recensione di Vincenzo D'Alessio
Ho letto il primo libro di Nino Di Paolo con entusiasmo e leggo con la stessa motivata passione questa seconda parte della sua sagace scrittura. A guardarlo con attenzione questo lavoro sul primato della pietà ha il sapore di un amarcord per quella parte buona della società, del nostro passato ventesimo secolo, che ha dato tanto, direi molto, con l’esempio della propria vita onesta sul campo.
Lo dice bene lo scrittore quando afferma, nel capitolo “consigliare i dubbiosi” che per capire il mondo, la cui brutta copia stiamo vivendo sulla nostra pelle in questi giorni, comportava: ”Capire come essere: qui comprendersi e sintonizzarsi fu molto semplice. La linea di discrimine fu presto definita tra il fare le cose per interesse personale e il farle per gratuità. (…) Nessuno, nella propria attività lavorativa, pose mai la “carriera” al vertice dei propri pensieri.” (pag. 58)
Tutti quelli che oggi hanno cinquanta e più anni l’hanno pensata così fino a quando non hanno capito che gli stessi amici, e i furbi che non mancano mai nel nostro paese, hanno fatto più strada pensando di sfruttare questi uomini di sentimenti.
Questo è il buono della scrittura del Di Paolo, questa è la strada maestra nella quale vengono alla luce le figure dei nonni, dei collaterali, tutte protese alla quotidiana ispirazione di un lavoro che realizzi: a differenza del Sud che ha vissuto di appoggi continui verso la politica e che non svecchia, in questo modo, le fila di quanti lo rappresentano ma ne subisce tutta la negatività che sfocia nell’emigrazione. Non per elevare critiche ma i partigiani si sono formati, e hanno realizzato il loro impegno per la libertà, nel Nord della nostra penisola, così come nel centro nord sono nate le prime cooperative e il senso di collettività che ancora pervade una parte piccola dei sessanta milioni degli italiani odierni.
In verità la passione che emerge dal primato cristiano delle virtù teologali in questo racconto lungo è molto più vicina ad una passione laica e critica dell’esistenza, contemperata da una forte carica di cristianità che avvicina lo scrittore alla stupenda esperienza di David Maria Turoldo e alla luminosità del messaggio conciliare del Vaticano secondo, non al fronte del cristianesimo dell’apparire tanto attuato ai giorni nostri. Le lotte che il Nostro ci riporta alla memoria sono le lotte collettive che, come in una lezione vichiana, si sono ripresentate come ricorsi di una Storia di uomini che, da bravi italiani, vivono ignorando volutamente la propria memoria civile.
Una buona prova d’autore. Una scrittura semplice e bene articolata nelle proposizioni brevi e non argomentate con paroloni da scrittore consumato. Una satira asciutta. Una morale consona ai lettori del nostro tempo, troppo attenti ai video e poco sciolti con letture che testimoniano il primato della Vita.
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