lunedì 6 ottobre 2025

Con gli occhi di un bambino. Malattia e cura, cura e malattia.

di Nino Di Paolo (intervento alla kermesse di Fonte Avellana a tema Cura)



Cura di una nuova malattia, quelle malattie che ciclicamente si presentano nella storia di ogni specie, di quelle animali soprattutto, di quelle di specie “giovani” ancor di più, giovani come la nostra.
E la storia della nostra ha vissuto due ere: prima e dopo la visibilità della causa, cioè prima e dopo l’invenzione e l’utilizzo del microscopio.
E, di seguito, la storia di altre due ere: il prima e il dopo l’intuizione, la sperimentazione e l’utilizzo dei vaccini.
E poi ancora di altre due: prima e dopo la cura contro i batteri patogeni attraverso i farmaci antibiotici.
Le “nuove ere” datano un tempo infimo rispetto al manifestarsi della vita sulla Terra ma anche alla comparsa della nostra specie, con l’ultima, l’era “antibiotica”, addirittura da meno di ottant’anni.
Le scoperte che hanno aperto le nuove ere hanno anche aperto gli occhi a tutti verso la necessità della cura dell’igiene personale e ambientale, tutti fattori che hanno poi contribuito all’esplosione demografica dei sapiens propria degli ultimi settant’anni.
Un divenire, però, sotto gli occhi, tutt’altro che aperti ma, piuttosto, sempre e comunque accuratamente bendati, del caso.

Giancarlo andava a dir Messa
all’Ospizio di via dei Cinquecento
focolaio del primo sfalcio
e, sotto un casco che tentava l’impossibile,
ci lasciò
il primo giorno di primavera.

Tina ed Umberto
il loro tempo
dopo il confinamento
erano tornati ad occuparlo
nell’amore verso i nipoti
avanti e indietro da scuola.
Una settimana prima di ricevere il vaccino
passò, per loro, il secondo sfalcio
e se ne andarono
a tre giorni l’una dall’altro.

**** 

aveva iniziato
a pubblicare libri a sessant’anni
dopo una vita di lavoro, da emigrante,
per raccontarla, quella vita.
Il terzo sfalcio lo trovò nel campo
di chi il vaccino aveva evitato.

Le mie patologie
sono una lista della spesa.
Quelle giuste per lo sfalcio.
Ma il tagliaerba non rasò
quella fascia di prato.
Scegli se sentirti fortunato, saggio, furbo o in colpa.
Scegli pure che risposta pescare.
Il caso andrà avanti a far del suo.


Questa è la premessa, il campo dentro cui si gioca.
Poi ci sono i giocatori, noi.
Con le certezze e le angosce, le fatiche e i sollievi, e il vissuto, soprattutto.
Si può giocare a questo gioco con sano spirito di conoscenza, con pregiudizio, con empatia, con coraggio o con paura, per interesse o perfino con violenza.
Tutti questi aspetti possiamo ritrovarli manifesti nella più recente pandemia della storia umana, dove abbiamo visto enormi sviluppi della ricerca così come rifiuti aprioristici verso gli aiuti che la ricerca stessa ci ha fornito, grande aiuto sia professionale che volontaristico verso le persone colpite ma anche decisioni dettate da utilità economiche o elettoralistiche, come quelle del non “chiudere” in val Seriana, idranti da una parte ma anche minacce e parole d’odio verso i sanitari dall’altra.
Infine, sostanziale amnistia verso gli atti (e le omissioni) delle Regioni ma Commissioni parlamentari d’inchiesta verso il Governo in carica nel momento delle scelte più difficili.
Segnalo, a questo proposito, uno dei pochi libri-indagine prodotti, e uscito già nell’autunno 2020, riguardo a quanto avvenuto nella Regione Lombardia, epicentro del sisma insieme a Wuhan, New York, Londra e Madrid, e prima di New York, Londra e Madrid: “Senza Respiro – Un’inchiesta indipendente sulla pandemia Coronavirus in Lombardia, Italia, Europa. Come ripensare a un modello di sanità pubblica” di Vittorio Agnoletto, con prefazione di Luiz Inàcio Lula da Silva, attuale Presidente del Brasile che si trovava, al momento dell’uscita del libro, in libertà provvisoria per accuse che verranno poi ritenute false nell’ultimo grado di giudizio.
Il lavoro di Agnoletto parte dalle testimonianze, da parte di persone comuni e di operatori sanitari, di cosa è accaduto e di come si è o non si è affrontata la tempesta Coronavirus in Lombardia che, al 31 agosto 2020, contava il dato di 167 decessi ogni 100.000 abitanti, il più alto del mondo.
Se si disponesse del dato relativo alla sola Provincia di Bergamo il rapporto morti/abitanti sarebbe ancor più elevato.
Si trova poi la descrizione dettagliata degli atti e delle omissioni da parte di Governo Centrale e Amministrazione Regionale, dalla non chiusura dell’Ospedale di Alzano Lombardo alla non istituzione della zona rossa in val Seriana anche in seguito alle pressioni che provennero, in tal senso, dal padronato delle Aziende del settore produttivo della zona, fino alla madre di tutte le stragi: la delibera regionale n.9 dell’8 marzo 2020, che predisponeva e incoraggiava il trasferimento dei pazienti post acuti dagli Ospedali alle RSA, per ridurre la pressione sugli Ospedali stessi (“un cerino in un pagliaio” la definisce Agnoletto riportando l’espressione usata da Luca Degani dell’Unione Nazionale Istituzioni e Iniziative di Assistenza Sociale).
È dal tempo della peste di Atene (430 a.C.) che, nonostante per secoli non fosse conosciuto l’agente causale del morbo, la prima precauzione per evitare contagi sia sempre stata quella di tenere le persone ammalate ben distanziate dalle altre.
Giovanni Boccaccio ambienta il primo capolavoro in prosa della lingua italiana in un luogo isolato dove alcuni giovinetti non ammalati di peste (quella del 1348 d.c.) si ritirano, abbandonando la città, per non esserne contagiati.
Tornando ai giorni della nostra pandemia, il 22 aprile 2020 il Presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, in relazione alla gestione dell’emergenza, dichiara al Corriere: “Rifarei tutto”.
La maggioranza degli elettori lombardi concordano con Fontana rieleggendolo, nel febbraio 2023, con il 54% dei voti validi.
Tutto sepolto. Tutti sepolti.
Il lavoro di ricerca di Agnoletto prosegue nel confronto tra l’approccio alla tempesta che tenne la Regione Lombardia con quello delle altre Regioni italiane e di altri Paesi Europei ed Extraeuropei.
La parte conclusiva focalizza l’attenzione alla deriva che una gestione esclusivamente economicistica della sanità sta portando e, nonostante tale deriva paia inarrestabile, cosa che ognuno può direttamente percepire, non manca di proporre soluzioni per invertire la rotta sottraendo la sanità, sia culturalmente che giuridicamente, dalla realtà di merce nella quale si sta ordinariamente inscrivendo per tornare a quella di diritto universale che, nonostante sia sancito dal testo costituzionale, è nei fatti in buona parte già svanito.
In conclusione di questa breve riflessione che ho proposto vorrei però soprattutto mettere l’accento sulla cura dal punto di vista del “curato” e di un particolare tipo di “curato”, quello del noi-bambino, ammalato o, comunque, in relazione con il nostro corpo, con la nostra salute.
Con gli occhi di un bambino, quindi.
Anche qui, almeno in Occidente e sicuramente in Italia, possiamo individuare due ere: prima e dopo il Sessantotto (e quello che la cultura ribelle del Sessantotto ha prodotto nel campo dei diritti individuali della persona).

Mente locale
sui miei quattro anni
sono due stanze e la stufa
che una ne scaldava,
l’altra aveva fiori
di ghiaccio di qua del vetro.
E’ una fila di bambini
seduti sugli sgabellini davanti a un lungo lavandino,
acqua dai rubinetti e sangue vivo negli scarichi,
quello delle nostre tonsille recise.


****

La porta a vetro si chiudeva alle cinque
quando arrivavano le mamme
a trovare i bambini incarcerati
nell’Ospedale delle Malattie Infettive,
a Dergano, addosso alla Bovisa.
Imponeva ancora l’isolamento
la scarlattina
nella primavera del sessantasette.
Di ventuno giorni.
Ventitrè ore senza mamma e papà
e un’ora appiccicati
al vetro di quella porta
per provare a toccarli
per scambiarsi una carezza impossibile.
Unica consolazione una radiolina a transistor
per ascoltare “tutto il calcio” la domenica pomeriggio
e la rubrica jazz di Adriano Mazzoletti la sera,
la mia ninna nanna.


****

Il digiuno diurno
a undici anni
senza averne ancora il dovere
per sentirsi grande
poi correre a bere dal rubinetto
non appena il telefonino
fa partire la litania
della preghiera della sera.

Quando le flebo
non erano ancora in uso
e il mio risveglio dall’anestesia
avvenne in una notte di assonnati infermieri
il bambino si alzò
arso dalla sete
curvo sul dolore della ferita
e guadagnò anche lui
un agognato rubinetto.


****

Colonie estive
per i figli dei dipendenti
erano anticipo di naja per i bambini
e anche per le bambine
che non avrebbero imbracciato fucili.
La grande Ditta tedesca
di armi ed elettrodomestici
le organizzava
tra il Cusio e il Verbano.
Quando le apparvero le pustole
lo disse a sua sorella
ma lei se lo lasciò sfuggire
e Giovanna, con la sua varicella,
finì rinchiusa sulla torre.
Mandava cartoline ai genitori
obbligata
a scrivere “qui tutto bene”,
lassù, dalla cella.
Raperonzolo non era solo
fiaba di un oscuro medioevo,
era ancora realtà
alla fine degli anni ’60.
Dovette arrivare il sessantotto
per spazzar via quell’oscurità.
Siamo sulla strada che la ripristinerà.

I miei ventuno giorni
nel carcere di Dergano
non erano solo
distacco corporale dai genitori
erano due penicilline al giorno
attese come la goccia dalla stalattite
erano infermiere senza dolcezza
pastasciutte con rancido ragù
un ragazzo che lo mostrava gonfiarsi
lasciandoci spaventati.
E anche lì, ma dopo, arrivò il sessantotto.


La cultura ribelle del Sessantotto con le battaglie civili e sindacali che ne seguirono figliarono, in Italia, riconoscimento di diritti nei luoghi di lavoro (Statuto dei Lavoratori nel maggio 1970), del diritto a non rimanere sposati con chi non ci si vuole più rimanere (Legge sul divorzio del dicembre 1970), dei diritti delle donne (Diritto di famiglia del maggio 1975), la riforma carceraria (luglio 1975), la chiusura dei manicomi-carcere (maggio 1978), il diritto universale alla salute e alla cura (sempre 1978, in dicembre), la riforma del processo penale (ottobre 1989).
Per una legge contro la tortura si è dovuto purtroppo attendere il 2017.
Molte di queste conquiste sono state e sono continuamente messe in discussione dal pensiero e dalle forze reazionarie, a seguito dell’egemonia culturale che tali forze detengono, in Italia, fin dagli anni ’80, in seguito alla sconfitta operaia alla Fiat dell’autunno 1980.
Noi, in quella stagione bambini, adolescenti e poi giovani, in quella cultura continuiamo a specchiarci, anche per le scelte del nostro presente.
In alcuni versi abusivamente estrapolati da una poesia di Giuseppe Carlo Airaghi tratta dalla raccolta Ora che tutto mi appare più chiaro ritrovo il senso di questo guardare ogni momento del presente.

“A quel bambino (che sono stato) mi rivolgo…
… A lui mi confesso quando scrivo
al bimbo innocente che sono stato.
Lui il mio giudice,
il mio interlocutore.
Il mio accusatore.”


Il tutto, sempre e quindi, con gli occhi di un bambino, la nostra coscienza.
Come ci ricordava Giovanni, fanciullino di San Mauro.


Nota: i brani poetici inseriti in questo testo sono presenti nella raccolta Specchi asimmetrici, pubblicata nell’agosto 2024 da ChiareVoci Edizioni.

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