Il dolore ci fa sentire vivi. Il dolore ci tiene desti. Il dolore ci dà forza. Ecco, il dolore come luce, spinta.
Nulla è più efficace del dolore nell’umana, quotidiana, battaglia per la sopravvivenza.
Il dolore contro la Morte, il sonno, la debolezza. Il dolore come antidoto.
Se lo si narcotizza, ovatta, sfibra, ecco la Notte. Se non pulsa, non tormenta, non impaurisce, ecco il sonno profondo della Morte.
Il dolore come condizione necessaria. Il dolore non stordisce, non ruba i sensi, non fa impazzire.
L’uomo è fatto per il dolore: la donna partorisce nel dolore, l’uomo nasce nel dolore. Ecco la genesi, la radice, il sangue dell’uomo.
Chi rifiuta, respinge il dolore si allontana dalla sorgente.
Solo chi lo accoglie trova la Verità.
PERFER ET OBDURA! DOLOR HIC TIBI PRODERIT OLIM.
All’opposto: togliere, eliminare il dolore. Ecco un non senso.
Togliere dal composto umano il dolore significa, comporta una perdita non di un’appendice, ma di un organo vitale. Non si toglie il cuore, pena la Morte. C’è un affanno umano del tutto inutile: eliminare il dolore. Una gran fatica. È insensato pretendere questo fine. La ragione non conosce e non sa il Mistero della Vita. Nessuna scienza è in grado di entrare ed esplorare la caverna della Vita.
Esiste un’oscurità che non può essere illuminata. Esiste un Destino che non può essere deviato, mutato.
Il dolore è intimamente legato alla Natura dell’uomo, fa parte del suo bagaglio, equipaggiamento. Si tratta di una sostanza.
Senza il dolore non c’è vita vera. Senza il dolore la Morte viene in punta di piedi e recide il filo. Un taglio netto. E tutto ha termine.
Con il dolore si sta vigili, in guardia; si reagisce. Dal dolore scaturisce una difesa, nasce una presa di coscienza: esisto, sono qui, vivo.
Quando viene la Morte, ecco il dolore accendere i suoi sensori e il corpo e lo spirito, ad unisono, aprire spiragli, ardire l’impossibile, inventare mondi paralleli, creare dal nulla armonie. È il dolore la causa delle visioni oltre le realtà.
Il dolore come chiave per aprire, via percorribile, punto d’incontro. Il dolore disvela, toglie il velo, sposta la tenda. Il dolore inchioda, trattiene, costringe a fermarsi. Il dolore, come chiodo conficcato, incatena, immobilizza. Il dolore non consente evasioni, fughe, per andare poi dove?
Solo quando viene posto di fronte alla onnipotenza del dolore, l’uomo rientra in se stesso e vede nel crepuscolo il sorgere dell’alba.
Se il dolore non lo afferra, l’uomo subisce seduzioni e inganni. L’uomo che non ascolta il suo dolore troverà rifugio nelle chimere.
Possiamo far finta che sia possibile una vita bella e buona sin quando non inciampiamo e cadiamo. Si può evitare il dolore, convincere noi stessi che sia giusto passargli accanto e procedere. Questo, sin quando il dolore irrompe e urla le sue verità. Quel giorno, tremendo, ascolteremo in silenzio la nostra vera umanità.
Con il dolore smarriremo per sempre noi stessi, ma conquisteremo colui, coloro con i quali non abbiamo voluto dialogare.
Senza il dolore non esiste il racconto della nostra vita.
Sicuri che era bene non sporcarci le mani dentro la pozzanghera del dolore, abbiamo acconsentito che l’altro, gli altri si allontanassero lasciandoci soli. Così, quel che andava detto, non fu detto. Eppure, ne avevamo un gran bisogno.
Occasioni mancate, tante! Nel frattempo, il guado è diventato ancor più pericoloso e alla fine impraticabile. “Tanto meglio così!”, ci siam detti, come per consolarci. Però, il dolore può allontanarsi, prendere le distanze, ma pur resta nelle vicinanze. Non sta in agguato, ma siede e molto pazientemente attende, attende, attende. Per questo, non è mai in ritardo quando, poi, colui che lo aveva rinnegato e obliato improvvisamente si trova a dover fare i conti, giunto sul ciglio del precipizio, con pagine e pagine di vita non vissuta.
E mi accorsi di non aver vissuto.
Allora, il dolore busserà, entrerà, sederà. È notte. Silenzio.
Quando tutto sarà cieco, muto e sordo, allora il dolore domanderà pegno.
Si udrà piangere, come il pianto di un bambino, lacrime sgorgheranno, labbra violacee e secche tremeranno. Lo sguardò cercherà, cercherà qua e là, ma inutilmente: lui, lei, loro non ci sono.
Accanto al cuscino solo il dolore.
Una fredda carezza, un bacio sulla fronte madida di sudore, occhi lucidi, commossi.
“Avrei voluto dirtelo molti anni fa.”
“Sai, non ci siamo mai detti tutto.”
“Abbiamo lasciato che il tempo ci consumasse.”
“E ora che sto per perderti…”
Il dolore, come un vecchio caro confessare, origlia e lascia che le parole faticosamente sussurrate volino come farfalle per la stanza immersa in una cupa penombra.
Ma, immobile, c’è chi ascolta, trattenendo il respiro. Non dirà nulla, ma questo ormai non ha più nessuna importanza.
In questo tempo maledetto, se qualcuno ha accolto il dolore che sale, non abbia paura, lo dica, dunque: “Ti voglio bene!”
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