Luigi Maria Epicoco, Qualcuno a cui guardare, Città Nuova, ottobre 2019
recensione di AR
Questo
libro è un utilissimo ed empatico compagno di viaggio. Luigi Maria Epicoco si
dimostra, nonostante la giovane età, un’autentica guida spirituale: si mette in
gioco con semplicità dimostrando di avere una grande capacità di ascolto di sé
stesso e di chi a lui si rivolge. I consigli che dà sanno di vissuto, sono
concreti e mostrano una profonda e assimilata conoscenza delle Scritture. Il
linguaggio è piacevole, coinvolgente, chiaro, scorrevole e sa arrivare al
dunque. Dopo la breve Premessa e il Prologo (o del perché
mutare prospettiva può cambiar tutta la storia), abbiamo 7 (il numero della
completezza) capitoli che indicano un cammino che ci aiuta a fare della nostra
debolezza la “materia” che può dare energia allo Spirito (se ci apriamo alla
relazione con Lui perché: “Solo lo Spirito rendo possibile la vivibilità di qu
ello che abbiamo incontrato, capito, sperimentato.”, p. 138): I. Debolezza
(o del perché Dio forma testimoni a partire dal loro scarto e non dai loro
talenti); II. Croce (o del perché il Signore ci salva attraverso
la nostra debolezza); III. Verità (o del perché senza di essa
l’Amore e la testimonianza non hanno spina dorsale); IV. Accompagnare
(o del perché un cieco non può guidare un altro cieco); V. Relazioni (o
del perché è difficile salvarci senza amici); VI. Ferialità (o
del perché le cose normali sono le migliori per farsi santi); Lo Spirito
(o del perché senza la Sua forza non possiamo andare lontano).
Le
pagine di Qualcuno a cui guardare sono diffusamente costellate di preziose
“dritte”; qui di seguito ne proponiamo pochissimi esempi: “Dovremmo cominciare
a provare una grande compassione per quello che ci abita.” (p. 17); “Il Signore
non se ne fa nulla dei nostri limiti, della nostra debolezza. Non li guarda
giustificandoli, ma ci dice che lì c’è un’opportunità per noi. E che ciò che ci
prepara davvero a fare quello a cui siamo chiamati, è nascosto nell’esperienza
di quella debolezza e di quei limiti.” (p. 39); “Dobbiamo lottare fino allo
stremo contro il peccato, ma quando non ci riusciamo, quando sbagliamo e
cadiamo nel fallimento, non dobbiamo vergognarci di offrire anche quel
fallimento, perché è un’umiliazione, è una conformazione alla Croce.” (p. 61); “Essere
lontani da Dio non significa non aver fede, significa non aver cambiato il
nostro modo di pensare.” (p. 73); “Quando una persona serba la Parola, senza
che se ne accorga, essa comincia a fermentargli dentro, perché è una parola
viva, umile, una parola che gradualmente ci cambia, cambia il nostro modo di
pensare e di ragionare.” (p. 79); “Il Signore è imprevedibile. Solo il male è
prevedibile, perché è ripetitivo, fa sempre le stesse cose.” (p. 92); “L’amicizia
è un modo attraverso cui ci viene detto: «Tu devi rimanere te stesso, ma, allo
stesso modo, devi diventare molto di più». Marta, alla fine della storia, è più
Marta, e Maria è più Maria, e Lazzaro è più Lazzaro.” (p. 117, qui mi pare di
sentire anche un’eco del magis ignaziano).
È un
testo veramente prezioso per tutti coloro che desiderano essere cristiani più
consapevoli e avere relazioni migliori con sé stessi e con gli altri, per chi
aspira a una vita più autentica, più aperta al dialogo e all’incontro, più
attenta al valore di ogni nostra scelta (anche piccola) e a quanto di prezioso
e unico è possibile trovare in ogni accadimento (anche doloroso), in ogni
relazione (anche complessa e difficile), in ogni situazione di vita. È
soprattutto un grande inno alla misericordia del Padre: “La vita spirituale è
una profonda riconciliazione con il realismo, con quello che siamo, con la
nostra imperfezione, perché è la dichiarazione dell’amore di Dio che ama
esattamente la nostra imperfezione, la nostra zona d’ombra, la nostra ruga, la
nostra stortura. La sua dichiarazione d’amore. la sua misericordia è che Lui
non ci dice semplicemente: «Io amo te», ma «Ti amo nella tua miseria» (p. 98).
Una
misericordia storicamente incarnata/donata nel Figlio e sempre presente nel
soffio incontenibile dello Spirito anche attraverso testimoni (spesso
fondamentali per indicarci la nostra verità che da soli non possiamo “vedere”
dato che è come tatuata sulla nostra nuca e ha bisogno di uno sguardo altro,
cfr. p. 101), guide che ci possono aiutare a sentirlo vicino, anzi pulsante nel
nostro nucleo più intimo e vero. E se ci apriamo a questa profondissima
relazione, anche noi potremo diventare testimoni, ovvero servi inutili ma
preziosi perché siamo chiamati alla santità del battesimo che ci trasfigura in
umili pellegrini del Regno: “La testimonianza, infatti, è solo un battesimo che
funziona. La teologia la chiama santità. (…) I testimoni sono la parola
profetica che Dio continua a pronunciare nella notte del mondo. (…) Ed è
proprio grazie a loro che riusciamo a non maledire la notte, ma ad
attraversarla sapendo che non siamo in viaggio verso il nulla, ma verso un
Padre.” (dal Breve epilogo, p. 150).
PS Il
titolo di questa recensione è ispirato a quanto l’autore dice sulla
Trasfigurazione a p. 110.
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