di Vincenzo D'Alessio
Teresa Cremonesi: Fra cortili e vicoli negli anni ’40 FaraEditore 2015
Cara Teresa, realizzo la recensione del tuo libro in forma epistolare, anche in considerazione delle distanze che ti hanno portato oggi a vivere in Bolivia, presso la Fondazione Casa del Almendro dove accogli bambini con problemi psicofisici; dove è presente un laboratorio di sartoria; un giardino d’infanzia e altre strutture che vorresti realizzare per aiutare l’umanità svantaggiata di questo pianeta e recuperare nicchie di vita.
La tua infanzia è simile a quella di tanti di noi nati subito dopo la Seconda Guerra Mondiale: stessi giochi, grande semplicità, amore per il sacrificio, rispetto profondo per gli anziani, scavezzacollo nei cortili, lungo l’argine dei torrenti alla ricerca di emozioni subacquee, sempre pronti al gioco: forza ludica che ci ha accompagnato fino alla maturità.
La differenza sostanziale è che noi non abbiamo conosciuto la Guerra, come è stato per te. L’unico ricordo che abbiamo dei bombardamenti del 1943 è stata la carneficina operata dai cosiddetti alleati il 21 settembre di quell’anno: ancora una volta dissero che era stato un errore dei piloti dei bombardieri; di fatto morirono nella nostra cittadina quasi cinquecento tra abitanti e sfollati, molti erano bambini.
La lettura del diario/dialogo con te stessa mi ha introdotto nella tua vita privata, in quella del cortile dove sei vissuta , di fronte al volto di mamma Ernesta e di nonno Isaia. Ho imparato il tuo dialetto, non dissimile dal mio, ho sorriso intensamente dei tuoi traguardi personali e delle lotte contro la fame e i pericoli che quei terribili anni di guerra hanno portato.
Lo scorrere del tuo tempo è divenuto il mio che leggevo. Le persone prendevano corpo e la gioia era un’energia incontenibile. Belle poi le poesie che hai disposto ad ogni capitolo del tuo diario/dialogo, alcune in prosa altre in rima alternata che davano un senso nella traduzione dal dialetto della sponda dell’Adda.
Praticamente mi sono trovato di fronte al testamento dei tuoi anni.
Pagine indimenticabili di vita vissuta intensamente, senza sconti e con la rapsodia dei lavori campestri, di quella Civiltà Contadina che ha sfamato milioni di esseri umani, mai sazia delle loro fatiche.
Poi sono arrivate le fabbriche e la superproduzione. Molti lavori domestici hanno subito stravolgimenti, come quelli legati alla conduzione delle terre e dei fiumi.
Le pagine dove mi sono fermato, come di fronte ad un muro cieco, sono quelle legate alla scomparsa della tua mamma Ernesta: la commozione mi ha trascinato in fondo ai tuoi occhi, a quelli di tuo padre Isacco, dei tuoi fratelli e dei famigliari.
Una descrizione amara della morte per tetano e quella piccola luce di speranza che si apriva con la venuta degli alleati che portavano “la muffa che guarisce”. Noi l’abbiamo conosciuta dopo con il nome di penicillina.
Cara “Togna”, come ti chiamano ancora oggi i ricordi dai fogli di questo capolavoro biografico, credo proprio che hai fatto bene a consegnare alla Storia degli uomini la tua storia singolare e al tempo stesso emblematica per il genere umano.
Quando l’Umanità imparerà dai propri errori e non farà più guerre ?
Quando le storie, come la tua , saranno scritte nei libri di scuola e saranno lette da tanti bambini, allora abbandonati e destinati agli orfanotrofi, oggi muniti dei mezzi di comunicazione di massa che permettono loro di guardare lontano ( non sempre vicino)?
Ti ringrazio, di vero cuore, per quanto ci hai donato nel tuo lavoro che ha anche una rilevanza linguistica: consegna alle generazioni attuali il dialetto di quei cortili e vicoli degli anni Quaranta, della tua Vaprio d’Adda a poca distanza dalla centralissima Milano.
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