giovedì 26 marzo 2020

Notizie dal diluvio – 19 marzo 2020

Nel tempo del COVID-19
                                                                                          Marina Massenz



Non ho mai sentito tanto silenzio intorno… cercavo i boschi per il silenzio, ora lo trovo qui in città.
Spinte opposte si alternano dentro di me; dal piacere per tutto questo tempo guadagnato (lettura, scrittura, opera, teatro, studio…) al senso di perdita dei rapporti personali e del movimento libero in giro per la città.
Sentimenti dolenti (per tutti quelli che stanno male, un male davvero tremendo, l’assenza del respiro…) e nel contempo sprazzi di risate (i buffi mini-video ironici che girano via wapp) e sollievo quasi commosso per le serenate alle finestre, gli applausi, la musica…
Nel sentire dolente il pensiero peggiore è quello per coloro che muoiono così… da soli, senza affetti, senza congedo… soli, anonimi, in un lettuccio intubati. Questo tra tutti è il pensiero più atroce, quello che mi turba di più. Mi è sempre sembrato che un buon addio alla vita, tra affetti e calore e pianti sia la minima dignità dovuta ad un essere umano.
Pensieri positivi – forse questa pandemia ci restituirà un’idea più grande di umanità condivisa, di solidarietà, di valori come “pensare anche all’altro” anziché l’antico refrain italico “me ne frego!”.
Oggi se non stai a casa – pensando appunto al bene comune – ti sanzionano anche penalmente; e domani? Cosa rimarrà di questo, ora obbligato, sentimento di “comunità di umani”? Avrà scavato nelle coscienze e sedimentato, possiamo sperare in un mondo che da questa esperienza si farà più solidale, socievole, altruista?
Intanto ho riletto l’Odissea (mai più aperta dai tempi del liceo) ed ora leggo Re Lear, dopo aver visto su You Tube la bellissima messa in scena di Strehler del 1972, con il matto geniale che dispensa saggezza in un carosello con pazzia. Cerco di lavorare ad una nuova raccolta di poesie. Studio e prendo appunti su un cumulo di libri letti che aspettavano questo da molto tempo. Però faccio anche un buon brasato e la peperonata.
E tu? Tu che sei solo a casa e non condividi nulla, come stai? Ti senti solo? Cammini avanti e indietro come un carcerato? Certo non tutti hanno le stesse risorse, magari però ne hanno altre. I social, lo stare al telefono, inventarsi cose diverse dalle mie, imbiancare i muri di casa, lavorare all’uncinetto; diceva un’amica “finalmente posso fare l’uncinetto”…
Comunque questo tempo “liberato” così di colpo da tutti i consueti impegni, lavorativi e non, ci fa riflettere: in ogni modo, o meglio, ciascuno a suo modo, ognuno deve tornare su di sé, fare discorsi interiori o ascolti interiori, una dimensione del tempo che rimanda ad un valore importante per me. Questa necessità, lo stare in casa per lunghe settimane senza avere un orizzonte che segnali un termine di questa condizione, sospinge lo sguardo verso l’interno. Scesi dalla giostra frenetica della normale quotidianità milanese, siamo atterrati, doloranti per la caduta, su un terreno non del tutto conosciuto e di certo poco praticato.
Il valore della vita intima, della vita spirituale, riflessiva, creativa o anche rivolta alla cura e agli affetti.
Spero che qualcosa di tutto ciò ci rimanga dentro e (da laica) mi auguro metta le basi per un nuovo umanesimo, non la visione e lo slancio verso il mondo “internazionalista proletario” della nostra gioventù, ma uno nuovo, della nostra contemporaneità così sconquassata e desolante, chiusa al diverso da sé (specie se povero), distruttrice di beni del mondo naturale, accumulatrice di oggetti, beni, simulacri.
Forse inizieremo ad aver meno bisogno di “cose” per stare bene, forse penseremo che salutare il vicino di casa in fondo è bello, ci fa stare meglio. Speriamo.

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