recensione di Francesco Mazzetta pubblica su «il manifesto» del 6-3-08
Che siano romanzi, racconti o opere teatrali, i libri di Drazan Gunjaca, ex ufficiale della marina militare jugoslava e ora avvocato e scrittore croato hanno precise caratteristiche in comune: i temi – l'ultima guerra balcanica e la drammatica frattura che essa ha procurato nei legami sociali e nell'intimo stesso degli animi – ma più ancora il registro stilistico, che è al tempo stesso di tragedia e di farsa. Se la tragedia riflette ovviamente gli eventi descritti o evocati, il registro farsesco è meno scontato e si esprime attraverso seriose discussioni e/o divagazioni, palesemente iper-letterarie, che sembrano voler razionalizzare il dolore dell'esistente.
Nell'ultimo romanzo di Gunjaca, Buona notte, amici miei, pubblicato da Fara (pp. 303, euro 15) la guerra balcanica rimane sullo sfondo, ma non di meno è il motore propulsivo della vicenda. Ne sono protagonisti Mario, ex ufficiale della marina jugoslava e poi combattente tra le file croate fino alla condizione attuale di pensionato di guerra grazie alle ferite riportate, e i suoi amici di Pola, in particolare Fabio che, a differenza di Mario, non ha fatto la guerra. L'amicizia tra i due è però tanto forte che quando l'ha saputo ferito si è spinto fino al fronte per assisterlo nell'ospedale militare. Anche a guerra finita, Fabio continua a preoccuparsi per il suo amico, molto depresso per tante perdite, e in particolare per quella della moglie serba che, allo scoppio della guerra, se n'è andata con i due figli in Australia senza più far ritorno. Particolarmente comico, a questo proposito, è l'incontro di Mario con l'ex amante Helena che constata – con caustiche razionalizzazioni che il diretto interessato non si sogna di confutare – come l'ardore sessuale di lui, prorompente quando il loro rapporto era da tener nascosto, si sia spento ora che esso potrebbe essere vissuto apertamente.
E Mario langue tra il bar di Hrvoje e le discussioni svogliate con gli amici, letti freddi e vuoti, antidepressivi e funerali in cui si commemora il defunto con colossali sbronze e canzoni patriottiche. A salvarlo, stavolta da se stesso, è di nuovo Fabio, che lo coinvolge nella realizzazione del suo libro e nella creazione della casa editrice che lo pubblicherà. Non solo: scoprendo che Mario non ha mai spedito le lettere che ha scritto alla moglie lontana – e che scandiscono il ritmo della narrazione – si mette in contatto con lei e la convince a tornare, raccontandole che Mario ha un tumore da cui in realtà è lui stesso affetto. È proprio la malattia terminale di Fabio a salvare alla fine Mario dalla depressione, e anche a ricomporre in qualche modo i pezzi di «una “generazione persa” – ma non in quello stile parigino, elegante e nobile degli anni Venti e Trenta del secolo scorso»: tutti i suoi amici (veri o finti croati e serbi) finalmente riuniti, anche se col collante del dolore e della malattia, per portare a compimento il suo progetto editoriale.
La conclusione del romanzo chiarisce dunque l'apparente ambiguità del titolo: quella balcanica può anche essere una notte buia e dolorosa dove i politici nuovi, come quelli vecchi, sono intenti a inseguire derive più o meno ideologiche di potere passando come schiacciasassi sulla vita delle persone, mentre l'Europa è vista contemporaneamente come desiderabile traguardo e insensibile organismo alieno. Ma se è possibile un barlume di luce, esso viene dai legami, prima di tutto di amicizia e reciproca comprensione, tra persone così uguali eppure così divise dalle traversie della storia come la gente, non importa di quale etnia, che oggi abita i Balcani.
Nell'ultimo romanzo di Gunjaca, Buona notte, amici miei, pubblicato da Fara (pp. 303, euro 15) la guerra balcanica rimane sullo sfondo, ma non di meno è il motore propulsivo della vicenda. Ne sono protagonisti Mario, ex ufficiale della marina jugoslava e poi combattente tra le file croate fino alla condizione attuale di pensionato di guerra grazie alle ferite riportate, e i suoi amici di Pola, in particolare Fabio che, a differenza di Mario, non ha fatto la guerra. L'amicizia tra i due è però tanto forte che quando l'ha saputo ferito si è spinto fino al fronte per assisterlo nell'ospedale militare. Anche a guerra finita, Fabio continua a preoccuparsi per il suo amico, molto depresso per tante perdite, e in particolare per quella della moglie serba che, allo scoppio della guerra, se n'è andata con i due figli in Australia senza più far ritorno. Particolarmente comico, a questo proposito, è l'incontro di Mario con l'ex amante Helena che constata – con caustiche razionalizzazioni che il diretto interessato non si sogna di confutare – come l'ardore sessuale di lui, prorompente quando il loro rapporto era da tener nascosto, si sia spento ora che esso potrebbe essere vissuto apertamente.
E Mario langue tra il bar di Hrvoje e le discussioni svogliate con gli amici, letti freddi e vuoti, antidepressivi e funerali in cui si commemora il defunto con colossali sbronze e canzoni patriottiche. A salvarlo, stavolta da se stesso, è di nuovo Fabio, che lo coinvolge nella realizzazione del suo libro e nella creazione della casa editrice che lo pubblicherà. Non solo: scoprendo che Mario non ha mai spedito le lettere che ha scritto alla moglie lontana – e che scandiscono il ritmo della narrazione – si mette in contatto con lei e la convince a tornare, raccontandole che Mario ha un tumore da cui in realtà è lui stesso affetto. È proprio la malattia terminale di Fabio a salvare alla fine Mario dalla depressione, e anche a ricomporre in qualche modo i pezzi di «una “generazione persa” – ma non in quello stile parigino, elegante e nobile degli anni Venti e Trenta del secolo scorso»: tutti i suoi amici (veri o finti croati e serbi) finalmente riuniti, anche se col collante del dolore e della malattia, per portare a compimento il suo progetto editoriale.
La conclusione del romanzo chiarisce dunque l'apparente ambiguità del titolo: quella balcanica può anche essere una notte buia e dolorosa dove i politici nuovi, come quelli vecchi, sono intenti a inseguire derive più o meno ideologiche di potere passando come schiacciasassi sulla vita delle persone, mentre l'Europa è vista contemporaneamente come desiderabile traguardo e insensibile organismo alieno. Ma se è possibile un barlume di luce, esso viene dai legami, prima di tutto di amicizia e reciproca comprensione, tra persone così uguali eppure così divise dalle traversie della storia come la gente, non importa di quale etnia, che oggi abita i Balcani.
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