lunedì 15 dicembre 2025

IL NATALE NELLA TRADIZIONE POPOLARE



Il Natale nella tradizione popolare rappresenta una festività princeps, vuoi per la fortissima attrazione cristiana, vuoi per le reminiscenze legate al Dies Solis. “Soli Deo Honor” scolpito in Chiesa poteva significare “Onore a Dio solo”, ma anche “Onore al dio Sole”. Ricordiamo almeno tre momenti legati a questa festa, così intrisa di tenerezza e di nostalgia:

1) Il primo è la “notte bianca”, il 29 novembre. È la notte che precede la festività di Sant’Andrea apostolo. La croce di Sant’Andrea a livello equinoziale indica la via di mezzo trai grandi equinozi di autunno e di primavera. Ha un significato astrale notevolissimo, che si perde nella notte dei tempi e il cui significato profondo forse si è smarrito. Questo momento fisico è legato tra l’altro da un lato all’estate di san Martino e dall’altro a Santa Lucia, altra santa legata al forte significato della luce. Nella tradizione san Martino che taglia il manto per donarlo al povero viene premiato da Dio con una piccola estate. Nel calendario cosmico dei contadini che io avevo riportato trai saggi del Museo, il giorno di Santa Lucia, il 13 dicembre era descritto così:

A santa Lucia è tanda a notti e longa a ria
quantu u passu ra gaddina mia.


Un altro recita:

A sanda Lucia a jurnata s’allonga hi nu passu hi gaddina,
a sandu Aniello, hi nu passu hi picuriello.



Cioè nell’immaginario junghiano collettivo c’è assoluta parità tra giorno e notte, o un piccolo aumento del giorno rispetto alla notte. Prima di santa Lucia non si raccoglievano le olive, perché, si diceva:

– A sanda Lucia scenni l’ogghio inta l’alìa.

– A santa Lucia scende l’olio nell’oliva.

Nella notte bianca, cioè la notte della vigilia di Sant’Andrea, ci si dedicava ai preparativi del “presepio” in casa, oltre che dell’albero. La tradizione dell’albero non era legata tanto al Natale, quanto ai culti arborei estivi, in occasione della celebrazione della memoria di Sant’Antonio di Padova, il 13 di giugno, quindi al solstizio d’estate. Si procedeva all’accoppiamento dell’albero del faggio con quello del pino ed all’innalzamento. Sull’albero inizialmente erano appesi dei doni, trai quali povere vittime di animali che venivano colpite dal basso. Poi alla fine gli scalatori salivano cospargendosi di pece a ritirare i doni che erano rimasti. Per evitare il cruore degli strepiti degli animali ultimamente appendevano dei tacchetti di legno con dei doni scritti. L’albero di Natale della tradizione antica era legato pertanto più ai culti arborei estivi.

2) L’altro giorno importante legato alla tradizione natalizia è la memoria di San Nicola il 6 dicembre. Anche qui siamo in prossimità della festa dell’Immacolata, l’8 dicembre, legata alla natività di Maria, l’8 settembre. San Nicola è importantissimo perché rappresenta l’idealtipo di quello che nell’immaginario collettivo è babbo Natale, non a caso chiamato nei paesi nordici Santa Claus. Molte sono le leggende legate a questo santo, molto venerato a Bari, tra cui quella del padre che voleva far prostituire le figlie. San Nicola di notte lancia nella casa di quest’uomo un panno con avvolto il denaro, in cui era contenuta la dote per il matrimonio delle figlie. San Nicola donava ai poveri, portava i regali ai poveri, ecco perché è equiparabile a questa figura ancestrale del vecchio babbo Natale. Interessante perché anche in questa sera si lasciavano le porte aperte la notte, perché veniva qualcuno a portare i doni e si accendevano le candele di cera d’api che si lasciavano accese tutta la notte. Era un momento di forte condivisione in cui si donavano gli alimenti e le derrate alle famiglie più bisognose. Questa memoria di san Nicola poi va rapportata a quella della Befana, questa vecchia che va in giro lo stesso a portare i doni, o i carboni, dopo il Natale. I doni erano racchiusi in queste calze, dove si riponevano noci, frutta secca, qualche soldo. La sera, di solito, veniva tirato il travetto e chiusa la porta. Lasciavano poi in cambio un piattino col cibo, perché babbo Natale, o la Befana, avevano fame e dovevano mangiare.

Ricordo un canto popolare molto intenso di Avigliano che riporta questa figura della vedova, che la sera non chiude la porta aspettando il marito, ma c’è anche il doppio senso della sessualità - il travetto, infatti, rappresenta il fallo:

La pena ri la virua eglia è la sera,
tutti li mariti s’arritirinu,
e lu miu no, e lu miu no.

Lu mengo o nu lu mengo stu travetto
inta la mascatura.



E un’altra canzone faceva:

A voilì, a voilà,
li femmini senza menni nun si ponnu marità.


Reminiscenza delle dominazioni francesi nelle parole. E poi.

La via ri lu Ponciu iè scuruta,
ra quannu la figlia mia s’è maritata.

Lasciare aperta la porta significava aspettare i mariti che tornavano la sera dalle bettole, dove andavano a condividere qualche bicchier di vino. Spesso tornavano ubriachi. Un fatto racconta di una moglie che era arrabbiata col marito e teneva una tenzone, proprio come nella canzone “Lu maritiello” di Toni Santagata:

– E quedda votte nun avirria caccia mancu na stidda.
– E quedda stidda ca avirria esse iumara.


3) Infine si arriva alla sera di Natale: momento veramente forte e molto intenso. I preparativi al Natale erano notevoli, duravano giorni. Tra le specialità culinarie legate al Natale vi erano le zeppole di Natale, fatte con impasti di farina ed uva passa. Le zeppole di Natale erano differenti da quelle di San Giuseppe, che erano solo a base di farina e zucchero ed erano fritte, o al forno, o condite con crema. Altri erano i “canestri”, fatti a base di ceci e di miele. Altri erano i “cavuzuni” ripieni di varie cose, sia dolci che salate, come salsiccia e uova. Ricordiamo anche la “cuccìa” di Santa Lucia, a base di grano e ricotta. Dalle nostre parti la “cuccìa” si faceva anche con crema di castagne ed era buonissima: simbolo del grano nascente, quando il grano valeva come l’oro. Naturalmente non mancava l’agnello arrosto sul fuoco e i “maccaruni”, cioè i fusilli, i “rascateddi”, o cavatelli; come piatto popolare del carnevale erano “li maccaruni cu u rafanu”, una radice piccante che veniva grattugiata. I maccheroni cotti e conditi poi venivano scaldati sul fuoco. Sul coperchio di rame si poneva la brace. E che sapore! La pignatta e la “caldara” bollivano sempre con qualcosa accanto al focolare. Il sapore della “ruscedda” con l’acqua dei fagioli, ad esempio, era strepitoso. Erano piatti semplici, ma gustosi. Le zeppole di Natale poi si indurivano, ma scaldate si potevano mangiare anche a distanza di giorni.

La notte di Natale era straordinaria. Nella vigilia non si toccava niente, era sempre digiuno, o si mangiavano solo verdure, questa norma era valida per tutte le solennità, anche a Pasqua. La sera si andava ad assistere la funzione in Chiesa fino alla mezzanotte, si attendeva la nascita di Gesù Bambino. Quando non c’erano ancora le illuminazioni si accendevano tutte le candele dei lampadari ed era uno spettacolo. Quando arrivò la luce, infatti, don Giuseppe Iacovino ebbe ad esclamare: – Addio lucerne! Addio candele!

Poi cantavano tutti i canti natalizi, soprattutto quelli di Sant’Alfonso, come il “Tu scendi dalle stelle” e “Quannu nascette Ninnu”, ma anche altri canti popolari. Solo dopo la messa e la veglia di Natale festeggiavano e mangiavano. La cosa bella è quando celebravano la messa in latino, allora la gente ci capiva poco e più delle volte accomodava al dialetto. Ad esempio, il canto “Tantum ergo sacramentum” lo sentivi trasformato in

Quantu è granni stu cummentu,
è du mille e setticentu…


E durante la messa succedevano cose strane. Una volta un prete che aveva mandato a rubare degli agnelli, vide i complici che arrivarono in Chiesa e cominciò a cantare in latinorum:

– Avit purtatu li mbè mbè!
– Li mbè mbè so fusciute!


Dopo la messa tornavano a casa a mangiare e bere, come se avessero fatto un ramadan. E poi partiva la processione di Natale. Anche questa, come tutte le processioni religiose e laiche era particolarissima. Innanzitutto soffermiamoci su alcuni aspetti:

I falò di Natale. In tutti i vicinati si accendevano dei falò, col significato di dover scaldare Gesù bambino. Attorno a questi falò era sempre gran festa. Arrostivano carne, patate, cipolle sotto la cenere. Questi falò erano significativi e ve ne erano alcuni durante l’anno che sempre si facevano: quelli di San Giuseppe, il 19 marzo a sera con le ginestre che scoppiettavano. Bellissimo! E i fuochi di San Giovanni, il 24 giugno. Corrispondevano generalmente ai solstizi: primavera 21 marzo; estate 21 giugno; autunno 21 settembre e inverno 21 dicembre. Il solstizio autunnale spesso veniva anticipato agli inizi di settembre, prima della transumanza dei pastori nelle marine, con una festa mariana. A San Fele, ad esempio, il falò acceso la vigilia resta acceso fino alla notte di Natale, a Nemoli fino all’Epifania.

Il presepe vivente. In realtà era una processione lungo le vie del paese. Avanti passavano san Giuseppe e Maria col bambinello, seguivano i tre re magi, Melchiorre, Baldassarre e Gaspare con i doni, poi una fila di zampognari e i pastori. Non era raro trovare qualche animale che veniva portato in processione. Seguivano i preti con l’asinello che raccoglievano i doni e li riponevano nei cofani fatti di giunchi. I preti poi giravano anche le campagne e si fermavano a dormire la notte, magari presso qualche vedova. Queste processioni si facevano ogni tanto per ricorrenze festive. Ricordiamo quelle religiose, tra cui i santi patroni, come san Rocco, sant’Antonio, o Maria, la Madonna del Carmine e la Madonna del Rosario. Tra le processioni religiose particolarissima era quella del venerdì santo: i maschi seguivano Gesù morto nella parte alta del paese e le donne, invece, seguivano Maria addolorata nella parte bassa. Poi si riunivano tutti in piazza e tornavano in Chiesa. Tra le processioni laiche ve ne erano tante. Una piccola banda di musicisti, detta “arrivotapopolo” si avviava per le vie del borgo in un clima festoso. Una processione laica importante che si faceva era quella di Carnevale: si portavano due asini, su di uno riponevano un pupazzo che era “carnuvaro” e sull’altro “quaremma”. Seguivano la fila delle “farze”, o maschere, che giravano per le vie del borgo e cantavano col “cupi cupi”, uno strano strumento fatto in pelli di capra, simile ad un tamburello che reca un astuccio nella sommità. Questa processione girava il paese e raccoglieva i doni che poi venivano consumati nella festa. Anche qui veniva accompagnata dai canti in dialetto:

Aggiu saputo che hai acciso u porcu,
dammi la parti ri lu vuccularu.

Alla fine poi andavano a seppellire i due pupazzi, Carnevale e Quaresima, insieme a delle uova.
Poi lungo le strade si udiva l’eco dei canti popolari, tra cui il “Padre Nostro di Natale”, la ninna nanna, che riportiamo dalla raccolta curata da Antonietta Santo:

Gisù Bambinu nasci,
senza fasciatura, né fasci.

San Giseppu vecchiareddu
Stai assittatu a lu scanniteddu
E faciha u fochiceddu,
pi ‘mbucà li panniceddi.

E a Maronna u mira,
li teni li suspiri.
Ndù munnu è natu Gisù
U mali non ci sia cchiù.


Sottolineiamo naturalmente che tutti i bimbi venivano fasciati con queste bande e tenuti stretti per tanto tempo. Essere senza fasce significava essere in estrema povertà. Lo rimarca anche don Giuseppe Iacovino, che aveva composto o riportato tutti i canti delle novene degli antichi arcipreti della Parrocchia S. Spirito, sia i carmi che gli accompagnamenti musicali, tra cui la novena natalizia:

L’eterno, l’immenso nel tempo che nasce,
tra povere fasce avvolto ne sta.

O bambino mio divino, io ti voglio sempre amar,
io ti voglio sempre amar.


Molte erano le “razioni”, canti particolari in dialetto, legate alla vita dei santi che avevano tutto un significato particolare, tra cui quella di santa Barbara, di santa Lucrezia e di san Rocco.

Per concludere ricordiamo i presepi viventi celebrati in tutta la Lucania, in particolare a Matera, a Muro Lucano, a Filiano e un po’ dappertutto. Poi c’è una forte tradizione di produzione di presepi scolpiti, soprattutto a Matera, ricca di materiale tufaceo, quindi facile da modellare. A Castronuovo ci sono tante grotte scavate nella roccia, sede dei presepi, e rappresentazioni sacre. A Terranova sono noti i “Piperi”, traslitterazione di pifferi che incantano le notti della novena di Natale. A Montescaglioso particolare era la processione dei “cucibocca”, personaggi misteriosi vestiti di grossi mati scuri e con barbe bianche e lunghe, simili a Babbo Natale. Questi personaggi girano per le strade a chiedere offerte, che poi venivano raccolte dalla befana e distribuite ai poverelli. C’è un’evidente allusione ad un ordine di maghi, che rievocano Merlino, colla catena ai piedi, fanno rumore quando passano. Questi maghi assistevano le streghe al Sabba, che era la festa della befana. C’è anche un’allusione alla festa dei morti. In effetti anche qui l’antica tradizione vuole che Gesù concedesse ai morti di uscire la notte di Natale e delle feste comandate. Vivi e morti convivevano in queste occasioni.

Reminiscenza di questi maghi erano i “Cerauni”, o maghi tempestari. Questi anche vivevano di elemosina. Una leggenda vuole che una volta i contadini del Piano dei Campi negassero loro l’offerta ed essi scatenarono una tempesta così forte che provocò una frana che si portò va tutta l’antica città di Planula. Si aveva paura di loro, perché, dicevano che mangiassero i bambini, o li rubassero per portarli alle loro compagne streghe, che li usavano per fare rituali magici. Ecco perché dicevano che se Natale cadesse di venerdì erano protetti dalle catastrofi naturali. Per respingere le tempeste dei maghi usavano strani rituali, come i “tredici punti di verità”, che sono riportati nel saggio “Il chicco d’oro” nel Museo del folklore. Tagliavano la terra col coltello e vi facevano scorrere un po’ di sangue: e la tempesta cambiava rotta. Una volta un prete scatenò una violenta tempesta contro il campo del suo vicino, che era suo fratello, il quale la respinse e la tempesta distrusse tutta la tenuta del prete e l’uccise. Quando il fratello vide chi era rimase esterrefatto: – Come hanno il manto così hanno la coscienza.

Entro Natale poi si dovevano concludere gli affari, pagare gli operai, apparare i debiti. I garzoni a Natale dovevano portare il gallo, o l’agnello ai “mastri” di qualunque grado. A Natale Pasqua era vietato fare attività di qualunque genere, portava male. Non si poteva fare il pane, né lavorare al lievito. A san Sebastiano, a san Fabiano e a sant’Antonio abate era vietato fare i salumi: era malaugurio. A Varese, ad esempio la notte di sant’Antonio abate si fa un gran falò e si buttano sulle fiamme delle letterine coi desideri e le preghiere, un po’ come quel prete di cui raccontava uno del Museo del Folklore che bruciava sulle candele le letterine che recavano le offerte.
Riprendiamo anche il “Padre Nostro di Natale” raccolto nei “Canti” di Antonietta Santo:

Pi li vii vozi andari,
pi li vivi e pi li morti,
e pi li sand pilligrini,
sanda Vrotica e sandu Runatu.

Veddiru na camicedda caricata.
Piglieru na preticedda
e la vulihinu minà.

Lassatili hi ca quisti
so li tririci cambani,
ca soninu a Pasca e a Natali.

Mbera ci stia a Virgini Maria,
na proffici d’oru mmanu tiniha.
Tagliava e cusìa.

Pi nnandi ci stia lu figliu soiu.
    – Nun vogliu chiangi, figliu meiu bellu,
    ca stanotti aggiu fattu nu mali sonnu.

    M’aggiu sunnatu ca li Iurei,
    t’avihinu pigliatu e a lu Calivariu
    t’avihinu purtatu.

    A curona d’oru t’avihinu livatu
    e na curona hi spini t’avihinu
    chiantatu.

    – Cittu, mamma mia, ca questa
    è a sorti ch’aggia fa hè,
    pi salivà l’animicedda vosta.



Maria qui viene equiparata ad una parca, o moira, che tesse i destini. Sui lupi mannari poi c’è tutta una reminiscenza di fatti e di saghe. Venivano chiamati anche i lupi “mainardi”, o “minardi”. Questi uscivano nelle notti di luna piena e bisognava stare attenti. Con la luna piena era sconsigliato infatti travasare il vino, piantare, fare gli innesti. Uscivano soprattutto nel periodo tra Natale e Capodanno, ma anche in altri periodi. C’è un collegamento certamente ai Lupercali latini. Molte contrade portano ancora il nome di siti romani, come Ruspagano (rus pagana), o Feroni (Feronia). C’era un tabu fortissimo: non bisognava mai mangiare la “carne allupata”, cioè toccata dai lupi “minardi”, o dai lupi in generale.

Chi mangia a carni allupata nu s’abbotta mai.

Chi mangia la carne toccata dai lupi non si mai sazia.


Cioè è preso da una brama insaziabile. I minardi erano esseri fantastici, come tanti altri della mitologia antica, fatti per metà uomo e metà lupo. Abitavano nelle grotte che conducevano al centro del mondo, al regno dei morti ed uscivano. Comparivano nelle notti di luna piena e divoravano le pecore, ma anche gli esseri umani. Non bisognava mai uscire nelle notti di luna piena e soprattutto avventurarsi fuori del paese.

Una volta una signora ignara, vedendo una luna che le pareva un sole, si sbagliò a vedere l’orologio. Erano le tre di notte e le parevano le tre di giorno. Si avviò in campagna. Vide i lupi minardi che la azzannarono e anche ella fu trasformata in una di loro. Non tornò più a casa. E i figli l’aspettavano. In una notte di luna piena si presentò innanzi la finestra e chiamo i figlioletti con un ululato. Poi li ammonì di non aprirla mai, perché sennò li avrebbe mangiati. Ma con l’aiuto di un mago, le fu concesso di vedere i figli fino al tramonto. Di giorno era una donna normale, ma al tramonto doveva uscire, perché si trasformava in una strega, o lupa mainarda. Una notte i cacciatori volevano uccidere la lupa, perché la consideravano portatrice di sventura, ed essa fuggì a casa. I figli e il marito impietositi la fecero entrare e per salvarla si fecero azzannare e furono tutti trasformati in lupi mannari. Entrati i cacciatori in casa li assalirono e li azzannarono ed anche essi furono trasformati in mezzi uomini e mezzi lupi. In poco tempo tutto il villaggio fu infettato da quel morbo che trasformava gli uomini in lupi. Nessuno più andava lì per secoli. Fu abbandonato e fu chiamato “Lupania”. Fu solo quando san Domenico Lentini di Lauria che si recò da quelle parti e fece una preghiera e tutti gli uomini-lupi tornarono ad essere umani, dopo tanti secoli e fecero una grande festa.

Somigliavano molto alle stilizzazioni del dio egizio Anubi: un uomo dalla testa di sciacallo, perciò erano collegati al mondo dei morti, anzi ne erano i guardiani. Non bisognava mai aprire la porta nelle notti di luna piena quando qualcuno bussava: potevano essere loro. Il lupo, ad esempio, presente in tante leggende, come in “cappuccetto rosso” forse rimanda a questo essere fantasmagorico. La lupa che allattò Romolo e Remo probabilmente era una di queste sacerdotesse, o una “minarda”. D'altronde è possibile che nelle saghe del Sabba, i sacerdoti delle streghe indossavano forse maschere con totem di animali, come i lupi, quindi questi “minardi” potevano essere, come i “cucibocca” e i “cerauni” antichi ordini sacerdotali pagani. Nella toponomastica, come nei soprannomi ci sono moltissime reminiscenze pagane. Citiamo solo, ad esempio, i “Ianari”, famiglie di stregoni. La Janara era la mamma delle streghe. Ma “ianara” ricorda Dianara, la sacerdotessa di Diana. Una di queste maghe potentissime era Rosa di Lampone, che faceva fatture a morte. Gli affatturati, come gli allupati, dovevano liberarsi ed andare dai maghi buoni per farsi togliere la fattura. Una volta un affatturato si gettava nelle ortiche e si grattava tutto il corpo. Buon Natale!

giovedì 11 dicembre 2025

Complimenti a Massimo Pulini e ad Elvis Spadoni

XIV BIENNALE D’ARTE SACRA CONTEMPORANEA
PROFETI DI SPERANZA, CREATORI DI BELLEZZA
MUSEO STAURÓS D’ARTE SACRA CONTEMPORANEA


San Gabriele – Isola del Gran Sasso (Teramo)
Chiesa San Vittore - Largo Ludovico Cattaneo - Ascoli Piceno
Chiesa Sant’Agostino - Via delle Torri - Ascoli Piceno


XVI BIENNALE D’ARTE SACRA CONTEMPORANEA
Profeti di speranza, creatori di bellezza

* Chiesa San Vittore - Largo Ludovico Cattaneo - Ascoli Piceno

* Chiesa Sant’Agostino - Via delle Torri - Ascoli Piceno

Periodo: 13 Dicembre 2025 – 31 Gennaio 2026

Inaugurazione: 13 Dicembre 2025, ore 16:00

* Museo Staurós d’Arte Sacra Contemporanea, Santuario San Gabriele – Isola del Gran Sasso (TE)

Periodo:14 Dicembre 2025 – 31 Gennaio 2026

Inaugurazione: 14 Dicembre 2025, ore 16:00

Comunicato Stampa

Sabato 13 Dicembre 2025 alle ore 16:00, nelle due chiese romaniche più affascinanti di Ascoli Piceno: San Vittore e Sant’Agostino e Domenica 14 Dicembre 2025 alle ore 16:00 al Museo Staurós d’Arte sacra contemporanea del Santuario di San Gabriele (Teramo) si inaugura la Sedicesima Biennale d’Arte Sacra contemporanea Profeti di speranza, creatori di bellezza, curata da Giuseppe Bacci, con la collaborazione di Arnaldo Colasanti e Andrea Viozzi.
In occasione dell’Anno Giubilare 2025 promosso da Papa Francesco, di venerata memoria, con la bolla Spes non confundit, si vuole onorare questo evento con un’iniziativa di animazione, un segno di speranza del mondo dell’arte, dove il concept della rassegna evidenzia come la XVI Biennale d’arte sacra aiuterà il visitatore a percepire la circolarità tra sensibilità e ragione e come il rapporto fra Arte-Fede e Arte-Speranza sia radicato nell’essenza stessa dell’esperienza religiosa e della creazione artistica.
Con queste premesse, il Museo Staurós d’Arte sacra contemporanea del Santuario di San Gabriele a Isola Gran Sasso, in fruttuosa collaborazione con la Diocesi di Ascoli Piceno e di San Benedetto del Tronto - Ripatransone – Montalto, hanno deciso di condividere insieme l’evento espositivo diffuso della XVI Biennale d’arte sacra: Profeti di speranza, creatori di bellezza allestito nelle sedi delle realtà coinvolte.
La Sedicesima Biennale d’Arte Sacra Profeti di speranza, creatori di bellezza, è strutturata in cinque sezioni che, in sequenza narrativa, ospitano le opere degli artisti in mostra.

La prima sezione, “Nel segno della Luce - ⁠Segni di luce, segni di speranza”: esplora il tema della luce come simbolo di speranza e di illuminazione, con opere di PAOLO ANNIBALI, AGOSTINO ARRIVABENE, PAOLO BORGHI, ADO BRANDIMARTE, ANTONELLA CAPPUCCIO, BRUNO CECCOBELLI, FABRIZIO CLERICI, FABRIZIO CORNELI, GASTONE COSTANTINI, FRANCESCO DE MOLFETTA, ALBERTO DI FABIO, DOMENICO DIFILIPPO, STEFANIA FABRIZI, GIGINO FALCONI, OMAR GALLIANI, PAOLO GUBINELLI, BRUNO MANGIATERRA, GIACOMO MANZÙ, FRANCO MARROCCO, MARINO MELARANGELO, FRANCO NOCERA, ROMANO NOTARI, LUIGI PAGANO, MIMMO PALADINO, MARSIDA PAVLIQOTI, SALVATORE PROVINO, MASSIMO PULINI, PAOLO RADI, MAURIZIO ROMANI, SANDRO SANNA, JACOPO SCASSELLATI, GIORGIO TASSI, MATTEO TENARDI, MARCO TIRELLI, MARIO VESPASIANI.

La seconda sezione, “La Pace nel cuore dell’arte”: puntualizza il tema della pace e della sua rappresentazione nell’arte e accoglie le opere di ANGELO CASCIELLO, PIERO CASENTINI, MARCO CINGOLANI, PAOLO CONSORTI, BRUNO D’ARCEVIA, GIULIO DE MITRI, GRUPPO EARTH, OMAR GALLIANI, ROSARIO GENOVESE, FRANCO GILETTA, IRENEO JANNI, ALESSANDRO KOKOCINSKI, MARISA KORZENIECKI, ANTONELLA LOMBARDI, PAOLO MARAZZI, LUCIANO MASSARI, RENATO MARINO MAZZACURATI, ELIAS NAMAN, ALESSANDRA PENNINI, PABLO PICASSO, ROBERTO PIETROSANTI - GIOVANNI LINDO FERRETTI, MASSIMO PULINI, STELLA RADICATI, ASCANIO WELCOME RENDA, UGO RIVA, JACOPO SCASSELLATI, TITO, VALERIANO TRUBBIANI, ANGELA VINCI, GIOVANNI ZODA.

La terza sezione, “Profeti di speranza per un nuovo domani”: è dedicata ai profeti e ai leader spirituali che hanno ispirato la speranza e la fede. Gli artisti presenti in questa sezione: ELIO ALFANO, AGOSTINO ARRIVABENE, MATTEO BASILÈ, ANTONELLA CAPPUCCIO, TOMMASO CASCELLA, GIORGIO CUTINI, BRUNO D’ARCEVIA, GIULIO DE MITRI, FRANCESCO DE MOLFETTA, STEFANO DI STASIO, GRUPPO EARTH, IDO ERANI, STEFANIA FABRIZI, GIGINO FALCONI, LUCA FARINA, PERICLE FAZZINI, ANDREA FOGLI, FRANCO GILETTA, FABRIZIO LAVAGNA, FELICE LEVINI, BRUNO MANGIATERRA, ANDREA MARTINELLI, GIUSEPPE MAZZULLO, MAYA MOLERO KOKOCINSKI, ELIAS NAMAN, ALESSANDRA PENNINI, ERNESTO PORCARI, STELLA RADICATI, OLIVIERO RAINALDI, MARIKA RICCHI, SALVO RUSSO, GIUSEPPE SALVATORI, ELVIS SPADONI, MATTEO TENARDI, ALBERTO TIMOSSI, GIOVANNI TOMMASI FERRONI, FRANCESCO TROVATO, SERGIO VACCHI, che hanno interpretato la grana salvifica della Parola attraverso l’eclettismo del linguaggio simbolico.

La quarta sezione, “Creati per creare - ⁠Creatori di bellezza”: indaga il tema della creatività e dell’ispirazione degli artisti e comprende opere diversamente ispirate all’immaginario realizzate dagli artisti: MATTEO BASILÈ, FLORIANO BODINI, ANGELO CASCIELLO, PIERO CASENTINI, ANTONIO D’ACCHILLE, ALESSANDRO D’AQUILA, ALBERTO DI FABIO, DOMENICO DIFILIPPO, IDO ERANI, LUCA FARINA, SILVIO FORMICHETTI, MICHELANGELO GALLIANI, GIULIANO GIULIANI, EMILIO GRECO, PIERO GUCCIONE, ALESSANDRO KOKOCINSKI, SERENA LA SCOLA, FABRIZIO LAVAGNA, CARLO LORENZETTI, PAOLO MARAZZI, LUCIANO MASSARI, AUGUSTO PEREZ, PAOLO RADI, ASCANIO WELCOME RENDA, MEDARDO ROSSO, SALVO RUSSO, MAURIZIO RUZZI, TOM SEERDEN, STEFANIA SPALLANZANI, TITO, GIOVANNI TOMMASI FERRONI.

La quinta sezione, “Dialogo tra le culture”: affronta il tema del dialogo e della comprensione tra le diverse culture e tradizioni con opere realizzate dagli artisti: MARYAM BAKHTIARI, PAOLO BORGHI, TOMMASO CASCELLA, BRUNO CECCOBELLI, MARCO CINGOLANI, PAOLO CONSORTI, BRUNO D’ARCEVIA, TERENZIO EUSEBI, OMAR GALLIANI, ROSARIO GENOVESE, ARMANDO GIOIA, ALESSANDRA GIOVANNONI, GIULIANO GIULIANI, LUCA GRECHI, FRANCO IONDA, IRENEO JANNI, SERENA LA SCOLA, ANTONELLA LOMBARDI, MARCELLO LUCADEI, FRANCO MARROCCO, ANDREA MARTINELLI, SILVIO MASTRODASCIO, STEVE MCCURRY, FRANCO NOCERA, NUNZIO, MIMMO PALADINO, MARIKA RICCHI, PIETRO RUFFO, MAURIZIO RUZZI, ANTONIO SANTACROCE, TOM SEERDEN, STEFANIA SPALLANZANI, GIANLUCA STAFFOLANI, GENTI TAVANXHIU, FRANCESCO TROVATO, SERGIO VACCHI, GIOVANNI ZODA.

La Sedicesima Biennale d’Arte Sacra Profeti di speranza, creatori di bellezza è accompagnata da un catalogo pubblicato dalle Edizioni Centro Staurós, a cura di Giuseppe Bacci, recante illustrazioni delle opere esposte, nonché introduzioni di Monsignor Gianpiero Palmieri, Vescovo di Ascoli Piceno e di San Benedetto del Tronto - Ripatransone - Montalto, di P. Vincenzo Fabri, responsabile del Museo Staurós di San Gabriele (TE) con testi di Giuseppe Bacci e Arnaldo Colasanti.

All’inaugurazione saranno presenti autorità civili e religiose, artisti e critici d’arte. La mostra resterà aperta fino al 31 Gennaio 2026.

XVI BIENNALE D’ARTE SACRA CONTEMPORANEA “PROFETI DI SPERANZA, CREATORI DI BELLEZZA”

** LUOGO: Chiesa San Vittore - Largo Ludovico Cattaneo - Ascoli Piceno

Chiesa Sant’Agostino - Via delle Torri - Ascoli Piceno

PERIODO: Sabato 13 Dicembre 2025 – 31 Gennaio 2026, orario: 10:00-13:00 – 15:00-19:00 (chiuso il

lunedì). Ingresso libero

** LUOGO: Museo Staurós d’arte sacra contemporanea - Santuario di San Gabriele (Teramo)

PERIODO: Domenica 14 Dicembre 2025 – 31 Gennaio 2026, orario: 10:00-13:00 – 15:00-18:00 (chiuso il lunedì). Ingresso libero

ORGANIZZAZIONE: Museo Staurós d’Arte Sacra Contemporanea - San Gabriele (Te)

CURATORE: Giuseppe Bacci, con la collaborazione di Arnaldo Colasanti e Andrea Viozzi

CATALOGO edito dalle Edizioni Centro Staurós

PER INFORMAZIONI: Museo Staurós d’Arte Sacra Contemporanea, stauros@libero.it



lunedì 8 dicembre 2025

Il talento nascosto e la speranza possibile: Roberto Battestini a Museo Popoli e Culture di Milano 11 dic 2025

 

domenica 7 dicembre 2025

“Come si può mettere una cornice all’infinito?” (p. 158)

Luigi Laguaragnella, Emozionato nero. I colori di una missione negli occhi di un bambino, La Rambla edizioni 2023 

recensione di AR



“Gli africani conoscono il vero significato della parola vita, ne hanno colto l’essenza in ogni suo aspetto. dal tragico al meraviglioso.” (p. 143)

Con uno stile fresco, da reporter, Luigi Laguaragnella ci trascina gentilmente con lui in questo viaggio in Tanzania con un piccolo gruppo di volontari legati ai Missionari del Preziosissimo Sangue. Della “comitiva” fanno parte una giovane coppie di sposi, una famiglia che fra i componenti annovera il vivacissimo Chicco, ragazzi e ragazze vogliosi di immergersi in un mondo capace di donare, per la ricchezza e la verità delle relazioni umane, una nuova, più esatta ed empatica, scala di valori: “Le emozioni si svuotavano di desiderio per riempirsi di gratitudine, vero balsamo contro la rabbia e l’indignazione” (p. 159).

L’autore si mette particolarmente a nudo nel corsivo a p. 148: “Sto riuscendo a gestire le emozioni, oppure le sto raffreddando? Forse le sto tenendo fra le mani. (…) L’amicizia, sebbene non ritenga di saper farla germogliare, è ricca di frutti. (…) Il cielo è così pieno di stelle che in quest’attesa gli occhi tracciano le forme e linee che disegnano proprio i sogni. E non mi accorgo che gli occhi che li disegnano sono i miei.”

Un racconto che ci avvolge con una narrazione filante e al contempo ci aiuta ad aprire gli occhi, a rivedere i nostri pregiudizi, a stupirci di una bellezza che può sorprenderci dove proprio non ce l’aspettiamo.

mercoledì 3 dicembre 2025

IL PRINCIPIO D’IDENTITÀ PSICOLOGICO

Riflessioni sulla filosofia dell’Io

di Vincenzo Capodiferro


 


Noi non conosciamo altro che ciò che siamo capaci di osservare. Riusciamo a desumere a stratte i rapporti tra i fenomeni. La fisica e la chimica, ad esempio, ci possono indicare che vi sono molteplici soluzioni. Ignoriamo assolutamente cosa sia la sostanza materiale, con tutto gli sforzi che la scienza ha fatto da secoli e secoli. Tanto meno possiamo immaginare il rapporto tra la sostanza materiale con altri tipi di sostanza. Nel dominio psichico però sussiste un principio costante, che non è solo logico: il principio di identità. Questo principio afferma che esiste un’identità tra il soggetto conoscente ed il soggetto conosciuto. Noi non conosciamo dei semplici oggetti, o l’oggetto, ciò che ci sta di fronte. Noi invece ci troviamo di fronte la sostanza infinita, di cui facciamo parte. È la sostanza che si riconosce essa stessa, attraverso di noi. Il soggetto conoscente si trova di fronte un altro soggetto, che è di fronte ad esso. L’oggetto è solo una proiezione, non è la sostanza, ciò che i greci chiamavano ipostasi. L’ipostasi è il fondamento, l’ipostasi è ciò che non ha bisogno di nulla per esistere. Uno dei problemi fondamentali della filosofia è proprio chiarire il rapporto tra sostanza spirituale ed altri tipi di sostanze. Questo problema può risolversi in questo: quale è il rapporto tra il mondo interiore e quello esteriore? E più in generale possiamo risolverlo nell’altro: cosa è la percezione, o conoscenza di un fenomeno? Innanzitutto, seguendo Kant, noi affermiamo che possiamo conoscere solo il fenomeno, o la manifestazione dell’essere, non l’essere. Tutto ciò che va oltre la nostra capacità percettiva è il mondo dell’Assoluto. Possiamo conoscere solo le manifestazioni tangibili e finite che avvengono nell’Infinito. Noi abbiamo una certa concezione dell’Infinito, ma questa è sempre incompleta. Visto che nel mondo psicologico il soggetto e l’oggetto sono identici, ci verrebbe più facile conoscere questo mondo. In realtà non è così, perché altrettanto infinito è il mondo interno e forse più di quello esterno. Agostino scriveva: «Gli uomini sono soliti avere in grande stima la scienza del mondo terrestre e celeste; ma senza dubbio i migliori tra di essi sono coloro che preferiscono la conoscenza di se stessi a questa scienza e l’anima che conosce anche la sua debolezza è degna di maggior lode che non quella che, senza averla presa in considerazione, si sforza di investigare le orbite degli astri o quella che già le conosce, ma ignora quale via la conduca alla sua salvezza e alla sua sicurezza». Così sviluppiamo bene questa scientia sui, per saper meglio dirigere i nostri passi nel mare infinito della vita. Riprendiamo il principio socratico e delfico del «Conosci te stesso». Significa fare l’analisi delle proprie facoltà, rendersi conto dei poteri e dei limiti di cui l’uomo dispone per poter conseguire il proprio fine. Significa scomporre l’intelligenza, onde meglio servirsene per pervenire al vero, conoscere la volontà per procedere più sicuramente verso il bene. Il principio di non contraddizione suona così: è impossibile che una ente sia e non sia allo stesso tempo. Ma questo include che è impossibile che io percepisca che l’ente sia e non sia, e quindi che io percepisca e non percepisca allo stesso tempo l’ente nello stesso modo. L’assunto parmenideo è essere e pensare sono la stessa cosa. Cartesio ne coglie il lato del soggetto: penso, dunque sono; Berkeley il lato percettivo: esse est percipi. Al di là delle differenze tra queste considerazioni, riteniamo che unico sia il filo conduttore, e cioè che tra essere e pensiero c’è un rapporto intrinseco. 

L’intelligenza è la capacità di conoscere. Conoscere non è altro che avere l’idea di una cosa. Ogni volta che prendo coscienza di un essere, o di un modo con cui io conosco un ente, io ho un’idea. L’idea è dunque la conoscenza nel suo stato più semplice. L’intelletto abbraccia tre mondi: quello fisico, quello psichico, quello pneumatico, o metafisico. Nel mondo fisico cogliamo i fenomeni. L’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo ci sfuggono. I fenomeni esterni accadono sotto i nostri sensi e li cogliamo attraverso i sensi. Nel mondo psichico invece i fenomeni sono interiori e non essendo materiali, non possiamo coglierli alla stessa stregua e cogli stessi strumenti di quelli esteriori. La natura ha dotato l’uomo, però, di una capacità profonda che permette di conoscere i fenomeni interni e questa è la coscienza, o, come la definivano diversi filosofi, l’appercezione. La percezione ci permette di cogliere l’esterno, l’appercezione è invece quella facoltà che possiede il «me» di conoscere se stesso e di rendersi conto delle modificazioni che avvengono in esso come se fosse un teatro, o caverna platonica. A queste due forme di conoscenza, così diverse ed eterogenee, quella interna e quella esterna, corrispondono due altrettanto diverse oggettivazioni gnoseologiche: la sensazione e l’impressione. L’appercezione è altro dall’anima, e questo Kant l’aveva ben messo in evidenza: è un fenomeno particolare, la manifestazione dell’anima a se stessa, in modo che questa quasi potesse studiarsi, fino ad un certo punto, al confine coll’Assoluto, che è il termine di ogni nostra facoltà conoscitiva. 

Seguendo Kant, noi possiamo conoscere il fenomeno, non il noumeno. Se noi scendiamo in noi stessi ci accorgiamo che vi passa una folla di fenomeni. Ho un’idea e subito dopo ne ho un’altra differente. Ho un sentimento e questo subito passa e ne ho un altro diverso. Fenomeno è tutto ciò che appare, ma appare a qualcuno e quindi esprime un essente, ciò che esiste e pare che non possa esistere o essere altro da quello che sia in quel momento. Il fenomeno ha il carattere di essere variabile e cangiante. Vi sono due tipi di fenomeno che noi cogliamo: il fenomeno fisico, che può essere meccanico, od organico, e quello trascendentale, in senso kantiano, o psicologico. Il primo concerne la materia inorganica, caratterizzata da inerzia, cioè quella che è mossa da un agente estrinseco. Il fenomeno organico, o fisiologico, concerne la materia organica, cioè quella che ha in sé una causa intrinseca al moto. Il fenomeno psichico invece, ci avvicina al mondo spirituale e concerne tutte le manifestazioni che passano attraverso la coscienza. Tra questi due mondi: quello fisico e quello psichico c’è un abisso, tant’è che, seguendo sempre l’Estetica trascendentale del grande Kant, noi li conosciamo attraverso due forme pure, o intuizioni pure diverse. Il fenomeno fisico lo cogliamo sempre nello spazio, quello psichico nel tempo. La conoscenza del fenomeno fisico inoltre è mediata, quella del fenomeno psichico è immediata. Conosciamo infatti successivamente nel corpo, ma simultaneamente nell’anima. Visto che i fenomeni si succedono in noi, ma non fuori di noi, perché il tempo è in noi, possiamo dire che no vi è continuità tra i fenomeni psichici, ma ve ne è invece tra quelli fisici. La prima conseguenza di questa elementare osservazione è che esiste un’attività psichica. Noi siamo degli esseri attivi, perché c’è una causa di tutti i fenomeni psichici, una propria sostanza che sta alla base di tutte le modificazioni del «me». 

I fenomeni psichici possono essere, a loro volta, di tre tipi: sensibili, intellettuali e volontari. Se io sento un suono, o vedo un uomo, si ha un fenomeno di sensazione. Se parlo, o avverto un sentimento, o parlando esprimo idee chiare, o rifletto, comparo, generalizzo, si ha un fenomeno intellettuale, se io voglio parlare o stare seduto, o mangiare, si ha un fenomeno volontario. Questa distinzione dei fenomeni è tanto adeguata che i differenti termini non possono confondersi. Il fenomeno sensibile è passivo, fatale e soggettivo. È passivo perché il soggetto non può evitarlo. Se apro gli occhi devo vedere ciò che sto vedendo in quel momento. Se vedo un albero vedo un albero e non una casa e se l’albero lo vogliamo chiamare capra, va bene, vedo una capra, ma il termine capra corrisponde sempre ad un essere che è albero. È fatale, perché avviene sempre nelle stesse condizioni ed alla stessa maniera. È soggettivo, perché passa interamente nel soggetto pensante. Il fenomeno intellettuale è misto, nel senso che è in parte passivo e fatale, in parte attivo e riflesso, ma è oggettivo, perché ci dà la conoscenza dell’oggetto, del mondo esterno. Il fenomeno volontario, invece è libero, attivo e riflesso. Ne siamo gli autori assoluti, e possiamo a nostro piacimento, riprodurlo, sospenderlo, o riprenderlo. 

La ragione ci fa accorgere che ci sono dei fenomeni. I fenomeni sono variabili, non si possono produrre da sé. Il principio di ragione ci dice che tutto ciò che ha cominciato ad essere, suppone una causa sufficiente che lo produca. Visto che questi fenomeni passano nell’io è nell’io che occorre cercare la causa di essi. La causa dei fenomeni psichici non può essere altro che una potenza speciale e questa risiede nelle diverse facoltà che possediamo: la sensibilità, l’intelletto e la volontà. Occorre cercare le cause che producono in noi i fenomeni cangianti, ma quale è la causa del fenomeno? Non può essere il fenomeno stesso, altrimenti tutta la realtà si ridurrebbe in una pura manifestazione di una manifestazione, cioè in un’illusione. La causa è una sostanza, di cui i fenomeni sono dei modi, o degli attributi, tanto per usare dei termini spinoziani. Se nella sensazione l’intelletto è passivo, vuol dire che egli stesso non ne è l’autore. E chi ne è l’autore? Ma potremmo dire: è il mondo esterno! Ma cosa è il mondo? Nessuno lo sa, è un noumeno. Il mondo è fatto di materia. Ma cosa è la materia? È un fenomeno fisico, che può essere meccanico, od organico, l’uno ci dà l’inerzia, l’altro invece l’erzia, cioè la capacità di moto. Nel linguaggio usiamo dei termini diversi per delineare il corpo mobile, da quello inerte. Ma cos’è il corpo? Nessuno lo sa realmente. Ciò che conosciamo è legato in qualche modo a quella grande parola che noi chiamiamo esperienza, ma nessuno sa realmente cosa essa sia. La capacità dell’uomo è limitata, la forza dell’uomo è finita e ciò che è finito confina sempre con qualcos’altro, coll’infinito, con un’attività infinita e produttiva, che è la causa di tutte le cose che sono, che noi chiamiamo Dio, ma voi chiamatela come volete. Tra Dio e l’io vi è tutta questa variopinta ed ombrosa serie e ammasso di manifestazioni.

L’attività dell’uomo, limitata, può essere di due generi: spontanea e fatale, o riflessa e volontaria. La prima è il potere di subire certi fenomeni, senza poter reagire e questa è necessaria all’uomo, altrimenti non potrebbe essere modificato. Ma l’uomo, ed in parte anche altri animali, hanno un altro potere, cioè quello di reagire a questa prima attività e questa si chiama riflessa, o volontaria. L’attività è sempre una, però si manifesta in due modi diversi: subire e reagire. Si può distinguere ancora in: istintiva, spontanea e riflessa. la prima è puramente spontanea e fatale, la seconda è intermedia tra la prima e la terza, quella volontaria, o libera, o riflessa. ogni fenomeno infatti è un modo, o manifestazione, così l’attività si manifesta in vari modi: vago ed indeterminato, spontaneo, riflesso. Subire e reagire sono un po’ come la sistole e la diastole, la tesi e l’antitesi del movimento attivo. Il moto vago ed indeterminato, invece è quello irriflesso, o inconscio e non è tale per sé, ma perché è in qualche modo rimosso, nel senso freudiano. Anche l’inconscio risente di questa attività, anche essa inconscia di rimuovere dalla coscienza. Nell’attività inconscia sono coinvolte le facoltà della memoria, dell’immaginazione e dell’associazione delle idee. 

Il principio di identità, o non contraddizione, ha un valore, dunque assoluto, solo se riferito all’io, altrimenti ha un valore relativo. Io=Io, questa è un’equazione che ha sempre un valore in qualunque tempo, mentre il principio di non contraddizione non ha valore se applicato al tempo, tanto è vero che per le verità storiche Leibniz ammise il principio di ragion sufficiente. In altri termini il principio di ragion sufficiente vale per il non-Io, ma anche per l’Io. Perché io esisto? L’io è la costante psicologica originaria. La costante cosmologica, non quella fisica, dovrebbe essere Dio, che è sempre un io, sebbene assoluto. Il non-Io è l’inconscio, inteso in senso più ampio non solo come il rimosso freudiano (che è conscio diventato inconscio), ma l’incosciente, cioè tutta la natura, o universo dotato di inconscio latente, come la materia inorganica. Diciamo così perché presupponiamo una sostanza noetica universale presente in tutta la materia, ciò che gli antichi definivano come Anima Mundi. Il problema sorge nel momento in cui ci chiediamo: donde proviene l’io? Dall’esperienza? In parte. D’altra parte l’io è apriori, come sosteneva Kant. O è innato. Noi sosteniamo che l’io è forma e materia originaria a sé, trasferito dall’Assoluto. Solo nell’ambito spirituale, o pneumatico, troviamo l’idea d’io. Possiamo ammettere una coscienza latente, o indita, nel mondo animale e vegetale. La coscienza addita, o autocoscienza è di origine soprannaturale. Il super-coscienziale e l’ultracoscienziale (cioè la visione mistica, o paranormale) si rapportano all’in-coscienziale. L’a-io non è il non-io. Quest’ultimo procede da negazione o determinazione dell’io. I principi logici si riferiscono all’io. La Natura procede per processi inconsci, o latenti, solo nella parte spiritualizzata (uomini e spiriti) procede per processi consci o auto-consci, cioè atti puri, nn contaminati da induzioni esterne, né interne, ma dalla pura volontà di potenza. L’io è anche volontà assoluta. L’identificazione avviene tra diversi livelli dell’io: io=io (io empirico); Io=io (io collettivo); D-Io=io (io assoluto). Coscienza e autocoscienza sono diversi livelli di identificazione dell’io, nel suo cammino verso l’Assoluto (l’hegeliano romanzo della “Fenomenologia”). L’ultimo grado non è panteistico, ma mistico. Il principio di identità raggiunge il suo massimo grado di comprensione e perfezione nell’identificazione di Dio e Natura (Deus sive Natura) che però non può essere pensato ingenuamente, cioè panteisticamente. Il fichtiano “io è tutto” in Schelling si trasmuta in “tutto è io”. Wittgenstein: «Non come il mondo è, è il Mistico, ma che esso è». Il che significa a livello logico che il principio di ragion sufficiente al suo massimo grado è mistico e che coincide unicamente in questo grado col principio di identità al suo massimo livello (D-Io=Io=io). 


sabato 29 novembre 2025

LA DOPPIA VISTA a Fonte Avellana 28 dic - 01 gen



PROPOSTE 2025

LA DOPPIA VISTA

28 DICEMBRE 2025 - 01 GENNAIO 2026

Seminario

pratiche teatrali, spiritualità, pensiero


Le basse verità non ci sono di alcuna utilità, che cosa ce ne faremmo?

Siamo convinti che le verità ci siano necessarie non in sé stesse, ma in quanto possono essere utili sempre a qualche “azione”. Proveremo a cercare e a spostare il punto d'unione tra realtà esteriore ed interiore, tra corpo anima e mente, tra accordo e disaccordo, senza evocare esotiche fughe dalla realtà, ma una sorta di “doppia vista” qualcosa che si fonda sull’esperienza sensibile e che permette, proprio per le sue fondamenta empiriche, uno sguardo che supera il reale. Il limite tra realtà e immaginazione, evidenzia l’essenza stessa dell'atto poetico. Questa doppia natura, questa “doppia vista”, fisica e metafisica presente già nel nostro sguardo fotografico, va solo liberata, riconciliata.


Formatori e formatrici:

Andrea De Magistris

(Regista teatrale e formatore)

Gianni Giacomelli

(Monaco Camaldolese)


con la partecipazione di

Marta Vitalini (Attrice e formatrice)

Andrea Simone (Canto armonico)


per info e iscrizioni scrivere a:

foresteria@fonteavellana.it

Via Fonte Avellana, 8 – 61040 Serra Sant’Abbondio (PU), Italia · fonteavellana.it · info@fonteavellana.it · 0721730261 / 3335731921

venerdì 28 novembre 2025

Premiazione Scritti ispirati a copertine di libri immaginari a Collesalvetti (LI) 4 dic 2025



Gentili giurate, giurati e sponsor dell’Incipitojo livornese,


anche grazie al vostro prezioso contributo l'incontro di premiazione è ormai in vista: 4 dicembre dalle ore 16:00, nella Limonaia del Complesso di Villa Carmignani a Collesalvetti (Via Garibaldi 77).
In allegato, locandina dell'evento.
Le opere premiate verranno proposte al pubblico da lettori e lettrici di Furore OdV. Seguirà visita guidata alla mostra 'Alberto Calza Bini pittore e architetto tra Roma e Livorno', a cura della Dott.ssa Francesca Cagianelli (Conservatrice della Pinacoteca Comunale Carlo Servolini).

Buona parte delle nove persone premiate saranno presenti, volentieri ci troveremo con chi di voi riuscirà a esserci.

Buona giornata


Lorenzo Scacchia





{ad uso di starvi a fantasiar}

incipitojo.it
hauchnebelkabinett.eu
instagram.com/hauchnebelkabinett/


mercoledì 26 novembre 2025

Concorso Narrapoetando scad. 30 nov 2025

 Art. 1 Le Edizioni Fara bandiscono la iX edizione del concorso Narrapoetando: sez. A romanzo breve o raccolta di racconti o saggio di taglio divulgativo; sez. B raccolta di poesie. Tema libero.

Art. 2 L'opera deve essere inviata a info@faraeditore.it entro il 30 novembre 2025 in un unico file di testo (doc rtf pages o simili) anonimo e senza rifermenti personali. Il partecipante si impegna a non inviarla contemporaneamente ad altri concorsi.

Art. 3 L'opera inviata (non più di una per autore) deve essere inedita (o comunque l'autore deve detenerne i diritti; a tal fine l'autore deve dichiarare nella mail l'opera frutto esclusivo della sua inventiva e di sua libera, totale e gratuita disponibilità anche in relazione a materiali eventualmente citati e inseriti) ed essere compresa per la sez. A fra un minimo di 40 e un massimo di 70 cartelle (ovvero fra 72.000 e 126.000 caratteri sempre includendo gli spazi); per la sez. B. comprendere un minimo di 40 poesie e non più di 70 e non superare comunque il numero complessivo di 2.000 versi (righe bianche incluse).

Art. 4  È richiesta una tassa di lettura di  15,00 che dà diritto a ricevere (in Italia) L'isola continentale (o altro titolo in caso di esaurimento scorte). Bonifico a Edizioni Fara sas di Alessandro Ramberti & C. IBAN IT25U0885224202032010045062 inviando con la mail di partecipazione la distinta di pagamento (in causale: Narrapoetando 2026).

Art. 5 Il partecipante dovrà allegare o inserire nel messaggio di posta elettronica uno stringato e simpatico curriculum vitae (non più di 10 righe evitando aridi elenchi di date, titoli o premi) con una foto e dati anagrafici (luogo e data di nascita, residenza, codice fiscale), e-mail e recapito telefonico.

Art. 6 Premi. I tre primi classificati di ogni sezione riceveranno un accordo di edizione e verranno pubblicati singolarmente a cura e a spese dell'Editore. I volumi conterranno i giudizi dei giurati. I vincitori riceveranno 3 copie omaggio e avranno uno sconto del 40% (+ spese di spedizione) sulle altre copie che volessero acquistare.

Art. 7 Il giudizio verrà operato insindacabilmente dall'editore grazie a giurati di sua fiducia. I risultati verranno comunicati ai partecipanti via posta elettronica (v. Art. 9). Si sconsiglia la partecipazione a chi non si sente pronto ad accogliere giudizi anche critici.


Art. 8 Qualora si ritenesse non soddisfacente la quantità e/o la qualità delle opere pervenute, la pubblicazione premio potrà non aver luogo.

Art. 9 I risultati verranno comunicati ai partecipanti e nel web entro il febbraio 2026 e saranno pubblicizzati nel sito www.faraeditore.it e nei blog narrabilando e farapoesia. Non è prevista una cerimonia di premiazione.

Art. 10 La partecipazione al Concorso Narrapoetando implica la diligente accettazione di tutte le norme indicate nel presente bando.

Art. 11 Ai sensi della legge 675/96 (e succ. mod.) e del D. Lgs 196/2003 i partecipanti al concorso consentono a Edizioni Fara il trattamento dei dati personali secondo quanto previsto dal presente bando. Resta inteso che potranno in ogni momento richiedere di essere cancellati dalla nostra banca dati. Info: www.faraeditore.it - x.com/faraeditore – t.me/narrabilando

Attesa a Fonte Avellana 10-12 luglio 2026

Fonte Avellana vista dalle pendici del Catria

Attesa è il tema, proposto da Stefania Longo e Roberto Battestini, votato e  scelto per la kermesse avellanita 2026. Il tema si presta come sempre a molteplici “letture”: naturali, spirituali, (geo)politiche, psicologiche, artistiche, poetiche, musicali, narrative, filosofiche, ecc. Puoi partecipare con una riflessione, una testimonianza, un reading poetico, un racconto, una piccola performance teatrale e/o musicale, un’opera d’arte (che, sentiti i monaci, potrebbe anche rimanere esposta nei giorni della kermesse), un mini laboratorio o altro per un massimo di 15 minuti. Saremo calorosamente ospitati dalla comunità camaldolese nello splendido monastero di Fonte Avellana

Il costo dal pranzo di venerdì 10 luglio al pranzo di domenica 12 luglio è di € 150,00 a persona in singola e € 130,00 in doppia o in camera a più letti, i minorenni non pagano e gli under 35 pagano solo € 100,00 in camera doppia o a più letti. È necessario portare lenzuola e asciugamaniPer creare un’atmosfera conviviale di attenzione e reciproco ascolto nel rispetto del silenzio del luogo, i monaci richiedono la presenza per tutta la durata della kermesse e non ci saranno sconti per chi salterà dei pasti o soggiornerà per meno tempo. Con solo € 50,00 in più si potrà soggiornare dal pomeriggio di giovedì 9 alla colazione di lunedì 13 luglio 2026.

Si parte puntuali alle 15:00 di venerdì 10 luglio 2026 per finire alle 16:30 di domenica 12 luglio 2026 dopo aver scelto il tema per la prossima edizione. L’incontro è aperto a tutti, relatori e uditori, credenti e non credenti, purché si garantisca la presenza per almeno due notti. Si possono portare libri, cd e altro materiale per vendite/scambi autogestiti e/o per donarli al monastero. Chi suona uno strumento è pregato di portarlo. 
Data la sempre crescente partecipazione, le adesioni saranno accolte in ordine di arrivo.
Per aderire, sei pregato di inviare entro il 31 gennaio 2026 a info@faraeditore.it quanto segue:

• titolo del tuo intervento (o specificare se si viene come uditori)
• una foto
• max 7 righe di autopresentazione essenziale, stringata e simpatica (evitando possibilmente elenchi di titoli e premi e puntando alle cose salienti del proprio cursus umano e professionale) 
• la sistemazione desiderata (singola, doppia, specificare se ci sono minorenni, se si hanno meno di 35 anni e se si vuole cogliere l’offerta del soggiorno da giovedì pomeriggio a lunedì mattina).

Grazie mille per l’attenzione e ogni bene!