etica condivisa della vita che accoglie complessità e differenze?
- Quali occasioni ci offriamo per invitare altri sguardi, estranei al nostro, che potrebbero dischiuderci altre prospettive?
- Come educarci a coniugare le scoperte di nuovi sensi e prospettive del mondo, che emergono dalle conoscenze, e il mistero cristiano del mondo?
2.2 Accogliere un multiverso religioso
In concomitanza con l’educazione ad una cittadinanza e ad un’etica globale, con il riconoscimento che questa coscienza creativa del mondo ci rende partecipi dell’Energia creatrice divina, vorrei accennare ad un ulteriore tratto che contraddistingue il nostro tempo: l’incontro e, talvolta, lo scontro delle tradizioni religiose dell’umanità.
Alle sorgenti delle diversità religiose e del loro attuale incontrarsi vorrei scorgere quel Potenziale, quella Dynamis creativa del mondo che ci ha condotto fino a questa soglia evolutiva, in cui ci interroghiamo sul destino della specie umana e sulla salvezza della terra. Ci stiamo rendendo conto che tutti apparteniamo a questa avventura immensa e imprevedibile della storia cosmica e terrestre, e che possiamo essere umani, saggi, e religiosi nelle forme più diverse.
Il contatto con altre percezioni, fedi, significazioni del Trascendente ci apre oltre noi stessi, rispetto alle clausure del passato, nelle quali ciascuno viveva asserragliato nella propria visione del mondo. In questo tempo opportuno possiamo scoprire che solo entrando nella casa dell’altro possiamo essere sorpresi da una presenza di Spirito che anima già gli abitanti di quella casa, come scoprirono, pieni di stupore, Pietro e alcuni fratelli, quando corrisposero all’invito di recarsi presso il centurione romano Cornelio (cfr. At 10).
L’incontro tra fedi differenti può rappresentare l’opportunità di scoprirci, ciascuno, parte della grande famiglia umana nella quale ogni espressione religiosa è riflesso, singolare e inedito, della realtà immensa che simboleggiamo nei mille nomi e nei mille volti di Dio. Ciascuna delle tradizioni spirituali, a cui le persone o le comunità appartengono, nasce da una particolare esperienza del mistero aperto del mondo, cerca di testimoniare una vita piena di significato, e indica delle pratiche di vita che esprimono un rapporto con il sacro. Ciascuna di queste forme rivela dei serbatoi di virtualità latenti nell’essere umano.
Scopriamo magari che il Divino, mistero incontenibile, è anima e soffio di tutte le espressioni testuali, rituali ed etiche che lo esprimono, e tuttavia non è da nessuna esauribile e possedibile, ma dal quale tutte ricevono energia e vita. Un Divino che ci inizia alle ricchezze, alla vastità, alle profondità immense del suo mistero sempre più grande di tutti i nomi, e di nessun nome in esclusiva. Sorgente all’origine di tutte le Parole, essa ne è l’oltre, in una incolmabile distanza a cui tutte sono sospese e rivolte. Un Dio che fa segno alla creatività emergente che figura, disfigura e rifigura il flusso incessante della vita.
Tale emergenza ci sollecita a non asserragliarci in identità chiuse e arroganti, che pretendono di essere il centro esclusivo del mondo, la parola definitiva di verità dall’alto della quale giudicare ogni altra esperienza, ma di vedere ogni spiritualità in quanto interprete del trascendente che inibita l’umanità, in quanto ciascuna può accrescere spiritualmente la vita degli altri, dove il valore di ciascuna si misura nei suoi frutti di comunione e di umanità, di apertura ad un mistero più grande di sé.
In questa prassi dell’accoglienza reciproca scopriamo, forse, che la realtà del Regno è già inaugurata, condivisa, ci scopriamo co-creatori di nuova umanità in Dio, mistero incomprensibile che tutti ci ospita.
Nel contesto inter-religioso, i misteri del cristianesimo sono aperti e dialogali:
- Il nucleo del cristianesimo non consiste in un Uno totalizzante, che dissolve le differenze, né in un tutt’Altro separato, ma è un divino incarnato nell’ininterrotta eternità del divenire, si dispiega nella relazione trinitaria fra libere e irriducibili differenze, e per il quale la vita in questo mondo è infinitamente importante.
- La creazione è immaginata come un’emergenza progressiva di libertà, coscienza e amore che l’Energia creatrice dispiega nelle strutture viventi, rendendole progressivamente capaci di accogliere sempre nuove qualità di vita, di relazione, di giustizia...
- In Gesù, Figlio di Dio, anch’egli in gestazione in seno all’universo, il processo evolutivo giunge a rivelare la capacità di un Amore che fin dall’inizio sorregge il flusso della creazione. Nel dio-uomo la forza creatrice si manifesta con un volto inedito, fuori da rapporti di sudditanza o di timore, di condanna o di minorità, immettendo atteggiamenti di fiducia nella tenerezza divina a tutti promessa e rivolta, di dono incondizionato di sé a favore della liberazione da forme imprigionanti e morti-ficanti che regolano i rapporti con gli umani, il mondo e Dio.
- Il culmine della rivelazione è la risurrezione come definitiva liberazione dai limiti contrapposti all’amore, e l’effusione dello Spirito che si versa negli otri della coscienza che gli offriamo per rinnovarla, per strapparla dalla legge scritta e imposta all’esterno, per scrivere quella dell’amore nei nostri cuori di carne, coinvolgendo la libertà e il rischio del farsi umano.
- La storia del cristianesimo non è un fossile pietrificato nelle sue formulazioni dottrinali e nelle sue espressioni storiche, ma è un organismo animato dallo Spirito, che cresce e si arricchisce in comprensione e in capacità di amore a beneficio di tutta la famiglia umana. In questo contesto scopriamo una universalità cristiana di segno opposto: non tanto l’imposizione di un’unica verità escludente, ma l’esposizione a tutta l’umanità dell’offerta di amore di cui il mondo può alimentarsi, eucaristicamente metabolizzandola.
Spunti per una pratica generativa:
- Nei nostri gesti, linguaggi, e riti religiosi dovremmo imparare ad introdurre la presenza rispettata e amata di questo Dio plurale, più grande, universale, di tutti i nomi e di nessun nome in esclusiva; e che è sempre il Dio dell’amore, della speranza, della pace.
- Nei nostri incontri, discorsi, celebrazioni, possiamo educarci ad un atteggiamento di empatia che cerca di accostarsi agli altri come essi stessi si comprendono, e non come noi li definiamo, evitando espressioni, segni, gesti dispregiativi.
- Nell’incontro con le differenze, ci accorgiamo che si aprono tante possibilità di credere e di vivere, senza mai doverle risolvere in una sintesi o sistema definitivo. Questa prossimità diventa occasione di tensione interminabile che ci tiene aperti gli uni agli altri.
- Dovremmo introdurre, nella nostra tradizione religiosa, un principio di critica interna che lascia il sistema aperto ad una revisione incessante. Aiutare gli ambienti in cui viviamo a superare fondamentalismi, esclusivismi, superstizioni, interpretazioni che non sono più all’altezza dei tempi…
2.3 Accompagnare creativamente la transizione tecnologica.
Da sempre l’uomo è un natural-born cyborg, come si esprime Andy Clark, un organismo costitutivamente cibernetico che non possiede un profilo definito e concluso, ma è l’esito sempre aperto e incompleto di un processo di ibridazione con il non-umano che è l’ambiente, le specie animali, gli strumenti tecnologici, che modificano continuamente i processi della vita, superandone i confini biologici.
In quest’ultimo scorcio della nostra civiltà, tuttavia, attraverso una complessa catena di eventi si sta prospettando un salto di qualità incomparabile per efficacia e rapidità con i precedenti sviluppi: siamo condotti sul bordo estremo di una soglia, oltre la quale ci aspetta un passaggio pieno di rischi ma anche di straordinarie opportunità.
Il mondo in cui stiamo entrando è un destino preparato da milioni di anni di evoluzione, che attraverso la pressione selettiva si è fatto in noi coscienza e cura, affidandosi sempre più interamente alle nostre mani, producendo una cultura capace di sostituirsi, con la propria tecnica, al processo che l’aveva prodotta: tende alla totalizzazione tecnica della natura [SCHIAVONE 2007]. La pervasività della tecnica, infatti, altro non è se non l’espansione dell’intelligenza umana in cammino, per appropriarsi fino in fondo del proprio destino, affidandoci la responsabilità di orientare in modo sempre più determinante l’intero processo della vita.
Finora abbiamo immaginato la natura come un’immobilità di fondo, posta al di fuori di qualsiasi trasformazione, sottratta al mutamento, custode di regole, principi e limiti dati una volta per tutti, sacri, vincolanti e inviolabili: ci siamo fatti l’idea di un ordine naturale. Solo in tempi relativamente recenti siamo venuti scoprendo che niente di quanto chiamiamo natura è mai stato fermo, che nulla è immobile nell’universo, ma cosmo, terra, e vita sono divenuti, hanno una storia.
L’ordine naturale, sia esso le galassie, le forme di vita, o i concreti valori etici e sociali che di volta in volta sono stati affermati nel corso della storia e delle culture, ai quali ogni epoca ha affidato le proprie certezze, sono le proiezioni di particolari contingenze storiche, rappresentano un ordine provvisorio.
La natura umana, il nostro corpo anatomico, è semplicemente la forma attuale della nostra specie, una modalità provvisoria di abitare il tempo, una figura della transizione che stiamo continuamente cambiando. Le basi naturali della nostra esistenza, ciò di cui siamo eredi, smettono gradualmente di essere un presupposto immodificabile dell’agire umano, e diventano il risultato determinato dalla nostra cultura. Ci stiamo muovendo verso una storia della vita orientata non più dall’evoluzione ma dall’intelligenza. Sostituire l’intelligenza all’evoluzione significa far cadere ogni barriera fra naturale e artificiale, fra ciò che è naturalmente divenuto e quello che invece è prodotto tecnicamente.
Il mondo in cui stiamo entrando è quello di una convergenza fra rivoluzione informatica/ intelligenza artificiale, e quello della biologia, ossia della biotecnologia o bioinformatica. Ray Kurzweil chiama questo trascendimento delle nostre radici biologiche la Singolarità, che ci proietta oltre i confini della specie, non più ‘naturale’, ma del tutto ‘culturale’. Cosa sarà umano in questo mondo in transizione? Forse, il fatto che la nostra specie cerca costitutivamente di estendere le sue capacità fisiche e mentali oltre i limiti stabiliti, di fronte all’emergenza di nuove situazioni, ricerca nuove risposte, in un processo che si amplifica all’infinito, oltre le forme che di volta in volta ci vincolano.
Il futuro della tecnica, infatti, non è quello di aggiungere qualcosa alla nostra natura umana, lasciandola così com’è, per come ci è stata consegnata dallo sviluppo evolutivo, ma è quello di sostituirsi completamente alla natura, per dar vita a qualcosa per ora inimmaginabile, ma che pur comincia a profilarsi sotto i nostri occhi e che riempie già, per infiniti presagi, l’orizzonte delle nostre attese e delle nostre speranze. Siamo sempre meno definiti dai nostri limiti naturali, e sempre più possiamo incidere sui modi e sulla qualità del nostro essere al mondo: dal nascere al morire, dal benessere del corpo alla politica, dal lavoro alla costruzione della personalità, al come pensiamo, comunichiamo, agiamo… Mappatura del genoma, trasformazioni genetiche, determinazione sull’ingresso e sull’uscita della vita, produzione di cellule staminali, metodi di clonazione, fusione fra nanotecnologie e bioingegneria, incorporazione di protesi elettroniche nel corpo umano… Tutto entra gradualmente nel raggio delle nostre scelte, comincia a dipendere dalle nostre azioni, decisioni, pratiche.
Lo scoprirci implicati in quest’avventura senza precedenti ha conseguenze così radicali, che l’intera umanità ne uscirà radicalmente trasformata, e per questo il presente ci chiede di ridefinire noi stessi, il significato delle nostre esistenze e delle nostre scelte, un addestramento dell’anima alla speranza nel futuro.
La ricerca scientifica dota gli uomini di poteri immensi, ma ciò di cui la scienza non ci avverte è che uso convenga fare di tale potere, o da quale uso astenerci, o come personalizzare le capacità tecnologiche negli ambiti specifici delle loro applicazioni. Per questo siamo chiamati alla reinvenzione di una spiritualità che sostenga questo straordinario passaggio, ossia che integri e connetta tecnoscienza e controllo politico, responsabilità etica e progettualità sociale.
Accondiscendendo alla speranza del bruco di diventare prima o poi farfalla, l’umano si apre, attraverso le tecnologie che sono espansioni ed emanazioni dei nostri corpi, sull’infinito. Grazie alla compenetrazione fra corporeo e tecnologico, siamo sempre meno prigionieri di situazioni che ci vincolano, incrementando le opportunità di liberazione dalle innumerevoli costrizioni che ci inchiodano al patimento.
Come connettere questo vertiginoso sviluppo della tecnologia con il Cristianesimo?
Il cristianesimo è annuncio dell’in-carnazione di Dio, e contemporaneamente dell’assunzione dell’umano al divino genera uno sguardo illuminato dalla speranza, che scommette sulla possibilità di un cambiamento, di una trasformazione operata dalla forza dell’Amore che avvicina e connette l’uomo a Dio. Esso ci conduce fino alle soglie dell’evento inaspettato della resurrezione, o ingresso definitivo della nostra interezza umana nella vita divina.
Il vangelo annunciato, praticato e avviato da Gesù contribuisce ad emancipare le persone dalle limitazioni naturali delle malattie e della morte, dai vincoli culturali che determinano innumerevoli condizioni di minorità, di sudditanza, ossia modifica gli orientamenti ereditati biologicamente e socialmente, contesta i discorsi/pratiche che installano Dio e il sacro a ridosso della forma attuale della specie. Fa saltare le rigide demarcazioni fra reale e possibile, lecito e illecito, umano e divino, finito e infinito…
Si profila un Dio d’Amore che genera figli e figlie finalmente adulti, interfacce a sua immagine e somiglianza; un Dio che si rallegra di un umano che diventa progressivamente responsabile della propria forma biologica, padrone della propria capacità e competenza creativa, e delle reti di comunanza che estende: un umano a sua immagine e somiglianza, creativo, progettuale e amante come la Sorgente da cui scaturisce e verso cui è destinato.
Un’educazione spirituale che oggi ci abilita alla speranza potrebbe favorire e incoraggiare:
- una visione che sa scorgere il divino nell’accrescersi infinito delle facoltà umane, e non nella sacralità della natura come vincolo e come barriera
- una fede che crede nello spirito della trasformazione e non della conservazione
- crede nello spirito dell’emancipazione e non della minorità eterna della specie umana
- crede in uno spirito che non rifiuta l’aumento illimitato della potenza della tecnica, ma ne determina gli obiettivi e le modalità
- una fede che non considera come eterno nessun assetto biologico o sociale, ma accetta di vederli tutti come figure del mutamento e della transizione
- uno spirito che cerca le sue leggi non nella natura, ma nella ragione e nella sensibilità delle donne e degli uomini della nostra specie; assumendo provvisoriamente l’esistenza di valori in quanto anch’essi sono storicamente determinati
- uno spirito che assume l’esistenza di valori non negoziabili, ma solo in quanto anch’essi storicamente determinati: assoluti non nel senso della loro trascendenza, ma in quello della loro indisponibilità e immodificabilità nella situazione data…
CONGEDO
Dio risorge…
- risorge nel respiro discontinuo e incerto delle nostre speranze…
- risorge nell’offerta di un orizzonte ulteriore nei momenti di scuotimento e di prova…
- risorge come cuneo e come breccia nei sistemi irrigiditi che ci opprimono…
- risorge come passione esorbitante, che deborda le pelli delimitanti i corpi,
per realizzare relazioni fino ad ora impensate…
- risorge nella faticosa e promettente dinamica ermeneutica delle tracce divine nella storia…
- risorge nelle emergenze casuali che ci sconcertano, per educarci ad una nuova prospettiva…
- risorge scommettendo sulla novità che ci inabita…
- risorge dal pianto di tutte le ingiustizie che attendono riscatto…
- risorge nel coinvolgimento arrischiato e insicuro della coscienza con le sue domande, i suoi dubbi, le sue ricerche…
- risorge nella presenza che si sottrae, e rinvia ad un Atteso che giunge inaspettato…
Quel tuo nome che non sappiamo
cantare per intero
tu che spingi le cose fino alla fessura
di questo mondo e le corredi
d’ombra e di mistero.
Niente tu sei. Il più bel
niente in attesa che il respiro
si faccia orma terrestre,
segno, piega, spigolo e lato
e forma. Attesa e segno.
[MARIANGELA GUALTIERI, 75]
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GIANCARLO GAETA, Le cose come sono. Etica, politica, religione, Libri Scheiwiller, Milano 2008.
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