mercoledì 26 novembre 2008

Su Il primato della pietà di Nino Di Paolo

recensione di Maria Rita Ferrara (nickname forum www.cicloweb.it: Donchisciotte) visibile qui: www.cicloweb.it/forum/viewthread.php?tid=2133&page=8




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postato il 23/11/2008 alle 00:45
Un pomeriggio libero, da stare in casa, con la pioggia e le raffiche di vento fuori, è una rarità preziosa e non volevo sprecarla.
Avevo da leggere da qualche giorno il libro Il primato della pietà di Nino Di Paolo, Edizioni Faraeditore. Nino è Nino58 del forum. Non so se qualcuno ne ha già parlato, né so se Nno58 ha piacere che io ne parli pubblicamente.
Da leggere da qualche giorno perché ero un po’ frenata dall’idea che fosse un libro troppo cattolico, dato il momento di assoluta insofferenza per tutto ciò che è cattolico. Sbagliavo e non avrei dovuto sbagliare perché ho letto anche il primo libro di Nino.
Non sono una critica letteraria e non giudico i libri come una critica, li giudico per quello che mi danno, per quanto mi prendono, per quanto mi coinvolgono, per quanto mi fanno pensare ecc.
Il libro di Nino mi ha coinvolto moltissimo, abbiamo la stessa età più o meno, le cose che racconta (sia pure considerate le tante differenze) sono “familiari” per tutti quelli della nostra generazione.
Mi ha colpito lo spessore umano di Nino, la densità del suo riflettere sulle esperienze di ogni giorno, mi ha commossa ripensare agli anni in cui ogni decisione (un lavoro, lo studio, andare a un funerale, pensare a chi aveva scelto altre forme di lotta ecc.) era una scelta epocale, che coinvolgeva la coerenza e il modo di stare al mondo.
Mi ha colpita l’idea del “primato della pietà” di fronte agli ultimi (il ladro massacrato che ricorda un’immagine dello sceneggiato su Boezio) e il rigore politico, culturale, morale di fronte allo sfruttamento, all’organizzazione del lavoro che conculca l’umanità del lavoratore.
Mi è piaciuta tantissimo la coerenza intellettuale e la partecipazione umana di chi vede benissimo cosa sia la lotta di classe (quella dei “ padroni” contro i lavoratori), mi sono sentita riconciliata con un’idea di religione (che c’è in questo libro, intensissima) tanto diversa da quella delle istituzioni e delle gerarchie. Un afflato religioso in cui “io c’entro”.
La memoria è il nucleo dei primi racconti autobiografici (i migliori del libro, secondo me), la memoria che dà senso, che costruisce un senso anche là dove è difficile rintracciarlo.
Perché noi non saremmo gli stessi se non avessimo visto quella TV, se non avessimo fatto quelle lotte, se non avessimo tanto parlato, se non avessimo dentro di noi i nodi irrisolti di Pinelli, delle stragi, della complessità delle situazioni e dei momenti che abbiamo attraversato.
Ho passato un bellissimo pomeriggio, finendo di leggere, d’un fiato, il libro di Nino che racconta di sé in un esercizio non narcisistico, non solipsistico, non compiaciuto, molto intenso (è la parola che ho pensato più volte, leggendo), che chiede un’eco, una condivisione.
Un libro da leggere, che non esprime solo il primato della pietà ma anche quello della ragione, della passione esistenziale, della capacità di pensare, dell’onestà intellettuale, del disinteresse ( mai, mai, un pensiero al denaro o alla carriera), della religiosità (molto pasoliniana) che vede il sacro in ogni uomo e che esercita il rigore del giudizio ma mai sul peccatore. E quello che si impara è che “ là si produceva il pane per tutti e il companatico per pochi”.
La meglio gioventù, Nino, (sì, ogni generazione lo pensa di sé, in fondo), forse per questo è così difficile pensarci davvero adulti.

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