sabato 30 marzo 2019

REPORT DI LETTURE: foglio primo

rubrica a cura di Fabio Cecchi

Caro popolo del web, mi accingo qui a offrire qualche parola sopra i miei recenti passaggi in libreria e biblioteca. Se voi pure non disdegnate accompagnarvi a quel buon vecchio oggetto del libro, questo foglio magari riuscirà gradito.  


Susanna Tamaro - IL TUO SGUARDO ILLUMINA IL MONDO (Solferino, 2018)

Vengo a questa pubblicazione con la consapevolezza di affidarmi alla firma di Va’ dove ti porta il cuore, che tanti lettori ha emozionato oltre a me. La stesura di questo “romanzo apparente” muove dalla scomparsa di tale Pierluigi Cappello, letterato amico dell’autrice. Il titolo graffiante e qualche frangente azzeccato di questo quaderno di libere riflessioni sono quanto di buono presenta. Non vale nel complesso il suo prezzo.


Ermanno Rea - NAPOLI FERROVIA (Feltrinelli, 2007 poi 2015)

C’è qualcosa che ha saputo dirigermi al suddetto romanzo di oltre un decennio fa. Un libro di una certa corposità la cui voce narrante, tonica e ipnotica, sospinge sul corso dell’avventura proposta. Il romanzo ha valore e ripaga le aspettative. La riflessione copiosa penso sia l’aspetto più difficoltoso. Il lettore, per darne giusta idea, è messo alla prova sin dall’apertura con il doppio piano di narrazione: il presente di rimembranza che introduce e rilegge il teatro passato dei fatti,  anch’esso intriso di psicologia. La ferrovia sarebbe il quartiere di predilezione del protagonista - il grigio di copertina la tonalità che il narratore vede consona per la città. Questo libro, non un giallo, ha il merito di non inseguire lo sfarzo dell’ascetismo criminale di un Gomorra, forse perché antecedente all’avvento delle serie culto.


Julian Barnes - L’UNICA STORIA (Einaudi, 2018)

Un incipit dal tono folgorante, a modo di guida culturale, introduce con conveniente eleganza questa sorta di romanzo di formazione. Una relazione amorosa ne è il filo conduttore: l’intesa inusuale tra un lui adolescente e una lei matura. La progettazione, semplice ed efficace, opera una suddivisione tra un primo e un secondo tempo. Il primo, la fase ascendente: la storia sboccia, cresce, si afferma. Il secondo, la fase discendente: gli elementi combattono le sfide sociali e sopra tutto temporali. La scrittura, sobria e moderata, riesce a offrire una storia verosimile e convincente, lasciando da parte il trash ma non la battuta di spirito. Il mio giudizio, tra il sette e l’otto.



Edoardo Albinati - CUORI FANATICI (Rizzoli, 2019)

L’anno nuovo regala nuova realizzazione a firma Edoardo Albinati. Il risvolto di copertina sbriga la presentazione tramite righe un po’ sfuggevoli. Il racconto, a onore del vero, sfugge al tentativo di una facile figurazione o ricostruzione, così come l’assetto interno da uniformità ed equilibrio negli accostamenti delle frazioni narrative. C’è poi scoperta, verso metà, dell’elaborazione di un racconto all’interno del racconto generale. Un palinsesto che difficilmente innalzerà il prodotto verso le vette di mercato. Sono anche presenti affari di cuore, trattati senza la marcatura vistosa che appartiene per esempio a Volo e Avallone. L’autore adopera ad ogni modo quelle tecniche, varie ed efficaci, ammirate ne La Scuola Cattolica. Il mio giudizio, tra il sei e il sette.


Andrea Mingardi - PROFESSIONE CANTANTE (Pendragon, 2018)

Sì, Mingardi. Il cantautore lo conoscevo solo di nome. Questo problema di base è per fortuna superato dalla realizzazione di un libro aperto, racconto di un’epoca e racconto corale. Le canzoni sono intromesse molto di rado, niente di ristretto al circolo degli appassionati. Mingardi racconta, come è moda dire, a trecentosessanta gradi. Il lato migliore appartiene alla comicità frizzante di molti episodi, il lato più ostile è la disposizione in capitoli molto alla buona. Un libro serio e appagante, sulla musica e tanto altro. Un libro consigliato!


Wolfram Eilenberger - IL TEMPO DEGLI STREGONI (Feltrinelli, 2018)

 

La muraglia d’acqua di copertina, anonima e tumultuosa, avvia verso un’esposizione altrettanto tumultuosa ma legata a personaggi ben distinguibili. Sono quattro filosofi gli stregoni del titolo: le figure accademiche di Cassirer e Heidegger e le mine vaganti, in società e in pensiero, che furono Wittgenstein e Benjamin. La difficoltà di comprensione è solo nei rispettivi sistemi di pensiero: la narrazione è alla portata di tutti e illustra e concatena sontuosamente. La scansione storica a ogni occorrenza è allineata e i luoghi di svolgimento sempre apposti di sfondo. Un libro valido, con alcune premesse dovute: per chi legge “dall’alto” della filosofia novecentesca sarà parziale e semplicistico, per chi lo affronta “dal basso” sarà risorsa preziosa e allettante. Un libro che vi posso semplicemente consigliare.     


Margaret Mazzantini - MANOLA (Mondadori, 2007)

Al mio esordio con questa scrittrice di fama. Qualche riga drammatica di troppo mi aveva infatti  allontanato da Venuto al mondo e Nessuno si salva da solo. Un romanzo all’apparenza compatto e appassionante. E tale si conferma. Un romanzo a due voci tutto imperniato su un dualismo di famiglia. Una sorella che una sintonia vera vive col mondo, versus una sorella che per netto contrasto con questo - ideologico, sanitario, ecc. - vive una condizione di vera pena, a dire poco. L’idea di fondo, niente di inedito in letteratura, viene realizzata con ingegno spaziando sapientemente nei fatti e nel lessico. Un romanzo realista ma intersecato, notare bene, da un’evoluzione fantasy. Un titolo, tutto sommato, probabilmente sottovalutato.

mercoledì 20 marzo 2019

“Innegabilmente brava, la Passigato…” Gian Ruggero Manzoni su Storie di Nueva Tijuana

STORIE DI NUEVA TIJUANA di Giovanna Passigato, FaraEditore (casa editrice dell'amico Alessandro Ramberti)

recensione di Gian Ruggero Manzoni


Nata e cresciuta nella Bassa Veronese, Giovanna Passigato si è laureata in Giurisprudenza a Bologna, dove ha lavorato per lungo tempo all’Università. Ha pubblicato “Rappresentazione per le feste di Natale in una città della Pianura padana” (Manni 2003), la raccolta di racconti “Una lettera dalla nebbia” (Perdisa 2004, premio Todaro Faranda); il romanzo “Il viaggio del Re morto” (Bononia University Press 2006, premio Todaro Faranda, Fondazione CaRisBo); “Il paese infinito” (Bacchilega 2007). La presente raccolta di racconti Storie di Nueva Tijuana è stata finalista al Premio Italo Calvino. Renato Barilli, già direttore del Dipartimento di Arti Visive dell'Università di Bologna, critico d'arte e letterario, ha presentato in modo brillante Giovanna Passigato e la sua opera, arrivando a definire la scrittrice: “un'inquietante signora di mezz'età che, sotto un'apparenza innocua, elegante, educata, forse persino un po' borghese e provinciale, nasconde un immaginario di incubi, specchi incrinati, atmosfere oscure, mostri sorprendenti”. Queste storie, vincitrici della I edizione del concorso Narrapoetando 2018, avvincono e ci catapultano anima e corpo in un Messico sanguigno e visionario che ci penetra fino al midollo. Dai giudizi dei giurati: “Un racconto conturbante, dal lessico ricco e succoso che avvolge il lettore in una trama fitta di personaggi che pulsano di una storia lucida e profonda, tra lotte, agonie e desideri” (Francesca Ballarini); “Il Café Alhambra è luogo dove convergono vite che sono storie. Dai Racconti di Canterbury al Decameron al Bar Sport, i luoghi di socializzazione diventano spazi nei quali la narrazione consola e tiene uniti, in relazione: si fa farmaco collettivo che colma il divenire e la solitudine annientanti” (Massimo Parolini). Innegabilmente Giovanna ha in sé la natura di una “signora omicidi”, capace di trasformarsi in mille guise, di evadere da quel luogo ristretto per assumere tanti abiti diversi, mettendosi nei panni più vari e cangianti. Nelle sue pagine l’aggraziato, l’incantato, vengono sempre bilanciati da qualche nota stridente, in una ben calcolata armonia dove il macabro gareggia col lezioso e lo compensa. Innegabilmente brava, la Passigato, ma già lo sapevamo.

martedì 19 marzo 2019

"Tiger Indomabilis" - Tutto deve avere una fine

Terzo mese dell'anno, terzo appuntamento con Il club di Aurora.
A febbraio avevamo parlato di Furens Lupus Sum, il primo volume di un'affascinante duologia distopica ambientata in un'ipotetica Roma del futuro. Ricordate la società pseudo perfetta in cui la storia ha luogo? Ricordate la giovane Silyen e la sua personalità ribelle, che l'ha messa in parecchi guai? E la colonia penale di Oceania, oscuro rifugio dei criminali e degli indesiderabili?
Tiger Indomabilis racconta la seconda e ultima parte della vicenda, e dato che i cerchi da chiudere sono davvero tanti possiamo già immaginare quanto questo libro sia... Scottante.

Ma come sempre, prima di procedere vi consiglio di dare un'occhiata alle recensioni che le altre blogger hanno scritto per Furens Lupus Sum: sono tutte molto interessanti, inoltre vi serviranno da "ripasso"!
Solo 1 altra riga: https://solo1altrariga.wordpress.com/2019/02/14/a-roma-eri-a-roma-ritornerai/
Paper Purrr: http://paperpurrr.blogspot.com/2019/02/recensione-il-club-del-libro-furens.html
Les Fleurs Du Mal: https://bit.ly/2HH3NQr
Vivere tra le Righe: http://viveretralerighe.blogspot.com/2019/02/furens-lupus-sum-club-del-libro-di.html

Ed è proprio da Furens Lupus Sum che voglio partire per cominciare a parlare di Tiger Indomabilis; perché per quanto drammatica possa essere la conclusione del primo volume, è sempre vero che "finché c'è vita, c'è speranza": dato che la storia era ancora a metà, tutte le possibilità erano aperte. Per i personaggi c'era un domani, sebbene sembrasse avverso.
Adesso invece non c'è più tempo per immaginare finali alternativi: ormai la strada che il racconto percorre può essere soltanto una, perché la storia si sta per concludere. E non ci sarà ritorno.








Non so se ci avete mai fatto caso, ma il capitolo finale di una saga è spesso il più cupo (che sia a lieto fine o meno): nell'aria si avverte una certa inquietudine, l'ultima battaglia si avvicina, la situazione sembra peggiorare sino a un passo dalla disfatta e per i personaggi non ci sono più scelte facili. Non capita mai che appena prima della fine la situazione sia tranquilla. I rapporti si fanno più stretti, ma rischiano di essere spezzati da un momento all'altro da morti, tradimenti o scoperte devastanti. I protagonisti capiscono perché stanno lottando, ma capiscono anche cosa ciò potrebbe costare loro. E anche quando tutto finisce bene, non è mai vero che proprio tutto si risolve o torna come prima: le cicatrici restano, restano sempre.

Ora non vorrei scrivere questa recensione in modo troppo melanconico, ma la verità è che non sono mai stata brava con gli addii... Né con quelli reali, né con quelli immaginari. Mi rincresce separarmi da questa storia così ben costruita, da questa Roma oscura e luminosa (secondo me più oscura) che avrebbe potuto essere diversa, dalla piccola Silyen, pura e coraggiosa creatura che se fosse vissuta nel nostro mondo probabilmente sarebbe stata più "cattiva" e non avrebbe rischiato la vita per un ideale.

La piccola Silyen, che nella colonia di Oceania si trova a sperimentare sulla sua pelle la sopravvivenza estrema: come negli Hunger Games è un tutti contro tutti, una corsa continua all'accaparramento dei pochi viveri, fatta con il perpetuo timore di venire aggrediti alle spalle da un altro disgraziato che combatte per continuare a respirare. E qui abbiamo la prima contraddizione rispetto alla Roma pacifica e progredita da cui la protagonista arriva: già, perché è stata proprio l'illuminata società romana a creare Oceania. La colonia penale è il rovescio della medaglia di Roma, ma in fin dei conti entrambe appartengono allo stesso popolo; solo che da un lato c'è la parte rispettabile di quel popolo, e dall'altra c'è la "spazzatura".
Ma, almeno secondo me, nessuna società che produca una situazione come quella di Oceania può considerarsi civile, e non importa quanta tecnologia possieda né quanto sani e forti siano i suoi membri; la superiorità di un sistema si vede anche e soprattutto dal trattamento che ricevono gli ingranaggi non funzionanti di quel sistema: nessuna società può pensare di liberarsi dei suoi criminali e di coloro che la mettono in imbarazzo confinando degli esseri umani in un inferno privato. Nessuna società può disinteressarsi dei membri che disonorano le sue regole, perché il mancato rispetto delle regole è una caratteristica umana, che in quanto tale appartiene in qualche modo a tutti: né i romani di Aurora Stella né altri possono illudersi di essere perfetti, di non essere soggetti alla tendenza a commettere errori e di essere di una specie diversa rispetto agli assassini o ai ladri. La capacità di compiere azioni terribili rientra nella natura dell'essere umano, e sì, ladri, assassini, stupratori e dittatori sono umani, che ci piaccia o no. Come diceva Terenzio, "Homo sum, humani nihil a me alieno puto" ("Nulla che sia umano mi è estraneo").
E un governo che riduce i suoi prigionieri umani allo stato di bestie abbandonate a se stesse, come accade a Oceania, è solo un governo che mente a se stesso. Un governo di vanagloria.

Se non si fosse capito per me basta questo a far crollare tutte le pretese di Roma, ma la storia di Aurora aggiunge altra carne al fuoco: perché oltre a essere essenzialmente incivile (qualunque siano le apparenze), la situazione raccontata in Tiger Indomabilis è anche gravata dalla presenza di una sorta di divinità celata nel buio, che tutto osserva e tutto conosce. La chiamo divinità perché in effetti ha la facoltà di plasmare il destino dei comuni mortali come più le piace, senza dover rendere conto a nessuno e senza paura, perché essendo nascosta e "invisibile" non deve temere minacce. Almeno fino all'arrivo di Silyen...

Tutto ha una fine, e tutti prima o poi devono morire. Un fan di Game of Thrones direbbe "Valar Morghulis", e avrebbe ragione. Ma se all'inizio di questa recensione ero triste perché mi sembrava che la storia di Silyen e dei suoi amici fosse durata troppo poco, adesso forse sono più arrabbiata: non con il romanzo, che in realtà è davvero notevole e avvincente, e neppure con la sua autrice, alla quale esprimo tutta la mia stima; no, sono arrabbiata perché nelle storie di fantasia come nella realtà c'è sempre qualcuno che deve lottare e sacrificare vita e sogni per sconfiggere qualche arrogante nemico affetto da manie di onnipotenza. Un nemico che pensa di essere superiore e di sapere meglio di chiunque quale sia il bene degli uomini. O peggio un nemico che consapevolmente agisce solo per tornaconto personale.
Mi fa arrabbiare che le apparenze siano sempre diverse dalla sostanza, come accade alla gloriosa Roma di Tiger Indomabilis, che di glorioso ha ben poco. Mi fa arrabbiare che il mondo abbia bisogno di eroi che lo salvino, quando potrebbe tranquillamente cavarsela da solo se ognuno facesse la sua parte e si comportasse da persona decente.
Il fatto che serva un eroe per rimettere a posto una situazione è la più grande prova del fallimento di un popolo. E noi, invece, continuiamo a pensare che sia giusto e bello che un solo uomo paghi per tutti.

Concludendo questa recensione con ammirazione per il fantastico lavoro svolto da Aurora, ma anche con amarezza per i motivi sopra elencati, ringrazio come sempre Narrabilando per l'ospitalità. E vi do appuntamento ad aprile, con un nuovo romanzo e una nuova emozione.



Elisa Costa


lunedì 18 marzo 2019

Recensione a: Variazioni sul tema del tempo. Poesie di Claudia Zironi. A cura di Cinzia Demi

 Variazioni sul tema del tempo: un lavoro dove si parla del tempo in tutte le sue declinazioni, ma del tempo che conosciamo e con il quale, da sempre, abbiamo intrapreso la nostra lotta quotidiana di odio – amore dovendoci fare i conti continuamente, nel bene e nel male, e che dunque ci è familiare, ci appartiene come ci appartengono le relazioni con esso che la Zironi ci mostra.


Conosco Claudia Zironi ormai da diversi anni, ed ho già scritto di lei e dei suoi versi.  Mi piace tuttavia riscrivere, a distanza di qualche tempo, degli autori di cui mi sono occupata, per capire se riesco a confermare quanto detto in precedenza, o se la visione è cambiata, anche a livello personale. Devo dire che Claudia è rimasta per me un’ottima autrice e organizzatrice di eventi, da apprezzare per il grande impegno rivolto alla poesia, e alla sua divulgazione. In quest’ultimo libro, come vedremo, si concede “divagazioni sul tema del tempo” che vanno a incrociare le molteplici discipline coinvolte nell’argomento. Il risultato è un serissimo lavoro che nell’azzardo della dimensione poetica, accoglie e divulga la materia più frequentata di tutti i tempi, al crocevia tra lo spazio e l’amore, laddove spesso i poeti si soffermano e osano accreditare le proprie visioni.


Si apre con una domanda questo nuovo libro di Claudia Zironi: “Cos’è una sfera?”, domanda alla quale viene data subito risposta: - forse ciò che non trova il proprio tempo. In realtà non pare che l’elemento geometrico citato non abbia a che fare con il tempo… basti ricordare il tempo ciclico che nella storia si rifà alla teoria dei corsi e ricorsi del Vico. .. e se pensiamo che ogni momento è da considerare come unico, questo non è in verità irripetibile in senso assoluto. L’impatto che si ha leggendo il lavoro dell’autrice è che, infatti, ci siano diversi momenti – sia a livello di immagini, che di sentimenti, ma anche direi di figure descritte - che ritornano e che vengono evidenziati con una sorta di ciclicità sia di tempo che, come dice anche Polvani nella postfazione, di spazio. E forse è in questa direzione che va letto il riferimento alla sfera. Ma, andiamo con ordine.
Non deve, a mio avviso, lasciarsi ingannare il lettore dalla suddivisione quasi in “odor di scienza” del libro, dalle partiture individuate con termini che si rifanno alla biologia, alla linguistica, all’evoluzionismo: Ucronie-Eterocromie-Eucronie-Discronie-Sincronie-Ur-cronie-Diacronie perché qui - come sopra accennato - si parla sì del tempo in tutte le sue declinazioni, ma del tempo che conosciamo e con il quale, da sempre, abbiamo intrapreso la nostra lotta quotidiana di odio – amore dovendoci fare i conti continuamente, nel bene e nel male, e che dunque ci è familiare, ci appartiene come ci appartengono le relazioni con esso che la Zironi ci mostra.
L’idea di approccio al tema, che pervade il primo capitolo, è quella di presentazione una sorta di tempo fantastico, dove accadono eventi coerenti ma ipotetici, storie insomma alternative rispetto a quello che conosciamo, storie che avrebbero potuto verificarsi. Qui, certo, la sfera rappresenta il mondo, l’idea del viaggio attorno al pianeta, in un tempo del sogno dove cercare riparo dal boato, da ciò che ferisce, colpisce, bagna… in qualche modo rende spersi, impauriti, immemori, ricorda che siamo sempre sull’orlo del precipizio. Il viaggio continua in un tempo virtuale e calcolatore, anch’esso sferico, dove i cerchi si chiudono in modo inaspettato, dove si compiono i misfatti dei social ingannatori Un post disperato è apparso/sul social questa mattina alle 8.30…, le truffe delle piattaforme che tutto possono e che assurgono alla dimensione trascendente, professandosi quali nuove divinità di una religione della quale, per sopravvivere, devi farti devoto osservatore Per scrivere di cose profonde/ho scritto di curiosità geografiche; in un tempo dove, se pure non sembra coincidere il desiderato con il realizzato, è innegabile che ciò che emerge è la capacità di adeguamento dell’essere umano, la quasi incoerente formula da riadattare ad ogni occasione per trovare una via di fuga dal negativo, da ciò che doveva essere e ciò che è, specie se si tratta di una faccenda d’amore Non ci siamo mai guardati negli occhi… Io e te ci incontriamo nell’aria/quando lo vuole il vento. Nell’amore, neanche a dirlo, tutto è ciclico e ciò che finisce ritorna  Se c’è una possibilità di ritrovarci/non la lascerò intentata/il giorno/della fine del mondo… non si dimentica Ero nell’aria/mentre mi dicevi/di quella Memoria//La terrò tra le onde/che ci sopravviveranno si desidera vivere e rivivere Quando sarà proprio bello rivederci/ci incontreremo/in Umbria – forse – e rideremo… non importa dove e quando.

Il tempo ciclico, il tempo che tenta di farsi sfera, che ritorna implacabile nella nostra vita è soprattutto quello della memoria. Claudia Zironi ce lo presenta in un breve testo, che termina con una data - 27 gennaio, giornata dedicata alla memoria - , un testo capace di risvegliare nelle coscienze evocazioni di umane disumanità, di implacabili cammini: bastano quella data e pochi versi se non sappiamo passare la mano/tra i capelli di un bambino/che non sia biondo per trasmetterci il senso di impotenza che pervade il nostro fare, il nostro dire, il nostro stare al mondo, spesso nascosto in un vivere che non è vita vera. C’è da dire, poi, che questa figura del bambino biondo compare più volte nelle pagine del libro: è una presenza inquieta e inquietante, capace di generare sussulti al suo comparire, di evocare altri spazi e altri tempi, forse anche un altrove che nasce da un inconscio desiderio di spiritualità. Così vediamo come, quel bambino biondo è colui che aiuta Era biondo il bambino mi aiutava/a costruire cattedrali sulla sabbia… e come subito dopo, fattosi più grande, è colui che vorremmo abbracciare Lo vedete? quel giovane biondo/con un glicine all’occhiello, quello/appena entrato: è mio fratello/gemello/devo andare ad abbracciarlo… e ancora vediamo come il biondo si spande dai capelli ad altro, che identifica, in un incontro già vissuto Come se io e te/già ci fossimo incontrati/sorridenti all’appuntamento/davanti alle montagne/tu con la tua barba bionda… e infine il biondo torna a comparire, questa volta in un chiarissimo riferimento, e la vediamo davvero questa figura cristologica, una figura con cui è difficile dialogare, con cui non si riesce a stabilire un contatto duraturo, con cui quasi l’autrice, dopo averla tanto cercata, sembra non desiderare più di sentirla come un riferimento. Il testo è drammaticamente autentico, intriso di quella disperazione che spesso tutti ci pervade, che ci fa decidere di abbandonare un credo, che a volte non trova rimedio alla perdita, alla mancanza, e che non sembra - in questa fase -dare spazio a un tempo di rammendo: Di te mi hanno detto che eri biondo/bellissimo efebico e colmo/mi hanno detto delle fughe/e della tomba/una tautologia d’inarrivabile/Di te mi hanno detto che distruggi/che manchi che non conosci fratelli/Di te io non dico, restami. Viene così, a seguire, dopo questa grande perdita, un recupero del tempo primigeno, dove le pietre sono esseri viventi e il fuoco è l’idolo di ogni creatura, dove l’acqua genera la vita e l’udito il canto del vento, e dove nulla è da temere Più della nostra nascita. Ma, non è ancora finita, resta un’ultima espansione su cui ragionare: quella del tempo da attraversare, da condividere, a cui dare un campato senso. In un percorso a ritroso partendo da una lettera scritta settant’anni  dopo, più con le disillusioni che con le speranze, dimenticando ciò si voleva dire prima dell’ultimo/verso/prima del tramonto ecco che la sfera immaginaria ricompare dal nulla, ci ricorda la sua dimensione ciclica, riaffonda il desiderio di parole già usate in ciò che ancora non è stato vissuto, promuove e si commuove in un tenero incontro, quasi sperato, di mani che si tendono Quando mancarono le parole e finì/pure la terra era d’inverno./Ancora/non lo ricordo ma tu/sotto la neve/mi tendevi la mano.  E, proprio all’ultimo momento, si ricompone anche quella frattura con il proprio inconscio, con lo spirito, una forza nuova emerge da una lingua nuovissima che non sarà intesa ma non farà arrendere perché Lui/saprà cantarvi. E’ il ciclo della vita, dell’amore e della poesia che non è stato mai vano perché Il verso si accorcia/si perdono le parole/un’infinità di suoni solo pensati/nella lingua di dio suoni che donano una chiusura dove tutto torna e si tiene, in un tempo finalmente esatto.

Qualche testo da: Variazioni sul tema del tempo

Mi manca la misura del reale
non so quanti centimetri di filo rosso occorrono
per tenere insieme
due lembi di bandiera
i passi che fa una coccinella nella vita
quale volume d’aria
fa volare un dirigibile
quanti decibel sono ammessi per strada per legge
dopo le ventidue e trenta e neppure
conosco l’ingombro
del tuo corpo oltre lo schermo.

***

Ci sono cose che capitano.
Accade di nascere comete
o solo di nascere, come di morire
cadendo in un fiume.
Capitano strambi incontri
dove i silenzi non sono
contemplati, accade di traversare
il deserto e il mare.
Può capitare di imbattersi
in un astronauta per strada
e non saperlo. Può essere
che quando si aprono le mani
per sentire il vento freddo
della notte qualcuno le stringa
e si parli dell’amore.

***
“…io debbo fuggire per cercarti, debbo abbandonarti per conseguirti, e darti di spalle per cogliere il tuo viso.”
Giorgio Manganelli


è bizzarro, sai? questo modo
di fuggire per amore. è bizzarro anche
che ti scriva
come se io esistessi ancora.
ma la questione
davvero bizzarra è
che non sei tu a mancare e 
non è a te che sto scrivendo.

***

Come quando si partì per le Indie:
qualcosa c’era
anche se non si era ancora vista.
Non rispondeva e non era dislocata
secondo aspettativa.

***

“Aiuto! mi sta uccidend    ”
Un post disperato è apparso
sul social questa mattina alle 8:30
L’ultimo messaggio dall’account
di una ragazza bionda, carina. Ha totalizzato
entro le 8:40
167 like 200 cuori 30 faccine piangenti
10 faccine rabbiose 25 risate 3 commenti accorati
2 commenti ironici poi cancellati dagli utenti
1 commento a sfondo sessista.
Nei giorni successivi 300 faccine piangenti e
1561 commenti di cordoglio.

Claudia Zironi è nata, vive e lavora a Bologna, dove ha conseguito la laurea in Storia Orientale, e un Master in gestione d’impresa.
Ha pubblicato: “Il tempo dell’esistenza” (Marco Saya Edizioni, 2012); “Eros e polis – di quella volta che sono stata Dio nella mia pancia” (Terra d’ulivi, 2014) poi tradotto in inglese da Emanuel Di Pasquale (pubblicato in USA da Xenos Books/Chelsea in traduzione, 2016); “Fantasmi, spettri, schermi, avatar e altri sogni” (Marco Saya Edizioni, 2016); “Ursprungliches Leben – poesia e pittura in dialogo” libro d’arte co-realizzato e coprodotto in KDP con la poetessa Silvia Secco e con la pittrice Martina Dalla Stella (collana Edizionifolli, 2018); “Variazioni sul tema del tempo” (pubblicazione indipendente su KDP, 2018). A curato l’antologia poetica “JUMP” pubblicata in ebook da LaRecherche.it.
Sue opere sono state tradotte in inglese, francese e greco. Collabora con varie associazioni rivolte alla diffusione culturale e al sociale come Il Civico32 e Le voci della luna.
E’ fondatrice, dal 2012 attiva nella direzione e nella redazione insieme a Paolo Polvani ed Emanuela Rambaldi, della fanzine on-line rivolta ai lettori Versante Ripido per la diffusione della poesia www.versanteripido.it
Dal 2016 collabora alla rassegna poetica bolognese di Versante ripido  iGiovedìdiVersi, giunta alla terza edizione, con la direzione artistica di Silvia Secco. Nel 2017 Versante ripido si è costituita in Associazione culturale e Claudia Zironi ne è Presidente. Nel 2019 nasce il primo Premio Letterario di Versante Ripido, per poesia edita e inedita.


Bologna, 18 marzo 2019


Cinzia Demi