giovedì 12 marzo 2009

Su Il mio cane di Gino di Maristella Olivieri


Cara Maristella,
innanzitutto complimenti.
Sinceri complimenti, per la scrittura ed il contenuto.
Questo libro, che ho terminato di leggere ieri sera, da opera prima è un bel “carico da undici”.

È la tua “opera prima” pubblicata, ma cosa hai scritto in precedenza, per arrivarci?
Come sei arrivata a questo lavoro così preciso nel lessico e nella sintassi?

Ti confesso che, dopo averti sentito e visto nella presentazione di sabato scorso a BookModena, e prima di iniziare a leggere il libro, mi si era parata davanti una domanda maliziosa: “Non è che questo primo libro sia un esercizio letterario per mettersi alla prova?”
La domanda non era solo maliziosa, era proprio una domanda carogna.
Ma quasi inevitabile nei confronti di una persona che si presenta così bene come ti sei presentata tu.

Poi, fortunatamente, sono passato alla lettura.
Ed ho trovato molto contenuto.
Ho trovato, in ogni capitolo, accanto alla narrazione-diario del presente-considerazioni sul passato- della protagonista, la comunicazione dei tuoi pensieri anzi, di più, delle tue idee.
Comunicare idee è, secondo me, la cosa più importante che possa e “debba” fare chiunque scriva, a maggior ragione chi si ingegna per esser pubblicato.

Mi è piaciuta l'alternanza, nella sequanza dei capitoli, di racconto, di sfoghi, di epistole, di “discorso diretto”: ogni capitolo è scritto tutto e, spesso, con una e una sola sola di queste forme.

Mi è piaciuta la scelta del personaggio-protagonista, una donna nevrotica ma non troppo, in fondo esattamente come buona parte delle donne e degli uomini che popolano il mondo, di un'età non del tutto definita e definibile e dal tratto somatico (se si escludono i capelli rossi) più da immaginare che da vedere: insomma, ognuno di noi.

Perfino la collocazione, sapiente, delle “parolacce” è perfettamente centrata, e non è da tutti.

Torno al lessico, ricchissimo, e alla sintassi, bella chiara.

E torno alla maliziosa domanda che mi frullava in testa e che avrei dovuto subito rinnegare.
Dovevo capire, prima, che la tua età (dichiarata, nel risvolto della controcopertina, con l'indicazione del tuo anno di nascita) è quella in cui, conclusi gli studi, iniziato, ma da poco, il lavoro, con la sfida immanente ed incombente del decidere se e come perpetuare la specie, esige di mettere in ordine le idee-cardine su sé e sul mondo.
Era avvenuto, alla stessa età, a me (lo ricordo nella presentazione del mio libro) e non c'era motivo che non avvenisse a te (e a tutti quelli che sono in questa fase della vita, come ad esempio Guido Passini, che abbiamo conosciuto nella presentazione di sabato scorso sempre a BookModena, il cui lavoro, benché di argomento “specifico”, anch'esso risponde a questo bisogno).

Quando la necessità del mettere in ordine le idee si sposa, come per te, con la bravura e la gradevolezza dello scivere, vengono poi fuori questi bellissimi risultati.

Prima di concludere voglio riportare un passaggio del libro, un passaggio che sento molto affine al mio modo di essere e pensare:

«Non penso che invecchierò e che avrò nipoti a cui insegnare, ma se invecchiassi e ne avessi, insegnerei. Perché è l'unico senso che trovo nell'ingiuria della senilità.
Siamo ciò che abbiamo fatto, che abbiamo detto, visto e sentito; le persone che abbiamo conosciuto, ciò che abbiamo mangiato e pianto.»

Ora, in attesa (e senza metter fretta, ci mancherebbe) del prossimo “carico da undici”, posso passare a leggere la postfazione e a rileggere il libro.

Con grande ammirazione ed affetto.

Nino Di Paolo
12.3.2009



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