giovedì 29 novembre 2007

Intervista di Massimo Sannelli a Chiara Daino


pubblicata nel sito www.romanzieri.com

Abbiamo detto tutto. Il giorno in cui ho avuto l’età che tu hai oggi – ho scritto: “se tutto è stato scritto, tutto è in tutto”. Parlavo di Amelia Rosselli, de lonh, e di quello che è ancora possibile fare. Tu conosci gli ultimi ottocento anni di quelli che Busi chiama i 3 Sud. Tu continui la loro Tradizione? O la devasti? Sai già quello che penso. Ma vorrei sentirtelo dire.

Io chioserei: «tutto è in tutto, non in tutti. Non per tutti». La Tradizione è il patrimonio genetico che influenza e determina alcuni fattori [modelli, influenze et cetera] – l’individuo può ancora [e sempre si può] originare nel momento in cui si rende filtro: il carisma e il particolare, l’intimo – del soggetto che non si assoggetta [a schemi e sistemi] è la chiave di rivolta – per rilegare bene. L’unico intento della mia pagina è provocare: l’anfibio sfida per appiccare, senza darsi mai preda. Viviamo per codici imposti: si etichetta e si mappa, si cataloga – si avverte il bisogno endemico di ridurre in categorie. E così: l’aut-aut impera, esclusivo, per escludere. Io amo la forma – e la vita – ibrida. Il rifiuto di ogni vincolo [o sei attrice o sei scrittrice, performativo o installativo, corso femminista o scrittura virile,…] e di ogni schieramento [dal macro al micro] mi rende aliena: l’alienata dal giro. Da ogni girone. E dal Gotha falsamente organizzato e suddiviso.

Ho l’ossessione del riconoscimento (delle forme). La Merca appare pubblicamente in prosa. Apparentemente, in italiano. Presumibilmente, come trascrizione di un dramma, in tutti i sensi. E La Merca – è stata capìta? Le sue letture sono state almeno oneste? O no? E sbaglio, se dico che non è un romanzo, non è in italiano e non è la vita di tutti?


Per François Mauriac «ogni dramma inventato riflette un dramma che non s’inventa» e la Merca è come prende forma un dramma. Come questa “forma” sia percepita dal pubblico dipende da quale pubblico legge e percepisce. Sia quel che suoni a livello stilistico – ogni mio scritto [e ogni mio atto] mi assomiglia. Credo sia questa la mia vera onestà intellettuale. E ancora: il messaggio – e non mi stupisco – è stato colto e compreso da chi vive, più che da chi scrive. E le mani assassine rimangono fisse alle dispute “culturali” – non alzano gli occhi e non si guardano allo specchio. È un lusso che certi tuoi colleghi [io non parlo il loro italiano, loro sputtanano la mia non-lingua] non possono permettersi. Purtroppo riesco ancora a decifrare – i loro discorsi e le loro lettere.
(…)
L'intervista completa qui

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