AA.VV., Girovaghi, musicanti e musicisti della valle dell’Agri, Grafiche Zaccara, Lagonegro (PZ), novembre 2013
recensione di Vincenzo D’Alessio & G.C.F.Guarini
Ho la buona abitudine di disporre nella biblioteca i volumi letti sistemandoli per anni durante i quali mi sono giunti.
Il volume Girovaghi, musicanti e musicisti della valle dell’Agri mi fu inviato dall’amica ricercatrice professoressa Teresa Armenti, la quale da anni con la collega Ida Iannella, ha collaborato alla crescita di Castelsaraceno (PZ) rendendolo un polo d’attrazione per i cultori di antropologia, archeologia, poesia, storiografia ed etnologia all’interno della Valle del fiume Agri. Il lavoro continuo, svolto dalle due ricercatrici da oltre quarant’anni, è visibile nelle molteplici pubblicazioni realizzate.
Una prima recensione a questo volume l’ho realizzata nel giugno del 2014 (vedi narrabilando.blogspot.it) con il proposito di riprendere l’analisi del testo al fine di valorizzare il dialogo tra narratore, musicista e musicologo, Graziano Accinni e l’ascoltatore, sua figlia Domenza. Il dialogo familiare tra padre e figlia mi ha riportato l’importanza che assume la trasmissione della memoria sugli eventi dolorosi per chi li ha vissuti rispetto a chi li ascolta. Chiaro a questo proposito è anche il riferimento al volume di Teresa Armenti Mio padre racconta il Novecento (pubblicato nel 2006) dove il dialogo, padre-figlia, avvia la cronologia storico antropologica degli avvenimenti.
In entrambi i volumi non viene trattata una singola storia famigliare ma la Storia di un intero popolo e di un’intera regione, la Basilicata, con la passione di chi ha coltivato da bambino l’Arte della Musica attraverso il contatto visivo/uditivo con i musicisti, gli strumenti, i racconti, il cammino sulle stesse strade. Mi soffermerei principalmente su questo punto perché il cammino assume i connotati di quella perdita umana che va sotto il nome di “emigrazione”: un costante dissanguamento di famiglie, affetti, cognomi e piccoli esseri viventi.
Scrive Graziano Accinni nell’apertura al testo: “Ho la musica nel sangue. La respiro da tutti i pori. La sento nei boschi, nel suono del piffero di un giovane pastore, nel gorgoglio dell’Agri, nei sibili del vento, nel fruscio delle foglie. Volgo lo sguardo dalla mia amata Moliterno verso il monte sacro di Viggiano mi attrae il dolce suono dell’arpa.” (pag. 15)
Scriveva a metà dell’Ottocento un grande sacerdote/poeta, Pietro Paolo PARZANESE, italiano per avere subito le persecuzioni della polizia borbonica fino a ridurlo in fin di vita, nella sua raccolta Canti del Viggianese questi versi: “Ho l’arpa al collo, son viggianese; / tutta la terra è il mio paese. / Come la rondine che lascia il nido, / passo cantando di lido in lido: / e finché in seno mi batte batte il cor / dirò canzoni d’armi e d’amor.” (Il viggianese).
PARZANESE aveva sperimentato di persona, raggiungendo Viggiano e il circondario, che l’Arpa e l’Arpista erano i protagonisti dei suoi versi, come lo sono nel volume curato da Accinni, Armenti e De Stefano.
Il contesto antropologico mi ha fatto soffrire moltissimo, anche se i critici non dovrebbero cedere ai sentimentalismi, poiché non solo mi ha ricordato il cartone animato Remì tratto dal romanzo Senza Famiglia di Hector Malot (1878) quanto la trasposizione cronologica che ne trae Accinni a pag. 40: “(…) Per questo quando incontri qualche extracomunitario, quando i lavavetri fermano la macchina e insistono, con il panno in mano e gli occhi imploranti, pensa ai nostri musicanti girovaghi, trattali con gentilezza, non avere pregiudizi su di loro.”
Cara Teresa, che leggerai questa sintetica recensione al bellissimo testamento tragico musicale che avete realizzato fissando le Note nel tempo e nello spazio, accogli il mio perdono (per non essere con Voi) rivolto al pubblico presente in sala, ai relatori e alle armonie degli Assenti: questa immensità di anime che raccontano piccole e grandi storie di gioie, professionalità e destini che si incrociano.
Ripeteva un sacerdote a me caro: “Chi è breve è bravo!”
Allo stesso modo vorrei che il mio breve dialogo con gli intervenuti; la musica che Accinni affiderà al suo strumento, servano a riportare alla mente la bellezza del popolo dell’amata Lucania e l’insulsa povertà, voluta dai potenti, vissuta accanto all’emigrazione, la quale continua a privarci delle forze più belle della gioventù meridiana.
Concludo associando alla voce narrante di Accinni quella del Poeta che ha vissuto e trasposto in Poesia la forza silenziosa della Civiltà Contadina Meridionale, Rocco SCOTELLARO:
(…)
Ma nei sentieri non si torna indietro.
Altre ali fuggiranno
dalle paglie della cova,
perché lungo il perire dei tempi
l’alba è nuova, è nuova
(da Sempre nuova è l’alba)
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