martedì 8 gennaio 2019

Così ha deciso la sorte

racconto di Yu Hua 余华

traduzione di Ardea Montebelli 
(vietata la riproduzione anche parziale senza consenso)

8 gennaio 2019 


Nel tempo presente

Oggi la luce del sole è incantevole, il sibilo del vento echeggia fuori dalla finestra: è arrivata la primavera. Liu Dongsheng è seduto davanti alla finestra al dodicesimo piano di un grattacielo, nell’asilo sottostante risuona un canto sregolato, i cori appassionati di quel gruppo di bambini innocenti lo disturbano. Vede gli alberi sulle due sponde del fossato che emanano il colore verde. Passano molti taxi che si mescolano con qualche camion. Più lontano, la funivia panoramica del luna park si muove lentamente, se lui non avesse guardato con attenzione in lontananza, non avrebbe potuto vedere il suo movimento. Proprio in quel momento gli arriva una lettera listata a lutto: rimane scioccato. Non è necessario che la apra, i caratteri sulla busta chiaramente e inconfondibilmente dicono che un suo compagno d’infanzia è morto e nello spazio predisposto per il mittente è stampato: Comitato organizzatore del funerale di Chen Lei. Chen Lei, la persona più ricca tra i suoi vecchi compagni, è morto per omicidio. Gli amici hanno fondato un Comitato per il funerale del ricco possidente, con l’intenzione di mostrare il rango del defunto quando era in vita. Hanno attaccato l’inquietante necrologio per tutto il piccolo sobborgo, si dice che ce ne siano tre, quattrocento come se fosse arrivata un’improvvisa nevicata così si è coperto quel piccolo paese che mai prima d’ora è stato tanto pieno di vita. Però qui le persone raramente si spaventano e quei necrologi non destano tanto fervore. È davvero crudele trovarsi di fronte e all’improvviso una moltitudine di necrologi. Nei vicoli, davanti alle case, perfino sulle porte e sulle finestre è affissa la triste notizia della morte di una persona cara. In realtà, non si tratta della semplice notizia della scomparsa, è come se fosse un invito: dai, venite da me. Le persone nella città, colte da rabbia e da orrore, mostrano la propria ripugnanza sia con le parole che con i fatti quindi, durante la notte, non è rimasto nulla di quei necrologi. Ma, il tormento non è ancora finito, il giorno del funerale un camion trascina lentamente l’altoparlante per consentire la trasmissione radio della marcia funebre. Il canto funebre è assordante, sembra una marcia di accompagnamento al crematorio. A metà del mese seguente, Liu Dongsheng ha ricevuto una dopo l’altra, le lettere dei compagni. Quelle lettere, che riguardano la morte di Chen Lei e che indagano sulla vicenda, provengono da molto lontano. Chen Lei era la persona più ricca del piccolo sobborgo: possedeva due fabbriche e un ristorante che era il più lussuoso del villaggio. Successivamente, aveva acquistato la vecchia casa di Wang Jia, da sempre considerata l’edificio più imponente. Cinque anni fa, quando Liu Dongsheng tornò nel piccolo sobborgo per festeggiare la festa di primavera, la casa di Wang Jia era in restauro. Liu Dongsheng incontrò per strada un compagno d’infanzia con l’uniforme da poliziotto, chiese a lui dove potesse trovare Chen Lei. “Vai nella vecchia casa di Wang Jia” gli disse. Liu Dongsheng attraversò il piccolo sobborgo, avrebbe dovuto attraversare anche il bosco di bambù ma, una volta arrivato là, il bosco non c’era più, era scomparso: cinque palazzine residenziali né vecchie né nuove lo avevano sostituito. Arrivò da solo nella vecchia casa di Wang Jia. Vide una decina di muratori che la stavano restaurando, intorno alla vecchia residenza era stata eretta l’impalcatura. Entrò nel cancello del giardino, dall’alto stavano buttando giù delle tegole, quando una persona da lassù gridò: “Tu vuoi morire”. Le grida bloccarono Liu Dongsheng che rimase immobile; solo dopo che le tegole si frantumarono vicino ai suoi piedi, tornò indietro dal cancello del giardino e si sedette accanto ad una fila ben ordinata di mattoni. Stette seduto lì per molto tempo quando vide arrivare Chen Lei in moto. Chen Lei indossava una giacca di pelle, fermò la motocicletta e dopo aver tolto la cenere dalla sigaretta accesa, diede un’occhiata a Liu Dongsheng poi proseguì verso il cancello del giardino, fece qualche passo, girò nuovamente la testa e guardò Liu Dongsheng: questa volta lo riconobbe, fece un largo sorriso, anche Liu Dongsheng sorrise. Chen Lei andò accanto all’amico che si alzò in piedi, stese le mani, lo abbracciò e gli disse: “Andiamo a bere”. Ora Chen Lei è morto. Dalla lettera ricevuta dai compagni Liu Dongsheng è venuto a sapere che quella notte Chen Lei era solo nella vecchia residenza di Wang Jia, sua moglie aveva accompagnato il figlio nella casa dei genitori a quindici chilometri di distanza. Quando Chen Lei si è addormentato è stato violentemente colpito a morte con un martello: era tutto un buco, dalla testa fino al petto. La moglie di Chen Lei, tornata a casa due giorni dopo nel pomeriggio, la prima cosa che ha fatto è stata quella di telefonare nell’azienda del marito, l’assistente del direttore generale le ha detto che anche lui lo stava cercando. La moglie, dopo aver saputo, è rimasta sorpresa che fosse sparito da due giorni senza lasciare traccia. La prima reazione della donna è stata quella di andare in camera da letto dove ha visto Chen Lei colpito violentemente da un martello. Non ha resistito a quella vista così terribile: tutt’a un tratto l’urina dal cavallo dei pantaloni le è scesa direttamente sul tappeto poi è caduta a terra svenuta, non è riuscita ad emettere un solo grido. A Chen Lei piaceva molto collezionare accendini. La polizia dopo essersi precipitata sul posto, ha scoperto che non mancava nulla solo che, gli oltre 500 accendini che lui aveva collezionato, da quello più economico a quello più costoso, erano stati portati via dall’assassino. Ora Liu Dongsheng da così lontano, sta sfogliando le lettere di quei compagni. La ricerca per il momento non ha prodotto risultati. In quelle lettere si fanno supposizioni sulla causa della morte di Chen Lei e sulla descrizione dei numerosi individui sospetti senza fare, però, alcun nome. Liu Dongsheng può fare delle ipotesi su chi siano due o tre persone ma, a questo non è interessato, si è fatto la sua opinione sulla morte del caro compagno, ricordandosi di 30 anni prima.



Trenta anni prima

La strada pavimentata con lastre di pietra leggermente bagnate, per l’effetto del sole dopo la pioggia, sembrava uno di quei teli di plastica che si asciugano al sole su pali di bambù. Tanti piedi camminavano per strada, tante quante erano le mosche sui teli di plastica. I cornicioni sporgevano su due lati dei palazzi unendoli quasi insieme. Sotto le finestre spalancate, lenzuola e vestiti si asciugavano al sole. Passavano da lì alcuni fili elettrici, c’era qualche passero che arrivava cinguettando e che atterrando si appollaiava sui fili facendoli oscillare. Un bambino dal nome Liu Dongsheng, attaccato alla finestra con il mento appoggiato sul davanzale di cemento, guardava la strada. Finalmente vide arrivare Chen Lei, un bambino che stava camminando con indolenza in mezzo a tanta gente e che poi, guardandosi intorno, rimase per un po’ davanti ad una drogheria. Frugò a lungo nelle tasche, tirò fuori qualcosa da mangiare e se lo mise in bocca, fece ancora qualche passo e si fermò davanti alla bottega di un fabbro. Lì dentro una persona che stava battendo il ferro gridò: “Vai via, vai via”. Chen Lei girò la testa e impassibile riprese a camminare. Liu Dongsheng, come tutte le mattine, dopo che i genitori con uno schiocco chiusero a chiave la porta, si appiccicò al davanzale della finestra e proprio in quel momento vide Chen Lei, che abitava nel palazzo di fronte al piano di sotto, uscire con i genitori. Chen Lei, alzando la testa, scorse i genitori chiudere a chiave la porta. I genitori quando andavano a lavorare gli strillavano sempre: “Non andare a giocare al fiume”. Chen Lei li guardava senza dire nulla, e loro insistevano: “Hai sentito Chen Lei?”, Chen Lei rispondeva: “Ho sentito”. Quella mattina, i genitori di Liu Dongsheng erano già scesi dalla scala, stavano camminando sulla strada quando si girarono e lo videro lo rimproverarono: “Non stare attaccato alla finestra”. Lui rapidamente tirò indietro la testa ma i genitori strillarono nuovamente: 
Liu Dongsheng, non giocare con il fuoco”. Liu Dongsheng annuì. Dopo un po’ di tempo quando, secondo i suoi calcoli, i genitori diretti al lavoro erano già lontani, si precipitò nuovamente alla finestra ma Chen Lei era già andato via. Chen Lei era nel centro della strada su una lastra di pietra quando con il corpo sbatté forte da un lato e il fango fuoriuscito da sotto la pietra, schizzò sui pantaloni di un uomo. Quell’uomo prese con due dita per un braccio Chen Lei dicendo: “Figlio di buona donna”. Chen Lei spaventato si coprì il viso con le mani e chiuse gli occhi. Quell’uomo barbuto allentò la mano e lo minacciò: “Stai attento, io ti ammazzo”, poi se ne andò con l’aria spavalda ma Chen Lei era ancora sconvolto: abbassò le mani, alzò lo sguardo, guardò le persone che gli passavano accanto. Quando si accorse che a nessuno importava ciò che era accaduto poco prima, lentamente se ne andò; piccolo e debole tra adulti vigorosi, arrivò davanti a casa. Si sedette a terra rasente alla porta, alzò le braccia, si fregò gli occhi, con il viso rivolto verso l’alto fece uno sbadiglio, finito di sbadigliare vide che dalla finestra situata al piano superiore del palazzo di fronte, un bambino lo stava guardando. Liu Dongsheng finalmente si accorse che Chen Lei lo guardava e sorridendo lo chiamò: “Chen Lei”. Chen Lei gli chiese: “Come sai il mio nome?” Liu Dongsheng con il viso sorridente rispose: “Lo so.” Entrambi i bambini sorrisero. Dopo essersi guardati l’un l’altro, Liu Dongsheng chiese: “Perché i tuoi genitori tutti i giorni ti chiudono fuori di casa?” Che Lei rispose: “Hanno paura che io giochi con il fuoco e dia fuoco alla casa”. Poi Chen Lei chiese a Liu Dongsheng: “Perché i tuoi genitori ti chiudono in casa?” L’amico replicò: “Hanno paura che io vada a giocare al fiume e che muoia affogato”. I due bambini si guardarono: entrambi erano pieni di entusiasmo. Chen Lei chiese: “Quanti anni hai?” Liu Dongsheng rispose: Ho sei anni”. “Anche io ho sei anni, pensavo che tu fossi più grande di me” disse Chen Lei. Liu Dongsheng replicò sorridendo: “Sono sullo sgabello”. Sull’angolo della strada c’era un folto gruppo di persone, alcune delle quali correvano come impazzite; Liu Dongsheng chiese: Cos’è successo là? Chen Lei si alzò e disse: “Vado a dare un’occhiata”. Liu Dongsheng con il collo che sporgeva dalla finestra guardò Chen Lei verso quella direzione. Il gruppo di persone che stava urlando svoltò in un’altra strada e Liu Dongsheng non lo poté più vedere, scorse solo alcuni che correvano, tra questi c’era anche chi scappava da quel luogo. Chen Lei arrivò là di corsa e, appena svoltò, Liu Dongsheng non potè più vedere nemmeno lui. Dopo un po’ di tempo Chen Lei ansimante tornò indietro, rivolse il viso verso l’alto e respirando a pieni polmoni disse: “Stanno facendo a pugni, c’è un uomo con la faccia sanguinante, diverse persone hanno i vestiti strappati, c’è anche una donna. Liu Dongsheng molto spaventato rispose: “Hanno ucciso qualcuno?” “Non so” rispose Chen Lei, scuotendo la testa. I due bambini smisero di parlare, quella violenza così improvvisa li avvolse totalmente. Dopo un lungo silenzio, Liu Dongsheng disse: “Tu sei proprio fortunato!”. “Fortunato per che cosa?” replicò Chen Lei. “Puoi andare dove vuoi, io no”. “Neanche io sono fortunato” rispose Chen Lei all’amico: “Ho sonno, vorrei dormire e non posso entrare in casa”. Liu Dongsheng ancora più triste disse: “Più in là forse non potrò più vederti, mio padre ha detto di voler inchiodare la finestra, lui non vuole che io stia attaccato alla finestra, dice che potrei cadere e morire”. Chen Lei abbassò la testa, disegnò qualcosa con il piede sulla terra poi alzò la testa e chiese: “Riesci a sentirmi quando ti parlo?” Liu Dongsheng annuì. Chen Lei allora disse: “Verrò qui tutti i giorni a parlare con te”. Liu Dongsheng sorridendo aggiunse: “Lo hai detto tu, devi però mantenere la parola” e Chen Lei: “Se non verrò qui a parlare con te, sarò mangiato da un cane”. Proseguì Chen Lei: “Tu lì sopra vedi il tetto?” Liu Dongsheng annuì dicendo: “Sì lo vedo”. “Io non ho mai visto il tetto” rispose afflitto Chen Lei. Liu Dongsheng disse: “La parte più alta del tetto sembra una linea che scende verso questo lato”. Così iniziò l’amicizia fra i due bambini, ogni giorno si raccontavano le cose che l’altro non poteva vedere. Le cose di cui parlava Liu Dongsheng riguardavano il cielo, mentre era compito di Chen Lei parlare di quello che succedeva sulla terra. La loro amicizia andò avanti in questo modo per un anno intero. Un giorno poi il padre di Liu Dongsheng dimenticò a casa le chiavi. Il bambino lanciò dalla finestra le chiavi a Chen Lei che salì di corsa ad aprirgli la porta. Quel giorno Chen Lei portò l’amico per tutto il piccolo paese: attraversarono un boschetto di bambù e arrivarono alla vecchia casa di Wang Jia. Nel sobborgo la casa di Wang Jia era la più imponente. L’anno precedente, Chen lei la descrisse più volte a Liu Dongsheng e adesso finalmente, ecco la casa di Wang Jia. La casa era chiusa e i due bambini erano fuori dal muro di cinta. Guardarono un gruppo di passeri che, come il vento, roteavano sui tetti di diverse altezze. In quel periodo, il muro di cemento era ancora intatto e scintillante al sole. Le tegole che sporgevano dal cornicione erano tondeggianti, all’interno c’era ogni sorta di disegno. Chen Lei disse a Liu Dongsheng che guardava inebetito: “Sul cornicione ci sono molti nidi di rondine” e nel frattempo raccoglieva dei sassi per lanciarli verso il cornicione, li lanciò alcune volte quando finalmente colpì il bersaglio: da lì dentro uscirono rapidamente delle piccole rondini che, cinguettando in preda al panico, volarono via rimanendo però nelle vicinanze, anche Liu Dongsheng raccolse dei sassi e li lanciò verso il cornicione. Quel pomeriggio, lanciarono sassi girando intorno alla vecchia casa di Wang Jia, cacciarono via tutte le piccole rondini e il loro canto irrequieto continuò per tutto il pomeriggio. Quando il sole tramontò, i due bambini esausti si sedettero su un pendio e videro tornare quelle piccole rondini al proprio nido perché, poco distante, le grida dei contadini al termine della giornata di lavoro le avevano infastidite. Alcune però perdettero la strada e, sbagliando nido, furono continuamente buttate fuori, cantavano addolorate fino a quando arrivarono alcune rondini più grandi che le portarono via. 

Chen Lei disse: “Quelle rondini sono i loro genitori”. Quando il cielo a poco a poco si oscurò i due bambini erano ancora seduti sul pendio, non si ricordarono che dovevano tornare a casa, discussero se fosse o no il caso di entrare nella casa a dare un’occhiata. “È possibile che dentro ci sia qualcuno?” chiese Liu Dongsheng. Chen Lei scuotendo la testa rispose: “È impossibile che ci sia qualcuno, stai tranquillo, nessuno ci manderà via”.  Chen Lei guardò il cielo e, vedendo che era ormai buio, non fu più così sicuro di voler entrare. Frugò in tasca, prese qualcosa, lo mise in bocca e cominciò a mangiare. Liu Dongsheng, inghiottendo la saliva, gli chiese: “Che cosa mangi?” Rispose Chen Lei: “Sale”. Mentre parlava, Chen Lei frugò nell’angolo della tasca, tirò fuori un granello di sale e lo mise in bocca a Liu Dongsheng. In quell’istante ebbero l’impressione di aver sentito un bambino gridare: “Aiuto”. Tutto d’un tratto, impauriti, si alzarono in piedi, si guardarono a lungo, Liu Dongsheng disse con una voce alta e sottile: “Poco fa hai gridato tu?” “Io non ho gridato” rispose Chen Lei, scuotendo la testa. Il suono delle parole si attenuò quando, nell’oscurità della casa, quella voce, perfettamente identica alla voce di Chen Lei, gridò nuovamente: “Aiuto”. Liu Dongsheng impallidì e disse: “È la tua voce”. Chen Lei spalancò gli occhi guardò Liu Dongsheng e immediatamente rispose: “Non sono io, non ho gridato io”. Al terzo forte grido di aiuto, i due bambini fuggirono, erano già sulla strada mentre il buio, oramai, si era diffuso tutto intorno.  


Ti ho scritto una lettera come quella? Hai presente la commozione cerebrale del signor M? Commozione cerebrale? Il signor M? Questo nome perché mai mi suona così famigliare? Conversano telefonicamente una ventina di minuti. In definitiva solo il signor D può confermarlo, i dettagli nel ricordo dell’altro sono sfumati, nella mente è impresso solo il periodo recente: la visione raggiante e incantevole della primavera. Il signor D è un tipo un po’ strano: sono io che ricordo male? Oppure è lui a ricordarsi male? Oppure davvero tra loro, nell’inverno di quell’anno, non è successo niente? Forse il signor D avrà avuto necessità di andare nella città dove si trovava il signor A, avrà bussato alla porta, avrà controllato la sua carta di identità e il libretto dei dati personali poi avrà fissato i suoi occhi, avrà guardato se si intravvedesse uno sguardo sospetto.
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