lunedì 28 gennaio 2019

Leggerezza e gravità senza “paura”

Su Paura di Angela Colapinto (Fara Editore, 2018)
recensione
di Fabio Orrico pubblicata su Scritti inediti



Paura è il titolo icastico e preciso del libro d’esordio di Angela Colapinto, pubblicato da Fara editore. Si tratta di una raccolta di racconti, composta da dieci “pezzi” che, più o meno esplicitamente, guardano al sentimento evocato in copertina.
Ma, a dire il vero, a farla da padrone, più ancora che la paura è una sensazione di prigionia, negazione della libertà nel senso più lato del termine anche se quasi sempre Colapinto preferisce declinare tutto questo in termini piuttosto concreti. Di fatto tutti i protagonisti dei racconti vivono un’esperienza concentrazionaria e questa situazione è data in modo ineludibile. Quindi, il percorso compiuto dai personaggi non è necessariamente di liberazione ma a volte addirittura di conferma del loro stato che, se non viene ribadito, viene scambiato con un’altra forma di costrizione. È esattamente quello che succede alla protagonista di Ossessione, forse il racconto più bello del libro, dove la parabola della protagonista è stretta tra due uomini, vittime di diversi tipi di manie ma allo stesso tempo ben decisi, a livello più o meno inconscio, a farne ricadere gli effetti sul prossimo. Se l’orizzonte narrativo di Colapinto ha colori cupi, almeno da un punto di vista contenutistico, è però bene precisare che il suo modo di raccontare è decisamente brioso, con aperture di dolorosa ironia se non di comicità esplicita.
Libro di contraddizioni fertili, Paura è scritto nel segno della leggerezza (forma e foliazione) e pesantezza (temi e idiosincrasie) senza paura (intenzioni e mezzi espressivi dell’autrice la mettano al riparo dal sentimento del titolo) di mescolare dramma e commedia, ibridare registri restando comunque coerente al nucleo della sua ispirazione, che è quella di un gotico parodizzato e al passo coi tempi, immerso in una quotidianità che tutti conosciamo e proprio per questo ne cogliamo sulla pagina il lato weird con un sovrappiù di turbamento. L’unico momento di cedimento è forse al termine di Amy, il sesto racconto, la cui chiusa disperde in modo un po’ troppo didascalico il capitale di ambiguità accumulato fin lì da Colapinto. Ma è un peccato veniale, per tutto il resto dello smilzo libretto l’ambiguità è al sicuro e libera di agire scatenata, perturbante.

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