venerdì 5 ottobre 2018

AUTUNNO?




C’è qualcosa nell’aria di manifestamente autunnale. Un broncio da bambino capriccioso. Un ritirarsi sotto le coperte di chiunque prima se ne stava all’aria aperta come un gatto annoiato. Un tirare il naso all’insù tra l’incredulo e il rassegnato. Intanto, poi, piove e piove ancora comunque. Nessun preavviso, né nel turbinio dell’aria mattutina né nei vapori al sorgere del sole. Accade come un agguato, un attacco studiato per giorni e giorni fin nei minimi particolari, una in picchiata improvvisa. Sorpresi restiamo a bocca aperta, ebeti che non sanno quando il colore del cielo è seriamente minaccioso e determinato. Dopo le prime gocce è già troppo tardi per correre ai ripari. L’aria ha già cambiato l’abito e si appresta a ballare. Danza, danza, piroetta, piroetta. L’incredibile diventa una tavolozza che un pittore pazzo getta a terra e calpesta. Il suono del calpestio annuncia una pioggia mite e sorridente.

Un diffuso piacere si espande tra gli squarci di bianco e celeste, di grigio e nero. La terra umida come una guancia che ha pianto tanto emana un odore così buono che… si tira un sospiro di sollievo e di incanto. Piegando le narici sempre più in basso si sente che la vita sta nelle viscere dove i vermi si annidano e si difendono. Toccare, poi, non si può. Fa male quel cielo oscuro che sembra non voler aver nulla a che fare con chi dorme un sonno profondo sognando una luna che maternamente accompagna i suoi figli anche se piove. Passi nel fango, passi sotto l’impietosa decisione di non far vincere i petali abbattuti, agonizzanti. Il cataclisma non può essere arginato. Dunque, lo si lasci suonare a suo piacimento. Quando, poi, la musica s’incontrerà con la tempesta saranno fulmini, rullio di tamburi, boati di cannoni, batter di denti e di persiane. In questi casi è sempre bene lasciare che le nubi scarichino il loro inevitabile carico e che i soliti scemi del villaggio chiudano i loro orribili ombrelli.

Poi, segue, come sempre, una ingannevole pace. I colori torbidi si lasciano andare in fantasie bizzarre, strampalate, che nulla hanno a che fare con la premessa, le prime pennellate. La pace non è mai un colore, piuttosto una sfumatura, un sottofondo, il tentativo inutile di preparare un paesaggio che non esiste se non nei disegni preparatori. La pace è nelle mani dei compromessi, negli impasti cromatici che non funzionano quando l’alchimia non segue le giuste formule. In una grande tela sporca i segni della violenza sono riscontrabili nei bordi dove chiodi rugginosi hanno divorato una firma tremolante, da vecchio, e i primi colpi di colore. Il tessuto si è come allargato facendo intravedere un enorme lavoro di idee disegnate, cancellate, graffiate, gettate via solo perché a lei quella gamba mezza nuda non piaceva. Si resta un po’ mortificati, avviliti, depressi, privi di quel brio che è necessario avere se si vuole che una atmosfera venga fissata, immortalata, ostentata per l’eternità. Si vedranno allora pittori, giovani e squattrinati, imprecare contro il Cielo e la madre, diventare pazzi, finire nelle bettole, ubriachi, spogliati da donnacce di tutti i loro averi. I loro piccoli quadri autunnali verranno venduti all’asta un anno dopo la loro morte.

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