sabato 13 giugno 2020

Un taglio di luce


Figura / Valerio de Filippis (2007) tecnica mista su legno, cm (110 x 125)


Un taglio di luce, come uno squarcio, da cima a fondo, ridusse la distanza del dolore dal compimento del giorno.
Tutto era andato perduto. Forse, pensai, il tentativo, maldestro – a dire il vero –, di immettere, ancora una volta, l’illusione dentro le vene del sangue raggelato.
Un taglio di luce può squarciare l’orizzonte, ma può anche mutare il destino del tramonto? Possono i colori immersi nell’acqua annegare la grande macchina solare? Può il confine tra il giorno e la notte fare qualche passo indietro?
Un taglio di luce, è solo un taglio: scomposto, sgraziato, stonato. Fa male all’occhio pigro e all’orecchio sordo.
Dai, andiamo a dormire!

Alba, nuovo giorno.
Si ha paura di sbaragliare tutto quel che sta sorgendo al di là delle mura domestiche, e, se poi, dovesse funzionare? e, se poi, l’assedio dovesse portar vittoria alle stanche e ossuta membra? e, se poi, il potente spettacolo del giorno mondiale dovesse averla vinta?
O quante domande! Troppe! E tutte storte!
Alba, nuovo giorno.
Forse, meglio mettersi in ginocchio e pregare: Ti prego, Sole, non sollevare il tuo sguardo. Resta chino e lascia reclinato il tuo biondo capo. Non offendere chi desidera non aprire gli occhi né oggi né domani. E se questa mia preghiera non t’è gradita, allora perdonami, se sai perdonare.

Lo squarcio si allargò a dismisura. Così, entrò di tutto. La luce, in particolare, andò a bruciare le umili ombre, a infastidire la debole vista, a occupare con tanta prepotenza le tavolozze sparse ovunque.
Ah, luce: maledetta!
Venne così armata che l’esercito andò presto in rotta e in rovina, e i morti restarono non sepolti, e i cavalieri gridarono la resa e il martirio fu presto fatto. La luce ustionò le armature e l’argento colò come lacrime al sole. Poi, silenzio. Un silenzio di tomba, muto come un’ultima nota.
E ora, o tu silenzio, tira la coperta su quel corpo ormai addormentato e con labbra strette e viola canta un triste lamento d’amore.

Il taglio si è slabbrato. Cucirlo? No, non si può, è inutile! Accarezzarlo? Meglio di no! Lasciare che si ammuffisca? Sì! E tutto il resto: lacerato, offeso, ferito, andrebbe solo lasciato in santa pace, se ancora è rimasta un pochino di pietà. Di speranza, no! perché questa è morta trascinata giù dal pesante cavallo dell’illusione stramazzato a terra come un sacco di nuove patate.
Dalla scena ci si allontana: il volto triste, tirando di naso come bambini piagnucolosi, trascinando piedi e scarpe, mai e dopo mai volgendo lo sguardo all’impareggiabile offesa.
La distanza spazio-temporale permetterà, un giorno, di non poter vedere, udire, soffrire… forse!

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