lunedì 11 febbraio 2019

LEGGERE, SCRIVERE: Lettori, scrittori e poeti



Non è una malattia. È molto di più. È un bisogno ontologico e, insieme, biologico. Sì, un bisogno: come l’aria, l’acqua, il pane, la luce del sole. E come accade per tutti i bisogni primari, quando non è soddisfatto provoca tensione, stress, malattia.
Leggere, scrivere. C’è e ci sarà sempre qualcosa da leggere, non importa che cosa. C’è e ci sarà sempre qualcosa da scrivere, talvolta non importa che cosa. Arthur Rimbaud è stato sin da bambino un avidissimo lettore. Leggeva sempre e di tutto.
Come si nasce con i bisogni che l’istinto induce a soddisfare, così anche il bisogno della lettura e scrittura nasce con l’uomo, ma mentre in molti casi è del tutto o quasi assente, in alcuni è predominante. Se questo non fosse vero, non avremmo avuto Oscar Wilde, per citarne solo uno. E mentre i bisogni dell’istinto richiedono anche stimoli, per il nostro non è necessario. Si può nascere in un ambiente privo di stimoli intellettuali. Allora, penserà l’individuo a cercarli e trovarli in se stesso e nei paraggi. Rimbaud trascorreva intere giornate chiuso nella biblioteca e nei librai di Charleville.

Ci sono stati lettori e scrittori febbricitanti. Uno tra i tanti, Giacomo Leopardi. Insaziabili, sempre insoddisfatti. Senza pace, tregua. Leopardi non aveva bisogno di una biblioteca esterna, questa l’aveva in casa. Ecco, anche il perché del suo “studio matto e disperatissimo”. Ebbe a sua disposizione sedicimila volumi. Lui fu uno di quei casi dove non fu necessario uscire e allontanarsi di casa per rispondere al bisogno impellente di leggere, leggere, leggere.
La biblioteca l’aveva in casa, insieme ad altri stimoli. Ma chi non aveva né biblioteca né stimoli in famiglia non si è disperato. È uscito fuori, è andato, ha cercato, ha trovato. Pensiamo a Charles Dickens, a Walt Whitman. Anche per questi vale dire che il bisogno era innato ed essendo tale andava sfamato e dissetato, pena la noia, l’indolenza.
Rimbaud così si lamenta in una delle sue lettere a Georges Izambard: “Speravo soprattutto in libri, giornali… Niente di niente!” (Charleville, 25 agosto 70). Meno male che… nella stessa lettera, più avanti: “Per fortuna, ho la sua stanza [...]. Mi sono portato a casa la metà dei suoi libri”. Ma, poco oltre ancora: “Mi son letto ormai tutti i suoi libri, tutti. [] Non restava più niente, la sua biblioteca, la mia ultima àncora di salvezza, era esaurita!”.
Ecco perché Rimbaud, un bel giorno, non ce la fa più e inizia a evadere, a partire, a camminare, a viaggiare: non si fermerà più!
Dunque, una malattia? Di più, molto di più, ovviamente! In lui, come in tanti altri, i vuoti andavano colmati. Non si poteva lasciarli com’erano. Altri poteva lasciarli così, ma loro no. Questo, non era possibile. Ne andava di mezzo la loro stessa vita fisica oltre che l’equilibrio psichico. E quando qualcuno di questi si è fermato, ha smesso di soddisfare l’innato bisogno, ecco il degrado e con questo la sua estrema conseguenza: la morte. Due casi per tutti: Paul Verlaine, Oscar Wilde. A questi, come ad altri, non fu permesso lasciar perdere lettura e scrittura. Eppure, qualcuno si doveva arrendere di fronte ad una fatica insaziabile, inesauribile. Forse, non è umana la resa e il riposo? Sembrerebbe, però, che chi è come loro non abbia il diritto di dire: Basta!

Di questo bisogno, che in fondo, diciamolo, è anche una malattia (perché no!), siamo un po’ tutti debitori. Il genere umano deve molto a quanti hanno risposto a quel demone che albergava dentro di loro rendendoli inquieti, instabili, insoddisfatti, tormentati, perennemente in stato di agitazione. Infatti, senza di loro tutto sarebbe stato meno chiaro, comprensibile, leggibile, tangibile. Oggi, non vi è dubbio, avremmo molte più ombre, oscurità, paure, nebbie, notte.
Dopo aver letto, e non solo pagine stampate, e scritto, hanno saputo interpretare la realtà (terribile), il Secolo, il Mondo, la vita passata presente e futura. Sono stati i nostri occhi, il nostro occhiale, i nostri sensi. Senza di loro la Storia intera non sarebbe quella che è. Se proviamo a toglierli, anche solo per gioco, alcuni conti non tornerebbero. Per noi hanno inteso, compreso. Sono stati intelligenti. Il tormento è stato ripagato con la Verità, con il Sole. Hanno riflettuto per tutti noi. Il loro bisogno ha colmato i nostri bisogni assopiti, sconosciuti, nascosti.

Quando pensiamo a Leopardi, come non sentire, provare gratitudine? In un mondo, il nostro, dove dire semplicemente: Grazie! è un vero miracolo, ringraziare scrittori e poeti sembra un lusso che proprio non ci possiamo permettere.
In quella landa desolata che è la nostra società, dominata dai mercati, dalle economie, dal tornaconto, andare a leggere quel che ha scritto Dickens, Whitman, appare una raffinatezza aristocratica.
Mancanza di lavoro, alto tasso di disoccupazione giovanile, recessione economica, nuove e devastanti povertà, fanno vergognare quanti leggono e scrivono, sfogliano quanto altri hanno letto e scritto. “Non si magia il pane bianco nelle strade dei poveri!” (da un ricordo di Don Lorenzo Milani). Verrebbe voglia di gridare, parafrasando: “Non si legge e non si scrive nelle strade dei poveri!”.
Ma molti di noi non la pensano in questo modo. E no, non si vergognano quanti lasciano che le pagine stampate parlino, interpretino leggendole, come altrettanto non si vergognano di scrivere gettando a piene mani manciate di semi di Verità, di luce. Don Milani nella sua Barbiana ha continuato a mangiare il “pane bianco” della Cultura per, poi, darlo da mangiare ai suoi poveri.

Per questo, il bisogno di leggere e scrivere non avrà mai fine. Altri bisogni primari, elementari, verranno soddisfatti, troveranno appagamento, ma questo no. No, perché mosso da una fame e sete che nulla hanno a che vedere con l’affamato e l’assetato. Si tratta, infatti, di un bisogno ontologico, abbiamo già detto. E l’Essere non è mai pieno. Parliamo dell’Essere umano.
Leopardi, Rimbaud, rappresentano, sono tra i vertici di un Essere in perpetuo divenire, di un moto permanente, di una ricerca che nessuna pur estrema esplorazione può far cessare, fermare. Non esiste per uomini come loro un non plus ultra che blocchi, che scoraggi, che induca ad ammainare le vele, ad appendere le scarpe al chiodo.
Prima di loro e dopo di loro altri, che non hanno chiuso la loro breve giornata terrestre senza aver scritto e lasciato da leggere le loro parole, i loro versi.
Canta Whitman: “Che tu sei qui – che esistono la vita e l’individuo, / Che il potente spettacolo continua, e che tu puoi contribuirvi con un tuo verso” (da Ahimè! Ahi vita!). “… che tu puoi contribuirvi con un tuo verso”. Gli fa eco, per tutti noi, Robert Frost: “Divergevano due strade in un bosco, e io… / Io presi la meno battuta, / E di qui tutta la differenza è venuta” (da La strada non presa).

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