Gentili lettori segnalo quanto segue
Adele Desideri
*Il prezioso saggio - inserito nella collana Sponde della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, Sezione San Luigi - a cura di Giorgio Agnisola, Arte e dialogo nel Mediterraneo. Analisi, contributi, testimonianze, sguardi, Il pozzo di Giacobbe, 2020.
Contributi Aldo Masullo, Giorgio Agnisola, Salvatore Settis, José Jiménez, Jean Paul Hernandez S. I., Paolo Giulierini, Elena Pontiggia, Giovanni Curatola, Ismail Taspinar, André Vauchez, Mario Botta, Franco Ferrarotti, Andrea Dall’Asta S.I.
Il volume raccoglie i contributi del convegno di studi Arte e dialogo nel Mediterraneo, tenutosi il 30 marzo 2019, a Napoli, presso la Pontificia facoltà Teologica dell'Italia Meridionale, sezione San Luigi, su iniziativa della Scuola di Alta Formazione di Arte e Teologia.
È stato realizzato con la collaborazione di Giuliana Albano e Francesco Raucci.
“In che termini e con quali iniziative può avviarsi oggi un reale cammino di dialogo tra i popoli del Mediterraneo? Occorre puntare con "fraternità inclusiva" a un'autentica azione umanistica, oltre che politica e sociale, agendo, ha affermato Papa Francesco, come "etnografi spirituali dell'anima dei popoli per poter dialogare in profondità". È in questo quadro che l'arte può giocare un ruolo significativo, riflettendo nella sua stessa natura la complessità della vita, interpretata nel segno della libertà, della creatività, della verità umana” – al link www.ibs.it/arte-dialogo-nel-mediterraneo-analisi-libro-vari/e/9788861248328
Giorgio Agnisola è critico d’arte, giornalista, saggista. Insegna Arte Sacra presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, sezione San Luigi, presso cui è condirettore della Scuola di Alta Formazione di Arte e Teologia. Collabora da molti anni alle pagine culturali del quotidiano Avvenire e in particolare alla pagina Arte e al supplemento mensile di itinerari, arte e cultura Luoghi dell’infinito. Ha operato a lungo come consulente d’arte moderna e contemporanea presso i Paesi francofoni d’Europa. Ha scritto numerosi libri. Tra gli ultimi, Viaggio nell’opera, vedere e sentire l’arte, Moretti & Vitali 2005, La pietra e l’angelo, Guida 2007, L’oltranza dello sguardo, Il pozzo di Giacobbe 2010. È membro dell’Associazione Internazionale Critici d’Arte e della Société Internationale de Psychopathologie de l’expression.
“Il sacro identifica un valore in sé, mentre il religioso attiene a un legame, a una relazione, riferendosi nella prassi a una struttura a cui si appartiene” (Giorgio Agnisola, pag. 16).
“Il dialogo interculturale è per sua natura fatto di incontri, ma anche di scontri. Di armonie (talvolta faticosamente raggiunte), ma anche di conflitti, che in certe condizioni e in certe epoche possono apparire insanabili. (…) Se davvero vogliamo che dialogo vi sia, è dunque indispensabile includere nel nostro orizzonte due ingredienti essenziali: prima di tutto, l’analisi storica e concettuale delle radici dei conflitti e delle differenze che contrappongono le varie culture fra loro, un’analisi, s’intende, ispirata al concetto del rispetto per le culture che ci sono estranee, e non alla diffidenza verso di esse. E poi, ancora più importante, un forte senso di responsabilità intellettuale e morale; per avviare un dialogo, per tenerlo vivo, per approfondirne il senso e la portata, per giungere a comprendere la segreta fraternità che lega ogni essere umano a ogni altro, occorre una forte, assidua, vigile attenzione, che coinvolge nel profondo i valori etici, religiosi, civili in cui ci riconosciamo. Fra essi hanno un posto centrale il rispetto per l’altro e la nostra responsabilità come individui, come collettività, nella necessaria articolazione e azione delle pubbliche istituzioni” (Salvatore Settis, Arte e dialogo nel Mediterraneo, pag. 22).
“Il Mediterraneo è da millenni un confine troppo grande per non pensare alla morte, ma troppo piccolo per non osare attraversarlo. La geografia stessa delle sue coste ha permesso all’uomo di rispecchiarsi nella sua bellezza affascinante e al tempo stesso nella sua tremenda limitatezza. (...) È uno spazio vuoto ‘fra le terre’, cioè fra una vita e l’altra. È la pericolosa distanza ‘fra uno e l’altro’. È lo spazio spalancato dell’alterità dove si scompare o dove si passa ‘dalla parte dell’altro’. Le grandi traversate iniziatiche, i passaggi attraverso le acque morte, le discese negli abissi abitano da tempo l’immaginario collettivo dei popoli mediterranei. Oggi, ancora chi ’passa’ il Mediterraneo, custodisce il segreto di questo ‘spazio sacro’ immerso in fondo agli occhi” (Jean Paul Hernandez S.I., Le spazialità del sacro nel Mediterraneo, pag. 41).
“Se l’uomo del Rinascimento era spesso un umanista o un conquistatore, l’uomo del XIX secolo un capitalista o un proletario, l’uomo occidentale di questa prima parte del XXI secolo è fondamentalmente un ‘turista’. Cioè un uomo che fa dei “tour”: che ‘va in giro’ e ritorna a casa. Un turista prima di tutto come forma mentis, perché al di là degli spostamenti fisici, egli visita web, ‘naviga’ tra i suoi contatti, ma alla fine è sempre solo in casa. A differenza del pellegrino o del migrante, il turista torna sempre a casa. Ecco perché gli occidentali trovano oggi il fenomeno migratorio, che in realtà è sempre esistito, così scioccante. (…) Si può dire che nelle nostre città occidentali ci sono fondamentalmente due tipi di persone: i turisti (cioè gli abitanti che tornano sempre a casa) e i migranti (che per sempre hanno lasciato la propria casa). E tra i primi e i secondi intercorre una sottile invidia negli strati più profondi della mente. L’uomo occidentale è un ‘turista’ in tutti gli ambiti della vita. Ad esempio, nel modo di mangiare, ‘assaggia’ pinchos, tapas, ‘stuzzichini’, ‘assaggi’, hors-d’oeuvre, fa tour eno-gastronomici. È un turista nel modo di sapere e di conoscere, con le molte ‘wiki-lauree’ delle nostre istituzioni accademiche, la tante ‘informazioni’ che non diventano mai ‘conoscenza’. Nel modo di vivere i suoi affetti, con le tante soft stories, dove si ritorna sempre alla propria casa, alla propria solitudine. Questo è l’homo turisticus (…) che sempre di più viene a interrogare i segni del sacro intorno al Mediterraneo”. (Jean Paul Hernandez S.I., Le spazialità del sacro nel Mediterraneo, pag. 41-42).
“Il mare ispira poeti e cronisti letterati, e di volta in volta è considerato ponte, abisso, risorsa, avventura, ambiente da tutelare” (Paolo Giulierini, Il MANN: centro di cultura del Mediterraneo antico, pag. 89).
“Il Mediterraneo ha costituito per secoli un bacino di scambio di commerci storicamente importante. Non l’unico… se ci vogliamo sbizzarrire nella ricerca di itinerari, oltre alla classicissime ‘Vie della Seta’ (che oggi vivono una specie di revival economico e dunque politico che sembra molto preoccupare taluni…), dobbiamo ricordare quelle dell’incenso, delle spezie, dei lapislazzuli… talvolta anche parzialmente coincidenti. Il ruolo italiano, quando di Italia ancora non si parlava, come luogo di elaborazione politica e sede del cristianesimo cattolico quale ideologia atta a promuovere il ridimensionamento del rivale musulmano attraverso le varie e diverse crociate, per fini ed eterogenesi dei fini solo menzionabili qui, appare sullo sfondo costantemente; ma questo nostro territorio fu anche e soprattutto centro di transito e smistamento di beni provenienti dall’Oriente (e Occidente) musulmano, e di accumulazione, scambio ed elaborazione autonoma” (Giovanni Curatola, Arte Islamica in Italia e nel Mediterraneo: i materiali artistici, pag. 110-11).
“Non è forse arrischiato prevedere che, da una ‘economia di mercato’, si stia, a poco a poco, sensim sine sensu, andando verso una ‘società di mercato’, cioè una non-società. In effetti, il mercato come foro di negoziazione e di contrattazione per lo scambio e la compravendita di beni economici in termini finanziari, è perfettamente legittimo. Ma una ‘società di mercato’ è una contraddizione in terminis. A ben considerare, vuol dire che è venuto meno il rapporto inter-personale come avente valore in sé e per sé, indipendentemente dal tornaconto o interesse materiale in termini di perdite o di guadagno che uno ci può ricavare. Una società, in quanto aggregato umano, non può alla media scadenza sopravvivere se si riduce a un insieme di rapporti utili o di ‘ofelimità’. Sarebbe un caso clamoroso di confusione fra valori strumentali e valori filiali. (…) L’unico argine che si oppone al dilagare dei valori strumentali fino a coinvolgere i valori filiali è il concetto di sacro in quanto antitesi e contrapposizione del profano (...), vale a dire ciò che si può comprare o vendere nel foro delle negoziazioni mercantili alle più favorevoli condizioni (Franco Ferrarotti, Riflessioni sul rapporto fra sacro e religioso: una questione aperta, pag. 161-162).
“È in questa prospettiva che emerge e si fa evidente quello che a suo tempo ho ritenuto di poter definire il paradosso del sacro. Ridotto al suo nucleo essenziale, il paradosso consiste in questo: quanto più sembra ormai superfluo, ‘superato’, tanto più il sacro appare necessario, indispensabile. In altre parole, quanto più una società tradizionale si razionalizza e tecnicizza, caratterizzandosi per la netta prevalenza di rapporti contrattuali utilitari, tanto più cresce il bisogno di sacro, ossia di un fondamento (…) al di fuori e al di là della logica mercantile, per rifondare la comunità umana, radicarla su rapporti interpersonali validi in sé e per sé, quindi smentendo le diffuse, estemporanee teorie della secolarizzazione. Si nota, oggi, appunto nelle società tecnicamente più ‘avanzate’, il moltiplicarsi di nuovi movimenti religiosi, sette, aggregazioni. E anche i libri di argomento religioso, pur in una situazione di generale crisi del libro, sono in aumento, ma è comprovato che (…) i libri non possono di per sé trasmettere il senso del ‘sacro’. (Franco Ferrarotti, Riflessioni sul rapporto fra sacro e religioso: una questione aperta, pag. 168).
“Il Mediterraneo appare contemporaneamente sia come centro di irradiazione di modelli culturali e spirituali che persistono nei secoli, pur nelle diversità delle condizioni geopolitiche, che come crocevia di culture che si incontrano per dare vita a nuove civiltà, come faceva emergere lo storico Fernand Braudel, quando ricordava che verso questo mare sono confluiti uomini, animali da soma, veicoli, merci, stili di vita, religioni, persino le piante, e eccezione dell’ulivo, della vite e del grano (Andrea Dall’Asta S.I., Il Mediterraneo, quale futuro?, pag. 173).
“Una domanda sorge: verso quale futuro siamo rivolti? Quale/quali identità possono emergere in un contesto oggi così conflittuale? È possibile dare vita a nuovi fermenti di pace e di libertà, perché questi diventino le nuove sorgenti generatrici del Mediterraneo?” (Andrea Dall’Asta S.I., Il Mediterraneo, quale futuro? (pag. 178).
*Il saggio di Giorgio Agnisola, Lo sguardo e l’oltre. Da Friedrich e Rothko, postfazione di Aldo Masullo, Moretti&Vitali 2018.
L’autore - raffinato critico d’arte - affresca la vita, le opere, lo stile di sette artisti e il loro modo di avvicinarsi alla dimensione dell’oltre. Con un incedere limpido, godibile, ben documentato, con rara maestria e vibrante sensibilità, Agnisola affronta il tema del divino, di Dio, attraverso uno sguardo talora fenomenologico, talaltra psicoanalitico, talaltra ancora semplicemente “innamorato” della bellezza e degli artisti che meglio l’hanno saputa rappresentare (Adele Desideri).
“Nonostante il progressivo allontanamento dai temi religiosi, l’avvertimento dell’oltre pervade l’arte contemporanea: un avvertimento non di rado drammatico, che si coglie nel profondo dell’espressione come riflesso di un’ansia, come turbamento e ricerca di ragioni e sensi del mistero della vita. È talvolta nella stessa fisionomia multiforme dei linguaggi segnati dalla sperimentazione e nell’eclettismo espressivo che l’uomo d’oggi testimonia la sua ricerca di infinito. Una ricerca in genere non inquadrabile in un ambito confessionale, che non assume l’ansito di una speranza coltivata come dichiarata religio, ma che è tuttavia vivissima, attinge più di tante pallide e retoriche manifestazioni confessionali alla sapienza del mistero.
Giorgio Agnisola (…) rilegge con questa chiave l’arte degli ultimi due secoli, da Friedrich a Rothko, proponendo (...) un’insolita ricerca teologica, capace di aprire lo sguardo alle regioni profonde della vita” (al link https://morettievitali.it/?libri=lo-sguardo-e-oltre).
“Il vedere di Caspar David Friedrich, il più noto artista romantico, era proiettato a un oltre che specchiasse nei sensi e nell’anima, con una forte valenza simbolica, i valori della fede. Era la fede che alimentava il suo sguardo. Era lo sguardo che vivificava la sua fede (pag. 11).
“Dal canto suo Monet, pur senza alcun intento spiritualistico, colse nel rapimento dell’occhio la gioia e la rivelazione di un invisibile che si fa luce e mistero, che si riflette e rifrange nella meraviglia della creazione. La sua osservazione non fu un semplice guardare, ma un percepire la realtà dall’interno, nella pienezza dei sensi e nell’intensità dello sguardo riverberati in un’ansia intuitiva ed esplorativa.
Monet colse nelle impressioni dell’occhio, come al vertice di una tensione tra vedere e sentire e tra «apparizione e sparizione», una risonanza interna, che inseguì tutta la vita, fino alle prove estreme, ai limiti dell’astrazione. Il suo vedere, legandosi al sentire, si interiorizzò, divenne un partecipare, un essere con e dentro la natura (pag. 12).
“Matisse, artista della gioia. La sua fede è grazia della luce, che è tuttavia dentro il mistero della salvezza” (pag. 13).
“Morandi ha testimoniato tutta la vita, quasi ossessivamente e rigorosamente, uno sguardo teso a cogliere l’essenza delle cose. Il riflesso nella sua anima del silenzio fisico di oggetti ordinari, quali bottiglie e recipienti, è in lui avvertimento di un mondo ulteriore, rivelazione di un destino immanente e tuttavia distante e forse irraggiungibile. Con cui si confronta, quotidianamente” (pag. 13).
“Giacomo Manzù (…) ne La porta della morte della Basilica di San Pietro a Roma, col suo sensibilissimo, vibrante linguaggio plastico, al di là dei temi rappresentati, conduce sulla soglia del mistero. La sua ricerca dell’oltre passa attraverso la sua profonda pietas: sigillo e dimensione di una fede immanente nel Vangelo” (pag. 13).
“In una lettera la figlio, con una scrittura amabile, ma anche cadente, l’artista (Cézanne N.d.A.) rivela il suo stato di ansia depressa: «Bisogna sbrigarsi se si vuole ancora vedere qualcosa. Tutto scompare»” (pag. 63).
“L’oltre per Rothko è attesa, disperata attesa di una luce intravista, meditata, mille volte riprodotta nelle sue sfumature interne, nei suoi percorsi di attraversamento della coscienza sensibile, ma lontana, irraggiungibile. Di fronte alla quale si può infine restare spauriti, senza energia (...)” (pag. 106).
“Che Rothko abbia posto fine alla sua esistenza perché vinto dalla depressione appare verosimile. Le gravi condizioni di salute e l’esasperazione della sensibilità, giunta a un limite tale da apparire patologica, l’avevano logorato. Ma che alla depressione abbia corrisposto una caduta di interesse per quell’oltre che aveva rappresentato lo sguardo protratto e inoltrato dell’intera sua esistenza, non è credibile” (pag. 109).
“L’arte non è misticismo. Questo è abbandono alla potenza di un oltre che ci salva, all’estasi in cui uno crede di vedere per un istante, lui solo, la luce. L’arte invece è azione che opera per dar forma al nostro desiderio e, nell’empito di un erotismo spirituale tutto umano, ci consente d’intravedere, in comunione con altri, durevolmente, la luce, l’oltre appunto, il poetico della vita” (Poetica dell’oltraggio e arte visiva. Postfazione di Aldo Masullo, pag. 130).
*La rivista AT, Arti e Teologie. Arts and Theologies, al link https://www.artiteologie.it/.
AT intende rimettere al centro dell’attenzione la molteplicità dei profondi legami sussistenti tra Arti e Teologie, in una prospettiva ecumenica e interreligiosa plurale. Essa si propone di riflettere sul nesso arti e teologie in un ampio orizzonte di analisi, approfondimenti e letture, con uno spirito di dialogo tra la teologia cristiana (nelle sue differenti diramazioni confessionali) e le altre teologie del mondo, aperto anche agli aspetti pratici e applicativi e alle loro ricadute nella vita personale e sociale.
La formula della rivista, pur fondando su avveduti piani di ricerca e indagini specialistiche, è sviluppata con un taglio propositivo, ponendo interrogativi, sviluppando temi, accogliendo studi, in un clima di sereno e fecondo confronto. Come è stato autorevolmente affermato: «Le immagini dell’arte sono formule di comprensione della vita, parallele a quelle della scienza e della filosofia.
Le une e le altre sono due mani di un solo corpo» (P.A. Florenskij, Lo spazio e il tempo nell’arte, Adelphi, Milano 1995, p.15). Ciò è tanto più vero se ci riferiamo alle arti sacre, vale a dire a quella particolare concretizzazione materiale della vita spirituale generata dalla fede lungo i secoli. A cui del resto il cristianesimo in particolare ha guardato nei secoli con particolare fecondità e a cui il cattolicesimo guarda tuttora con rinnovato interesse. La percezione dell’esperienza spirituale attraverso i linguaggi dell’arte ha del resto generato una sorprendente stratificazione e diffusione di opere che hanno dato forma a un imponente patrimonio artistico all’interno dei diversi contesti culturali e religiosi. Gran parte di questa immensa bellezza è il frutto del genio spirituale e dell’esperienza religiosa viva nelle sue diverse forme e declinazioni.
Le grandi tradizioni religiose, a partire da quelle monoteiste presenti in Europa e nell’area Mediterranea (ebraica, cristiana, islamica), sono sollecitate a ripensare in modo propositivo e radicalmente nuovo, obiettivi, strutture, metodi e criteri operativi riguardanti non solo la tutela, la conservazione e la valorizzazione del loro vasto e ricco patrimonio artistico, ma contemporaneamente a mettere in atto un vigoroso progetto educativo e culturale di risignificazione dell’arte sacra ricentrato sui nuovi linguaggi della fede attraverso l’arte. Ciò implica necessariamente l’elaborazione di nuove forme teologiche e inedite strategie a partire dalla bellezza, dalla potenza del linguaggio dei simboli, dall’intelligenza spirituale degli affetti e del sentire; insomma la rigenerazione di un’estetica della fede al servizio della cultura e della spiritualità del nostro tempo.
Quanto poi alla tradizione cristiana ricompresa in una prospettiva ecumenica tenendo conto delle sue diverse ramificazioni confessionali e teologiche (cattolica, ortodossa e protestante), occorre esplorare più a fondo il senso delle diverse forme artistiche (materiali e immateriali) che hanno accompagnato la loro azione culturale, cultuale ed evangelizzatrice, a partire dal rinnovato confronto tra Parola (Bibbia) e immagine (Icona), tra culto e cultura.
Questi sono alcuni degli obiettivi prioritari che AT si propone di raggiungere, con umiltà, ma anche con rigore e responsabilità, perseguendo inedite forme del dialogo ecumenico e interreligioso, con l’intento di aprire nuovi orizzonti di conoscenza delle diverse culture religiose, delle loro differenti “vie della bellezza” tese alla costruzione condivisa di un ethos del futuro. Giorgio Agnisola, Alfredo La Malfa, Natalino Valentini.
Questi sono alcuni degli obiettivi prioritari che AT si propone di raggiungere, con umiltà, ma anche con rigore e responsabilità, perseguendo inedite forme del dialogo ecumenico e interreligioso, con l’intento di aprire nuovi orizzonti di conoscenza delle diverse culture religiose, delle loro differenti “vie della bellezza” tese alla costruzione condivisa di un ethos del futuro. Giorgio Agnisola, Alfredo La Malfa, Natalino Valentini.
*Il romanzo di Giorgio Bertella, Un amore difficile. Il libro di Tamar e di Mattia, Marna, Editrice Velar, 2020.
In uno stile limpido e fluido, la vicenda è raccontata dall’autore soprattutto attraverso i dialoghi tra i personaggi. La giovane Tamar testimonia, insieme alle altre numerose donne che seguono Gesù durante il suo itinerario pubblico (tra le quali Maria - la madre, e la Maddalena) i dubbi e le incertezze, il mistero e la speranza che Egli suscita nell’animo dei suoi contemporanei.
In questa nostra epoca, così travagliata da malattie e guerre, così monopolizzata dalle oscure trame dell’ormai imperante tecnocrazia post-capitalista, l’autore vuole lasciare, indelebile, un messaggio: non v’è significato, nella vita, che non si apra a ciò che non è direttamente esperibile, al Trascendente - all’amore, inteso e vissuto nelle sue molteplici forme.
I giovani, i tanti giovani in età scolastica che ho conosciuto nei miei numerosi anni di insegnamento, hanno ancora negli occhi lo stupore. Uno stupore che si può tingere di speranza, di disponibilità nei confronti dell’Altro, se il mondo degli adulti non li cattura nel suo universo troppo spesso cinico e narcisista (Adele Desideri).
Giorgio Bertella ha lavorato più di venti anni come ingegnere e poi nel 1989 ha fondato la casa editrice Marna. Ha pubblicato con Marna e con altre case editrici (San Paolo, Messaggero di Padova, Velar) volumi di narrativa, di spiritualità, libri per bambini e per ragazzi.
Nel romanzo si alternano due vicende personali: quella di Tamar, figlia dell’apostolo Pietro, e quella di Mattia, un giovane zelota che si innamora di lei appenda la vede, ma non riesce a unire le due vite per il legame che ha con i suoi compagni di guerriglia. Percorrono entrambi un cammino diverso, ma quando uniscono le loro vite, diventano testimoni della straordinaria vicenda del Nazareno. All’inizio di ogni capitolo ci sono i nomi di lei o di lui e la cronologia di ogni avvenimento, che va dal giugno dell’anno 28 d.C. all’aprile del 30 d. C. Le vicende narrate dai due protagonisti seguono il filo conduttore dei quattro Vangeli, con la differenza che nel loro racconto danno la giusta importanza alle donne che seguono Gesù negli ultimi tre anni della sua vita. Vorrei che queste pagine servissero soprattutto ai giovani di oggi, che vivono in un “vuoto esistenziale” e non riescono più a mettere al primo posto della loro vita lo straordinario messaggio del Nazareno (Giorgio Bertella, al link https://www.marna.it/un-amore-difficile/).
“A Paola
È caduta una stella sul mare,/ l’ho raccolta con trepida mano./ Sulla riva mi ha detto il suo nome,/ sorrideva parlando di sé// Ora sogno di prender per mano/ quella stella e portarla con me/ sulla strada assolata del golfo/ a scrutare i confini del mare.//” (in esergo).
“Facemmo un pezzo di strada in silenzio. Gesù stava diventando, per me, un mistero sempre più ingarbugliato. Aveva avuto una strana nascita, diversa da quella degli altri uomini, ma era comunque un uomo... Voleva liberare Israele senza un esercito, conquistare un regno senza fare una guerra e soffrire come un agnello offerto in sacrificio...” (pag. 46).
“Io mi alzai e andai a sedermi sulla soglia di casa. La brezza, che saliva dal lago, addolciva l’aria. Il giorno era stato afoso ed era piacevole sentire, sulla pelle riarsa, quel refrigerio, che non riusciva però a penetrare fino in fondo all’anima” (pag. 76).
“Ripensavo ai giochi spensierati dell’infanzia e mi sembrava di avere perso qualcosa, come se fossi passata da una felicità continua a un perenne turbamento, attenuato da rari momenti di allegria” (pag. 97).
“Conoscevo fin da piccola il mio lago: l’avevo visto dalla pianura e dalle alture che lo sovrastavano, l’avevo osservato all’alba e al tramonto, nei momenti di bonaccia e in quelli di tempesta, ma il mare mi sembrò un’altra cosa: era come se sulla linea dell’orizzonte il mondo finisse e cominciasse il mistero” (pag. 116).
“Le barche ancorate nel porto creavano una macchia multicolore sull’azzurro dell’acqua, mentre la luce del sole giocava con la cresta delle onde che, arrivate a riva, si increspavano dolcemente” (pag. 135).
“Facevo ancora fatica a comprendere del tutto Gesù. Indubbiamente bello, aveva una statura superiore alla media, il volto incorniciato da lunghi capelli, una folta barba che gli dava autorevolezza e due occhi innocenti, che lo rendevano perennemente bambino” (pag. 159).
“Mi venne da piangere. Aveva detto che eravamo tutti figli di Dio, che i piccoli erano più importanti dei sapienti e i poveri più meritevoli dei ricchi, che chi aveva il comando doveva mettersi al servizio degli altri, che un buon samaritano valeva più di un giudeo borioso, che una prostituta e un pubblicano pentito erano più importanti di un dottore della Torah. Volevano crocifiggerlo perché le sua parole avevano fatto tremare la sicurezza del loro potere” (pag. 220).
“Poi si voltò verso di me: «Tu non lasciare la tua strada, neppure quando ti sembrerà di averla persa»” (pag. 173).
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*L’articolo di Franco Onorati, Tradurre (o tradire?), in Voce romana. Rivista bimestrale di cultura, poesia, dialetto, arte e tradizioni popolari, n. 70, luglio-agosto 2021.
In particolare, i paragrafi nei quali l’autore scrive a proposito della traduzione, in romanesco, a cura di Maddalena Capalbi di alcune terzine tratte dal I e dal V Canto dell’Inferno, dal XXX del Purgatorio, e dal XXXIII del Paradiso di Dante.
*Il romanzo breve, ma appassionante, di Tomaso Kemeny, Per il lobo d’oro, Effigie, 2020
Il racconto copre quaranta anni del Novecento, dal 1938, anno di nascita dell'autore a Budapest, fino al 1978 a Milano. L'azione include la caduta di suo padre sul fronte russo e la successiva "invasione-liberazione" dell'Ungheria da parte dell'Armata rossa. Nel 1947 Kemeny viene adottato dal patrigno e nel 1948 la famiglia fugge dall'Ungheria per non venire deportata. L'avventura esistenziale vede l'autore peso medio negli Stati uniti sul ring di Chicago. Segue l'incontro con André Breton e le esperienze d'avanguardia nella Milano degli anni Settanta. Il libro evoca i labirinti di libertà percorsi e costruiti da un poeta nostro contemporaneo. (al link https://effigiedizioni.wordpress.com/2020/06/18/per-il-lobo-doro.
”Rossa è questa sera, coronata di spine. Né dal sangue, né dalle ferite prorompe la resurrezione. Non restano che parole, parole, parole, io porto nel sangue che piange e grida sfidando l’ignoto (pag. 12).
“L’amore per il coraggio, privo dell’amore per lo studio, porta all’anarchia” (pag. 14).
“La bandiera della compassione oscilla al lamentoso sibilare dle vento notturno” (pag. 24).
“«Queste incursioni di eserciti stranieri ci capita di subirle da secoli. Non durano molto. Perché la vita continui, ogni tanto l’Ungheria deve assumere il ruolo di agnus dei, vittima sacrificale che purifica dai peccati del mondo!»” (pag. 42).
“Edith, la madre di Tamás, nascosta in un ampio scialle per celare la sua avvenenza ai soldati russi, in pantaloni e scarpe basse, la pace «
avendo avvolto nel suo sudario l’Ungheria», è giunta a Gonyu per riprendere suo figlio, dopo un anno e mezzo in cui lo aveva fatto sfollare con Mària per evitargli il prevedibile assedio di Budapest.
Tomaso fatica a riconoscere la Mamma senza rossetto-trucco e vestita senza il suo fiabesco gusto. Per il ragazzino tornare a Budapest significa dovere riadattarsi a una condotta da bambino di città… addio alla caccia grossa con i figli della terra armati di fionde… addio ai fortini sui rami degli alberi scalati a piedi nudi… addio ai tuffi-nuotate rischiose… addio a Rozsika che minaccia di buttarsi nel pozzo per il distacco inevitabile. Addio! (…) Tàmas abbraccia, dopo tanto, la mamma, ma allo stesso tempo si percepisce come il Corsaro Nero riammesso nella ciurma disciplinata di sua Maestà la Regina” (pag. 50-51).
“«Non tentare di imbrogliarmi, Mamma; sono piccolo, ma non cretino. La nostra patria ha perso l’onore e con esso il diritto di fare sventolare la bandiera sul Danubio. Non tentare di porre un limite al mio furore (…) farò escursioni fino alle mura del cielo alla testa di un esercito di angeli… dirigerò la fionda contro chiunque calpesti, nasconda, mortifichi la nostra bandiera»” (pag. 53-54).
“Nel pomeriggio Tamàs ascolta rapito la Madre che suona il pianoforte nel salotto rapidamente sommerso da dirompenti figure melodiche. Il ragazzo si sente inondato da iridescenti cascate sonore e trascinato verso un’enigmatica redenzione. Un po’ alla volta la frenesia musicale s’impossessa di lui e lo porta, con l’ausilio materno, a leggere-interpretare le partiture di Liszt Ferenc, scrittura che gli fa obliterare la scissione netta tra la gioia di vivere e la malinconia, tra la barbara allegria e la nostalgia di quell’infinito che riconosce come la vera casa della sua anima” (pag. 77)
“«Non c’è stato figlio di puttana ‘nel mondo libero’ che abbia voluto aiutare la rivoluzione ungherese, la loro anima mercenaria, ammuffita e pecorona, è impregnata per sempre del sangue e del disprezzo di un popolo tradito»” (pag. 105).
“e poi, Tomaso, meditando sui propri anni si consolò come segue: Va’ canto mio, va’ dai fedeli d’amore/ porta il mio disprezzo ai loro oppressori/ come un’ondata d’acqua gelida,/ porta il mio disprezzo a tutti gli oppressori” (pag. 132).
*La raccolta di poesie di Milena Tagliavini, Ricognizioni, Giuliano Ladolfi Editore 2020: un testo delicato, un dialogo intimo che affronta, attraverso uno sguardo attento sul quotidiano, le più profonde domande di senso.
Milena Tagliavini è nata a Milano e vive ad Arese. Suoi testi, poesie, racconti e recensioni sono apparsi su numerose riviste di settore. Ha pubblicato diverse raccolte di poesie: Pianeti diversi (1998), Sabato (2004), La verità nel 2006, Dal corpo nel 2017, nello stesso anno esce l’opera autobiografica Storia di un corpo di donna. Ha scritto il testo ‘L’amore si nutre di se stesso’ per ‘Sogno e poesia’ di Alda Merini (La vita Felice Edizioni, Milano).
“Leggere una raccolta di poesie come questa di Milena Tagliavini equivale a rispondere cortesemente all'invito a entrare in confidenza con l'autrice e a lasciarsi affascinare proprio dalla confidenza proposta. E allora eccoci trascinati nel suo mondo, denso di «suggestioni» che si nascondono ‘dietro la parete’ o nella luce del «muro rosso» o nell'«immane fatica / della formica a primavera». E allora l'«indifferenza delle cose» trova un senso e la bellezza della vita viene percepita attraverso la poesia” (dalla prefazione di Giulio Greco).
“Ciascuno con i propri occhiali./ Hanno lenti a colori applicate/ sui globi. La storia le forgia/ in doppio strato: pubblico e privato.// Oltre le lenti non si può sapere.// Non toglierle o ti strappi i pezzi/ di ciò che sei. Dimmi la verità/ del tuo assetto. Dopo/ dev’esserci solo il rispetto.//” (pag. 46).
“Io ti lasciai, Milano,/ eppure t’amo come un figlio/ la madre degenere.//” (pag. 52).
*La raccolta di poesie di Paolo Pezzaglia, Partire, introduzione di Giuseppe Conte, saggi critici di Francesco Solitario, Prometheus Editrice, 2018.
“Paolo Pezzaglia, devoto alla poesia in una sua maniera originale, intensa e duratura, vicina allo spirito mitomodernista, ora raccoglie la sua produzione, e il lettore può trovare nelle pagine di un unico volume il meglio di quanto questo autore ci ha dato. Diciamo subito com’è il suo mondo: c’è la realtà, la sua realtà di lombardo cresciuto nel momento magico dell’industria italiana, ma c’è anche la sua realtà di viaggiatore e di conoscitore del mondo simbolico, occidentale e orientale, di appassionato di miti, visionario e capace di intessere immagini folgoranti. […] Capita alla poesia di Pezzaglia di crescere con gli anni, con una saggezza spirituale e una identità stilistica che mi piace sottolineare. […] C’è una sottotraccia orientale che emerge spesso nella poesia di Pezzaglia e la vivifica: la leggerezza Zen e Shinto, in diverse acute ed eleganti prove sulla metrica dell’haiku, la
profondità simbolica abissale della cosmologia indù, raffigurata in Brahma e in Shiva. In Partire, il tema del viaggio, che corre lungo tutti i versi di questo volume, prende intonazioni e trasparenze metafisiche.” (dall’introduzione di Giuseppe Conte).
"E se togli il disgusto/ che hai della vita/ così come ti costringe/ nella catena dei giorni/ – la notte a volte/ è solo un breve ristoro – / ti rimane uno strano sapore/un'indissolubile essenza/ d'amore dolore/ che ancora di più/ t'incatena.//" (pag. 181).
*La raccolta di poesie di Francesca Anselmi, Nel lento fluire delle ore, Gazebo 2020.
“Francesca Anselmi conosce il significato del linguaggio parlato e di quello poetico; sa che in ogni dono, anche nelle parole offerte, quindi, si perde qualcosa, ci si colma e ci si svuota, si inventa, ma senza fingere, e ci si racconta, soprattutto.
E il tempo, grande illusione e insieme ingombrante presenza, smette per la poeta di essere tiranno della vita (…): allora ritrova se stessa al di là del tempo, nel presente di lei e in lei” (Maurizio Rossi, al link poetidelparco.it/nel-lento-fluire-delle-ore-di-francesca-anselmi.
“Forse cadrà la neve,/ di bianco splenderà il cielo./ Sarà silenzio/ e questo vuoto che porto dentro/ verrà dimenticato,/ colmato dallo stupore dell’inverno/ che accarezza e non duole,/ che scende senza far rumore.//” (pag. 23).
“Non siamo nient’altro che botti vuote
in cui si sciacqua la storia del mondo”
(Etty Hillesum, Diario 1941-1943, a cura di J.G. Gaarlandt, Adelphi 2004, pag. 48)
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