domenica 23 novembre 2025

Guido Cagnacci alla Malatestiana di Cesena mercoledì 26 nov 2025

MASSIMO PULINI e GILBERTO URBINATI

presentano il volume:

GUIDO CAGNACCI

La prima vita nella Romagna e nell’Emilia del Seicento

MERCOLEDÌ 26 NOVEMBRE

DALLE ORE 17


un suggestivo viaggio di parole e immagini

nella più raffinata pittura del Barocco italiano

 

BIBLIOTECA MALATESTIANA

PIAZZA MAURIZIO BUFALINI 1 – CESENA






Massimo Pulini e Gilberto Urbinati

Guido Cagnacci

La prima vita nella Romagna e nell’Emilia del Seicento


Guido Cagnacci, Maddalena penitente, (particolare), Ravenna, collezione privata


La fortuna del pittore Guido Cagnacci (Santarcangelo 1601 – Vienna 1663) è soprattutto legata alle tematiche più sensuali della pittura barocca, si distinse tra i suoi contemporanei per una rappresentazione del corpo e dei sentimenti che precorse un atteggiamento laico ed erotico affermatosi solo nei secoli successivi. La modernità di pensiero e le sensibili qualità di stesura epidermica Cagnacci le coltivò nel corso della sua formazione in Romagna e in Emilia, ma certe libertà di costumi le riuscì ad esprimere solo fuori dallo Stato della Chiesa, nei porti franchi di Venezia e di Vienna, in territori nei quali le maglie dell’inquisizione si mostravano ben più aperte.

Si può affermare che l’esistenza e il genio artistico di Guido Cagnacci si separino in due parti, due vite nettamente divise che si fronteggiano e che in qualche misura risultano complementari. La prima lo vede raffinato ma irrequieto interprete dei temi sacri, della spiritualità più profonda ed estrema, ma lasciata la patria e appena messo piede in laguna l’artista divenne elegante interprete del più licenzioso gusto internazionale.

Il nuovo libro monografico dispone di una grande opportunità, quella di ritrovare gran parte delle opere della formazione e della prima maturità ancora nei loro siti originali. I due autori (Massimo Pulini per la parte testuale e Gilberto Urbinati per quella delle immagini) hanno dunque deciso di effettuare una nuova e rigorosa campagna fotografica di tutte le opere esistenti nelle patrie giovanili del pittore. Le riprese ad alta definizione delle tele marchigiane, romagnole e emiliane hanno permesso di raccogliere scorci e dettagli tra i più suggestivi e intensi di quella produzione sacra di Guido Cagnacci. La scelta editoriale dedica cento pagine intere a questa carrellata di particolari, che nel loro insieme permettono di trasformare la percezione che si aveva del grande artista romagnolo.  

La ricerca sul campo e varie nuove scoperte, ma anche le diverse interpretazioni iconografiche di opere note e la rilettura di documenti biografici permettono ora di vedere la figura di Cagnacci sotto una luce inedita. Assieme allo spirito di indipendenza che lo ha sempre caratterizzato, il vasto lavoro di indagine contenuto nel libro restituisce anche stringenti e inaspettate relazioni con altre personalità del mondo artistico entro la prima metà del Seicento, come il sodalizio emerso col pittore romano Andrea Sacchi, fautore di una accezione rarefatta e filosofica del barocco.

Guido Cagnacci, anche senza aver rivestito ruoli di potere o senza aver lasciato eredi, si attesta come una delle più geniali personalità artistiche di un intero secolo. 

venerdì 21 novembre 2025

Il fuoco dentro: adolescenti e vita emotiva

Carissimi,
siamo felici di potervi invitare a questa serata a cui seguiranno poi un corso online articolato in una serie di webinar ed un World caffè conclusivo ad aprile.

Il tutto nasce dall’ultima ricerca dell’Osservatorio Giovani dell’Università Cattolica di Milano che ci era stato presentato in un convegno nazionale ad aprile e che ci è subito parso interessante non solo per il mondo della scuola e dell'educazione, ma per chiunque, avendo a cuore i ragazzi, abbia a cuore il futuro.
Alleghiamo l'invito alla serata del 28 e la locandina con il programma del corso.

Vi aspettiamo il 28 novembre!


Paola, Antonio, Lydia, Silvana, Giuseppe, Franz. Simona, Mauro, Cinzia e don Guido.


mercoledì 19 novembre 2025

Un libraio rivoluzionario



A Milano s’aggirava nell’età del Risorgimento un libraio sovversivo. Si chiamava Levino Robecchi. Aveva una libreria in via dei Meneghini, n. 37. Non era un semplice libraio, ma faceva il rivoluzionario di professione. Era un intellettuale. La sua libreria fungeva un po’ da caffè letterario, da salon dedicato tutto alla cultura, se non da osteria da scapigliati, ove la sera si sbronzavano e finiva tutto a taralli di Lula e vino. Levino proteggeva i patrioti. Là dentro sussisteva una vera e propria scuola dedicata al patriottismo. Circolavano liberamente idee, libri, soprattutto quelli proibiti allora dal governo austriaco, come i testi di Ferrari, di Franchi, di Gioberti, di Mazzini, di Galluppi, di Orsini, di Mazzini, di Rosmini. Durante il Risorgimento in Italia c’è stato un forte risveglio culturale. L’inquisizione laica non dormiva. Levino ha salvato molti dalla sicura condanna, dalla morte, dalle “Mie Prigioni”, dallo Spielberg, la Bastiglia degli Asburgo. Tanti giovani, con documenti falsi, appositamente preparati nella sua cantinetta, ove nascondeva torchi e gestiva una piccola stamperia clandestina, varcavano le soglie del Ticino, allora confine di Stato, per chiedere rifugio nel Regno di Sardegna, o in Svizzera. Levino non era un semplice commerciante, ma un apostolo del Risorgimento. Aveva una grande fede in Dio, nel Popolo e venerava Giuseppe Mazzini. In quella Milano risorgimentale fermentavano tutti i prelibati vini della rivoluzione e della liberazione: il federalismo di Cattaneo, il democraticismo di Mazzini, il neoguelfismo di Gioberti, il neoghibellinismo di Giusti. Levino credeva fortemente in quei valori, che per lui, come per tanti altri, risultavano non negoziabili. Essere un patriota non è una cosa da poco, implica un impegno sociale e morale non indifferente. E poi, a quei tempi, si rischiava la vita. Levino si faceva promotore dei periodici mazziniani che erano illegali, come “Pensiero e Azione”. Come scriveva Pellico nei suoi “Quaderni del carcere”: «Non v’è buon patriota, se non l’uomo virtuoso, l’uomo che sente ed ama tutti i suoi doveri e si fa studio di seguirli. Il buon patriota non si confonde né con l’adulatore dei potenti, né con l’odiatore maligno di ogni autorità. Essere servile ed essere irriverente sono di pari eccesso». Il Quarantotto, epilogo della rivoluzione europea, aveva visto Milano scendere in piazza e celebrare le sue eroiche cinque giornate. Quando il Popolo si muove nulla regge! È come un fiume in piena! Radetzky con la sua gloriosa “marcia” si ritira nel quadrilatero. Da allora non è mai più successa una rivoluzione così grandiosa. Ma la sua eco risuona nei secoli. Ancora si dice: – È successo un quarantotto! In quelle leggendarie giornate, Levino aveva preso tutti i suoi libri e li aveva dati ai popolani per ergere le fatidiche barricate. Purtroppo qualche delatore c’è sempre. La prima domenica di quaresima del 1858, Levino Robecchi venne arrestato dalla polizia per cospirazione contro lo Stato. I suoi amici l’avevano avvertito. Egli aveva fatto sparire tutte le carte compromettenti. Fu interrogato dal terribile consigliere Fluck, devoto di Franz Joseph. In un processo staliniano, si cercò invano di far parlare il povero libraio, di rivelare tutti i nomi dei cospiratori, dei frequentatori della libreria Robecchi. Ma Levino non parlò. Si morse la lingua come Zenone, pur di non tradire i suoi amici. Un kafkiano interrogatorio lo tenne sveglio per una notte intera; poi venne gettato nelle secrete di San Vittore. Torturato, schiaffeggiato, venne liberato solo dopo l’Unità. La sua libreria fu chiusa. Tutti piangevano, passando per via dei Meneghini. Mancava quel Socrate che punzecchiava i passanti e li invitava alla lettura e alla cultura, quella vera.Io amo Italia, la mia sposa. Non la tradirò giammai.

Ripeteva agli inquisitori. Alcuni amici carcerieri di buon cuore volevano farlo fuggire, proprio come Socrate, ma egli preferì restare in carcere. Morire, pur di non tradire la mia amata Italia!

Di fronte a questa fede così incrollabile anche l’indefesso consigliere Fluck, colui che aveva fatto arrestare gli inquisiti di Mantova nel 1852 e 1853, si sentiva smarrito. Erano fedi diverse. Egli credeva ancora nell’Impero, Levino nella Patria. Se l’Impero si fosse evoluto verso una struttura federalista, non sarebbe stato travolto dalla Grande Guerra, insieme a tutte le dinastie d’Europa: Asburgo, Romanov, Sultani, Hohenzollern. Intanto il poema risorgimentale volgeva alla fine e cominciava la prosa. Cavour aveva intavolato trattati con Napoleone III, l’uomo più potente d’Europa. Venne la Seconda Guerra d’Indipendenza, l’impresa dei Mille, la fatidica Unità. Dopo l’Unità, Levino venne liberato. Riaprì la sua libreria. Fondò anche una tipografia e stampò tutte quelle opere che erano state proibite innanzi, tra cui gli scritti di Mazzini. Cavour morì all’indomani dell’Unità. E quante gliene avevano cantate il Mazzini e il Garibaldi! L’eroe dei due mondi lo accusava di aver venduto Savoia e soprattutto Nizza, sua città natia. Mazzini di aver mandato al macello tanti giovani in Crimea per ingraziarsi il nuovo Napoleone, peggio del vecchio! «Una prostituzione con il carnefice della Repubblica Romana»! Gli aveva scritto:

– Millantatore di concetti emancipatori, tradite deliberatamente l’Italia, ripetendo la parte di Ludovico il Moro, chiamando tirannide straniera al di qua delle Alpi!

Levino non smise mai di esercitare la sua attività educatrice. Ma più che un libraio, diremmo, con un termine più appropriato, anche se neologico, è stato un “librista”. C’è infatti differenza tra “giornalaio” e “giornalista”. Era molto umano. Raccontava che dopo le Cinque Giornate i milanesi scoprirono il capo della polizia nascosto in un abbaino e volevano giustiziarlo. Andarono a chiedere allora a Cattaneo, che rispose:

– Se lo ammazzate fate una cosa giusta. Se non lo ammazzate fate una cosa santa!

E non gli torsero neppure un capello.






lunedì 10 novembre 2025

Dedicazione piazzetta ad Aristide Perilli 19 nov 2025 a Rimini

 


Aristide Perilli, nato a Rimini il 25 dicembre 1840 e morto il 21 maggio 1892, è stato un ardente patriota che combattè con Giuseppe Garibaldi le battaglie per l’Indipendenza e l’Unità d’Italia. Partecipò alla spedizione dei Mille e nella battaglia del Volturno avvenuta dal 26 settembre al 2 ottobre 1860, rimase gravemente ferito. Partecipò anche alla terza guerra d’Indipendenza del 1866. Il mio bisnonno che lavorava alle dipendenze del Principe Torlonia di San Mauro Pascoli, non era ancora ventenne quando decise di seguire come volontario Giuseppe Garibaldi e si distinse con onore combattendo valorosamente per l'Unità d'Italia.

Per fare memoria delle sue coraggiose gesta da garibaldino ed anche per l’integrità ed operosità con le quali visse da cittadino riminese, l’Amministrazione Comunale ha deciso di dedicargli, con una cerimonia pubblica che avrà luogo mercoledì 19 novembre 2025 alle ore 16:00, la piazzetta Gaiana situata nelle vicinanze dell’Arco d’Augusto.

Ardea Montebelli

mercoledì 5 novembre 2025

Concorso Tu io e i mondi posssibili per racconti entro i 13.00 caratteri scadenza 1° marzo 2026

Scarica il bando con la scheda di partecipazione qui




Il concorso è aperto a tutti i narratori in lingua italiana. Sono previste due categorie di premiazione:

UNDER 15 / ADULTI

L’opera, una per autore, inedita e mai premiata, dovrà avere una lunghezza massima non superiore a 13.000 caratteri spazi inclusi e dovrà essere inviata, come allegato in formato DOC, ODT o PDF, all’indirizzo di posta elettronica:

premioletterario@parrocchiecasale.it

Nello stesso invio si dovrà allegare inoltre, i dati richiesti nella scheda di partecipazione e, solo nel caso della partecipazione alla categoria adulti e con età superiore ai 19 anni, copia della ricevuta dell’avvenuto pagamento della quota di partecipazione di 10 Euro per “Contributo alla Segreteria”, da versare tramite bonifico bancario c/o CENTROMARCA BANCA Credito Cooperativo di Treviso e Venezia - cod. IBAN: IT45K0874962100000000504664, intestato a:

Parrocchia di Santa Maria Assunta, Piazza All’Arma dei Carabinieri, 9 - 31032 Casale sul Sile - Treviso. L’opera dovrà pervenire entro e non oltre il DOMENICA 1 MARZO 2026.

PER LA CATEGORIA UNDER 15 E PER TUTTI I PARTECIPANTI CON ETÀ INFERIORE AI 19 ANNI COMPIUTI ALLA DATA DI PUBBLICA- ZIONE DEL PRESENTE BANDO, LA PARTECIPAZIONE È GRATUITA.

Non saranno premiate opere fuori tema, o che superino la lunghezza su citata. Non si accettano testi manoscritti.
Il Comitato organizzatore si riserva i diritti di pubblicazione delle opere pervenute. Il giudizio della Commissione Giudicatrice è insindacabile. Gli autori premiati e segnalati riceveranno tempestiva comunicazione.

La premiazione avrà luogo nel pomeriggio di

DOMENICA 17 MAGGIO 2026

presso l’Auditorium del Comune di Casale sul Sile
I racconti PREMIATI e SEGNALATI saranno raccolti in una an-

tologia e consegnata a tutti i partecipanti presenti alla premiazione. In caso di impossibilità, i partecipanti potranno chiedere copia dell’antologia telefonando al n. 3337974267.
La partecipazione al concorso implica l’accettazione incondizionata delle norme del presente bando; la mancata osservanza delle medesime costituisce motivo di esclusione dal Concorso stesso.

GARANZIA di RISERVATEZZA Il trattamento dei dati personali avverrà nel rispetto di quanto stabilito dal D.Lgs. 196/2003 e successive modifiche e integrazioni. La cancellazione dei dati potrà essere richiesta in ogni mo- mento inviando una e-mail all’indirizzo: gpfcasale@parrocchiecasale.it

P R E M I - CATEGORIA UNDER 15

1° classificato - DIPLOMA, PENNA in VETRO di Murano prodotto dalla Fonderia Artistica Bortoletti di Marcon (VE)

(pezzi unici)

PREMIO SPECIALE alla SCUOLA FREQUENTATA dallo STUDENTE

SCHEDA DI PARTECIPAZIONE

Premio Letterario Tu, io e i mondi possibili - XIV ed.

per un racconto sul tema

2° classificato 3° classificato

BUONO SPESA di 150 euro spendibile per acquisti on-line di libri e/o materiale didattico.

- DIPLOMA, PENNA in VETRO di Murano prodotto dalla Fonderia Artistica Bortoletti di Marcon (VE) (pezzi unici)

- DIPLOMA, PENNA in VETRO di Murano prodotto dalla Fonderia Artistica Bortoletti di Marcon (VE) (pezzi unici)


P R E M I - CATEGORIA ADULTI


1° classificato 2° classificato 3° classificato

- DIPLOMA, WEEKEND per due persone in località a scelta tra le varie proposte.
PENNA in VETRO di Murano prodotto dalla Fonderia Artistica Bortoletti di Marcon (VE) (pezzi unici)

- DIPLOMA e BUONO SPESA di 200 euro spendibile presso la Cooperativa “G. Toniolo”.
PENNA in VETRO di Murano prodotto dalla Fonderia Artistica Bortoletti di Marcon (VE) (pezzi unici)

- DIPLOMA e BUONO SPESA di 150 euro spendibile presso la Cooperativa “G. Toniolo”.
PENNA in VETRO di Murano prodotto dalla Fonderia Artistica Bortoletti di Marcon (VE) (pezzi unici)


PREMIO SPECIALE STELLA (per entrambe le Categorie, attribuito a un racconto tanto grande nel concetto quanto semplice nella forma) DIPLOMA e BUONO di 100 euro spendibile presso la Cooperativa “G. Toniolo”.

TUTTI i RACCONTI SEGNALATI riceveranno DIPLOMA e PREMIO di RAPPRESENTANZA. Nella cerimonia di premiazione tutti i partecipanti riceveranno l’ATTESTATO DI PARTECIPAZIONE.

Casale sul Sile, 4 novembre 2025 Il Presidente del Comitato Organizzatore

Don Daniele Michieli Segr. organizzativa GRUPPO PARROCCHIALE FESTEGGIAMENTI

Piazza all’Arma dei Carabinieri, 12 31032 - Casale sul Sile tel. 3337974267 | gpfcasale@parrocchiecasale.it | www.gpfcasalesulsile.it


DICHIARAZIONE

Dichiaro che l’opera presentata è inedita e da me composta.

(Di eventuali plagi o dichiarazioni mendaci risponderanno diretta- mente gli Autori).

Data 

Firma

lunedì 27 ottobre 2025

LA MANTIDE

di Vincenzo Capodiferro





Storia immaginaria di una vendicativa ninfomane vendicata: «Qui gladio ferit gladio perit». 


Nella Milano degli Scapigliati, alcuni locali erano gettonati: l’Osteria della Polpetta, il Caffè Manzoni, la Cascina de’ Pomm. E lì vedevi circolare tanti artisti, letterati, intellettuali: Emilio Praga, Arrigo Boito, il fratello Camillo, Igino Ugo Tarchetti, Vittorio Imbriani, Giuseppe Grandi e tanti altri. Ma nessuno sa la vera storia della morte di Tranquillo Cremona, avvenuta il 10 giugno 1878. La causa della morte è saturnismo, perché l’artista usando nella pittura spesso le dita, ha ingerito una quantità di piombo tale da portarlo al decesso. Nello stesso anno, il 18 novembre, muore l’artista Enrico Junck, tra le braccia del fratello, il musicista Benedetto Junck, che si era fatto fare una statuetta di Beethoven fanciullo dallo scultore Giuseppe Grandi, di Ganna. Anche il genio Flaminio Bertoni, che assomigliava tanto a Beethoven, si era dipinto egli stesso quale il glorioso musicista, come se fosse un autoritratto. Per ironia della sorte pare che anche Beethoven, che amava portare i capelli scapigliati, sia morto per ingestione da piombo. Usava, infatti, mescere nel vino un additivo piombato. Suicidio? E chi lo può sapere? Dopo la sordità il genio era caduto in una profonda depressione, per cui si gettava a capo fitto nell’arte. 

Che strano! Muoiono a distanza di poco, entrami giovani, entrambi in circostanze sospette. Nessuno oramai sa più la verità, tranne forse il maresciallo Ugone Stracchini, della stazione dei Carabinieri di Milano, nei pressi del Duomo. Aveva avviato un’indagine per capire le reali cause della morte di alcuni artisti che avevano avuto a che fare con la Cascina de’ Pomm, l’albergo ufficiale degli Scapigliati. Circolavano delle voi bieche, infatti: una certa inserviente che si chiamava Aminta Desideria, aveva a che vedere indirettamente con la morte di alcuni artisti Scapigliati. La chiamavano la “mantide”, con allusione evidentemente all’insetto, la “mantide religiosa”, che divora i suoi amanti e li uccide nell’atto d’amore. La mantide era una donna bellissima, avvenente, alta, coi capelli rossi. Non aveva figli per una malformazione all’utero. Non era sposata. Chi portava i capelli rossi era considerato già di per sé maledetto. Il proverbio diceva: «Peli rossi e cani pezzati, vogliono essere uccisi appena nati!». Al di là di questa superstizione, c’erano state delle circostanze strane in alcuni decessi di noti e non noti “circolisti” della Scapigliatura milanese. Ugone, poi, era un simpaticone, benevolo, aiutava tutti e quando poteva fare a meno di effettuare una multa, una condanna, era sempre a disposizione. Perciò lo invitavano tutti a pranzo, o a cena, e spesso usciva ubriaco. Anche egli, qualche sera, si recava ai circoli degli Scapigliati per divertirsi e per controllare, naturalmente, gettando un occhio, come fa un buon padre di famiglia. Poi andava a caccia nel parco delle Groane. Allora si poteva. Una mattina un suo amico, in piazza Duomo, chiamato Zazà, gli diceva: «Chi va a caccia o è ricco o è pazzo». Ed egli con fare da bontempone: 

– Adesso te o do io se sono pazzo!

E puntava il fucile verso quel simpaticone. 

Ugone voleva vederci chiaro. In effetti la mantide aggiungeva del piombo ai bicchieri di vino degli artisti. Era gelosa del giovane Enrico. Ma perché? Si era accorta che tra Enrico e Tranquillo Cremona c’era più che un rapporto amicale. Non è raro tra artisti che si instauri un erotismo sottile, al limite dell’omosessualità. Ugone era convinto che la mantide aveva fatto fuori Tranquillo e che si apprestava a far fuori anche il giovane Enrico, ma non riusciva mai a coglierla con le mani in fallo. Era troppo astuta! E così doveva assistere impotente ai funerali di questi due giovani, amati artisti, nel giro di pochi mesi, entrambi morti per saturnismo, ma diremmo per gelosia erotica, per sadismo patologico. Non si sa che tipo di rapporto hanno avuto con la mantide, sicuramente sessuale. 

La mantide non scherzava, se ti prendeva di mira ti saltava addosso, o tanto si adoperava che ti faceva cadere. E poi gli uomini sono deboli su quel punto, come diceva che il proverbio: «Tira più un pel di figa che una fune attaccata ad un paio di buoi!». A proposito di buoi, un giorno quando Ugone si recava a fare un’indagine in campagna sulla sparizione di un aratro in val Padana, c’era un contadino, di nome Serafino, e Ugone se la prendeva: 

– Serafì! Mi devi dare del “Voi”, non del “tu”. Esigo rispetto.

Serafino rispondeva tomo: 

– Marescià, se ti do i buoi, io poi come faccio? 

– Ah ah ah!

Ugone, con una sonora risata, abbracciava quel povero contadino. 

Laddove l’accorto gendarme non arriva a cogliere in fallo la vedova nera, ci riesce il fratello, il musicista Benedetto Junck: doveva in qualche modo vendicare il povero Enrico. E si mette in collutta con la mantide, ma quando gli dava il bicchier di vino, lo rifiutava, sapeva che era avvelenato. Si fingeva astemio ed in tutti i modi evitava i tranelli della donna, perspicace come un serpente. Ed alla fine, per fregarla, le regala una collana di preziosi: era molto bella e valeva molto! Ma la mantide non sapeva che quella collana, che sotto aveva delle sottilissime spire, era stata ben imbevuta di acido fluoridrico. La sera se la mette al collo e la mattina la trovano stecchita, alla Cascina de’ Pomm. Vendetta era stata fatta. Ugone sapeva tutto, ma non si sognava di aprire alcuna indagine ulteriore. Quella donna aveva procurato la morte di due giovani artisti. Perché la mantide ce l’aveva con gli artisti? Beh! In fondo un motivo c’era. Il padre, Desiderio, era un bravo pittore, ma era stato fatto fuori da un grande nobile lombardo, che in qualche modo aveva a che fare con, circolo degli Scapigliati, il conte Carlo Berlangieri, per motivi personali. Allora era previsto anche il duello per motivi d’amore e Carlo, che aveva un’amante in comune, aveva ammazzato il padre. Desideria, allora, aveva appena sei anni! Promette di vendicarsi. Era come Carlo Magno che aveva fatto fuori Desiderio. E la figlia Desideria, come l’Ermengarda manzoniana, si trova:


Sparsa le trecce morbide

sull’affannoso petto,

lenta le palme e rorida

di morte il bieco aspetto,

giace la pia col tremolo

sguardo cercando il ciel.

lunedì 13 ottobre 2025

L’Agenda del cuore

Gent.mi,

come ogni anno torniamo da voi con l’appuntamento del cuore, chiedendo di rinnovare l’adesione alla nostra iniziativa attraverso la pubblicazione gratuita della locandina dell’Agenda del Cuore 2026 sulle vostre testate, nel formato che vorrete richiederci, cartaceo e/o digitale, di cui alleghiamo una bozza. Sarà nostra cura provvedere a inviarvi, qualora fosse necessario, il formato che vorrete richiederci considerando un anticipo di 24h.
 
Questa 30esima edizione dell’Agenda di ALT sarà la compagna di un nuovo anno all’insegna della salute, con approfondimenti, curiosità e consigli per il cuore, il cervello, le vene e le arterie.
Dal formato settimanale, aiuterà mensilmente a riconoscere sintomi e ridurre i fattori di rischio della Trombosi, meglio conosciuta con il nome di: Infarto, Ictus, Embolia polmonare, Trombosi delle vene e delle arterie.
Un’amica al nostro fianco pronta a valutare il nostro stile di vita e ad invitarci a intraprendere scelte sane e intelligenti.
 
I fondi raccolti aiuteranno ALT a sostenere progetti di Ricerca multidisciplinare nel campo della Trombosi.
La campagna partirà dal 1° novembre 2025 e durerà fino al 28 febbraio 2026.
In attesa di riscontro, grazie di cuore fin da ora per l’attenzione e lo spazio che dedicherete ad ALT per il bene di molti.
 
Cordiali saluti.

 




Richiedi la tua copia dell’Agenda del Cuore 2026 per te e per le persone che ti stanno a cuore

Ordinala ora e Sostieni la Ricerca sulla Trombosi





Associazione per la Lotta alla Trombosi e alle malattie cardiovascolari – Ente Filantropico

Via Lanzone, 27 - 20123 Milano Tel. +39 02 58 32 50 28

Uffici aperti dal lunedì al giovedì, dalle 9.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 18.00.

www.trombosi.org


 In ottemperanza agli art. 13 e 14 del Regolamento Europeo n. 679/2016, Le ricordiamo che i Suoi dati anagrafici sono registrati all’interno dei nostri database a seguito di un Suo esplicito consenso. La nostra Informativa Privacy, insieme all’elenco aggiornato dei responsabili e ai diritti di accesso dell’interessato, è pubblicata sul nostro sito www.trombosi.org  nella sezione “Privacy”.


giovedì 9 ottobre 2025

La porta socchiusa

Il potere della porta socchiusa


di Sandro Serreri



Sempre e comunque, è bene lasciare la porta socchiusa. Né aperta, né chiusa. Socchiusa, per comunicare un solo messaggio: Se vuoi, vieni! Nessuna chiave occorre, e non serve bussare. Se… basta solo un lieve movimento e la porta si apre e si può entrare varcando la soglia. Una porta chiusa e chiusa a chiave respinge, non offre speranza, lascia fuori. 

Una porta socchiusa induce al pur poco coraggio a spingerla, al dubbio di aprirla, alla disperazione di trovare luce e calore. Sono le troppe porte chiuse a doppia mandata a rendere gli uomini diffidenti e lontani. Sono le porte socchiuse a far si che gli uomini trovino pace.

Una porta socchiusa può mutare un cuore notturno in un volto sorridente, una paura in un rifugio accogliente e sicuro. Quando si è corso è bussato e ribussato a quella porta e a quell’altra porta e nessuno ha aperto, una porta socchiusa ridona fiducia nel valore della fraternità che sa aprire e ospitare con generosità. Una porta socchiusa è uno spiraglio, una fenditura, un taglio di luce, un segno che dice: VIENI! Quando la notte devasta tutti gli umani sentimenti e la morte stritola il cuore, una porta socchiusa può diventare una rinascita, una risurrezione. A ogni uomo è data la possibilità di avere porte chiuse o porte socchiuse. La scelta può cambiare il corso di una intera vita. 

MODE DEI TEMPI ANDATI: LE SARTORIE DELLA NONNA STELLA

di Vincenzo Capodiferro


Vogliamo ricordare la nonna Stella, detta di “Cicerino”. Era una bella donna e tutti la chiamavano per le cerimonie, soprattutto i matrimoni. Il matrimonio era anche l’occasione per lo sfoggio dei migliori abiti. Parliamo di un paesello appollaiato sugli Appennini, versante lucano: Castelsaraceno.  

Castelsaraceno è un paesello allegro, come un bambino cullato da due monti della Lucania: l’Alpi ed il Raparo. È come una pietra preziosa incastonata nella corona delle cime dell’Appennino. Il primo ad occidente e il secondo a settentrione proteggono il paese in modo che l’orizzonte si allarga solo ad oriente, verso un’amena vallata. Tanto è vero che l’erudito di Latronico Gaetano Arcieri, nel descrivere il borgo usava questi termini: «Di angusto orizzonte, di orrendevole aspetto». Diceva un proverbio antico: «Nu pinnineddu e nu pitticeddu, tirituppiti inta Casteddu» (Una salitella e una discesa ed eccoti a Castello!).

Allora i vestiti venivano preparati tutti a mano, non c’erano negozi di abbigliamento. I genitori si mettevano d’accordo: la donna portava la dote e soprattutto il corredo. Il corredo era tutto il patrimonio, fatto di lenzuola, coperte, cuscini, preparato dalle brave donne del paese. Tutte le ragazze sapevano cucire e ricamare, oltre a fare tutto. Nella tradizione era famoso il puntino ad ago di Latronico. Poi il pranzo nuziale era organizzato dai parenti: ammazzavano le pecore, cucinavano e fittavano una sala, o mangiavano nelle case dei palazzi nobiliari. C’era una storia antica che raccontava dello ius primae noctis. Castello si vide conteso e oltraggiato da tre padroni, i quali per diritto tutti ne pretendevano la giurisdizione e soprattutto vessavano il popolo di tasse. Sia il duca Ugone che l’abate Antonio Sanseverino, nonché il Principe di Stigliano, che avanzava pretese nel feudo, imposero un potere intollerabile. Il Principe di Stigliano, con la forza, pretendeva in eguale misura «tutto quanto sopra ed, oltre a ciò, estese i diritti feudali a cose di onore di estrema delicatezza». In pratica esercitava lo ius primae noctis. Probabilmente furono questi soprusi che sollecitarono molti cittadini ad allontanarsi da Castelsaraceno e trasferirsi alle falde del Pollino, dando origine al paese di San Severino Lucano. La leggenda vuole che un marito travestito da moglie picchiasse il signore feudale.

Padre Giuseppe da Campora, cappuccino, si lamentava di questa situazione, traducendo un distico latino, nostalgico del governo dei monaci di Sant’Angelo al Raparo: 


Quanti padroni mi diè barbara sorte, tutti mi diede ad oltraggi, ad infamia, a morte; addio prisca moral, bei giorni aviti quando mi ebbi a signori i cenobiti. 


Stella di Cicerino aveva sposato un allevatore abbiente, Giovanni di Cacoscia. I padrini e le madrine dei matrimoni godevano di uno status sociale importante: il compare di san Giovanni, o la comare di san Giovanni, venivano chiamati. Come vediamo in queste foto la nonna Stella era ambita in più matrimoni e di solito compare a latere agli sposi o appena dietro: 


  


Questa foto risale al matrimonio di Comare Maria di “Repole”. Anche in questa altra: 


al matrimonio di compare Cesare. E poi mangiavano e bevevano nelle case. 



I soprannomi erano tutto: si riconoscevano le persone solo da quelli. Parliamo di moda: pur in un paesello abitato soprattutto da contadini e pastori, però c’era tutto un fermento intorno alla lavorazione dei tessuti. La lana era tutto, perché c’erano tanti allevatori. C’erano i cardatori, coloro che lavoravano questo prezioso tessuto, facevano materassi, cuscini. Le donne, le anziane soprattutto, con i ferri facevano calze, maglie, mutande, mutandoni, sottane. Tra le penelopi, tessitrici che avevano il telaio, c’erano Elena di Falamita, Sabella di Sabelluccia, Angiolina di Ciruzzo, Egidia di Milano, Carmela la Bisiera. Oltre alla lana si usava molto il cotone, importato, tessuto dei poveri. Poi il terital, che veniva chiamato “tiritallo”. Tessuto più pregiato era il castorino, il velluto, usato dai nobili, il lino ed anche la seta. C’erano degli allevamenti serici, come è attestato dalla tradizione e della coltivazione dei gelsi. Comare Gelsomina allevava i bachi da seta. Producevano una seta grezza che poi rivendevano, ma riuscivano anche a realizzare capi delicati. Abbiamo una serie di pregiate casule nel museo della Chiesa, fatte dalle operose mani delle nonne sarte. Poi c’erano dei telati, con cui lavoravano sia il cotone che la lana, la canapa e soprattutto un tessuto resistentissimo che veniva tratto dalla ginestra. La procedura per ricavare il filo di ginestra era lunghissima. Si mettevano a macerare per tanti giorni e poi si sfilacciavano. Con la ginestra si producevano sia capi grossolani, come sacchi, stoffe per materassi, ma anche lenzuola che sfidano i secoli. I materassi dei più poveri erano riempiti con foglie secche di mais, o altro. Ancora abbiamo delle lenzuola di ginestra con le iniziali di nonna Stella Candia - SC. I materassi dei più ricchi erano di lana e tessuti doc come il Sassonia. I cardatori delle lane emigravano e portavano quest’arte fin oltreoceano, in Argentina, ad esempio, la seconda Italia. La canapa era coltivata fin dai tempi antichi, ma dagli anni Settanta in poi, ne venivano usata le foglie per scopi diversi e quindi molte piantagioni furono estirpate. Anche per le calzature facevano tutto i calzolai che ce n’erano tanti. I più poveri andavano a piedi o usavano degli zoccoli con pianta di legname e un pezzo di cuoio. Possedevano solo un paio di scarpe più decenti che indossavano per le occasioni. La nonna ci raccontava che gli stessi vestiti se li passavano tra fratelli o tra parenti e duravano anni e anni. C’erano nel paese tanti laboratori sartoriali, trai più noti c’era la sartoria Lampo, che si trovava in Via Leopardi, in cui lavoravano Ferrante, Minuccio di Calabria, mio zio, Antonio e Felice di Tredici. Poi c’era un’altra sartoria di Attilio in piazza Sant’Antonio. Trai sarti più precisi c’era Generoso il Collegatore. Le stoffe li portavano i moliternesi. Moliterno era un paese di abili mercanti: andavano dappertutto. 

Trai negozi del paese c’era quello di Luigi Natale: 



Poi con il boom economico degli anni Cinquanta cominciarono a sorgere i negozi di abbigliamento. Abbiamo una testimonianza della sorella della nonna Stella, Angelina, che era emig
rata a Milano insieme a zio Minuccio di Calabria, che era diplomato da sarto e poi lavorava presso la Garzanti. Mio zio mi voleva tanto bene e da bambino mi ha inondato di libri. Debbo a lui tanto amore per la cultura e per la letteratura e lo ricordo sempre con affetto. Ad un Natale, la sorella della nonna invia un completino da Milano, affinché lo indossasse, come è riportato in questo stralcio di lettera: 



E così arriva il tempo delle mamme e della generazione nostra, degli anni Settanta. Allora la moda aveva fatto pass
i da gigante. Ma ricordiamo sempre con affetto la moda dei nonni. Le nonne erano avvolte da sottane e recavano lunghi scialli neri, che li portavano a vita, soprattutto dopo i lutti. 

Qui abbiamo degli esempi, anche con un costume di Pisticci: 



Nelle case non c’erano i bagni e ci lavavano così: 



Ma era bello. C’era tanta allegria, anche se non c’era niente. E noi piccolini eravamo felici con niente!