recensione di Subhaga Gaetano Failla
Il libro di recente pubblicazione Doppia esposizione. Berlin 1985-2015 di Natascia Ancarani (Edizioni
del Foglio Clandestino, 2015), con note di Franco Romanò e Sergio Lagrotteria,
134 fotografie di diversi fotografi e un’appendice che raccoglie poesie di vari
autori, ci accompagna in un viaggio emozionante e appassionato, dove il passato
e il presente berlinese si sovrappongono in un’unica visione. Il limite della
nostalgia è delicatamente sfiorato in bagliori lirici intensi e al contempo
misurati.
“Come malati di strabismo” scrive Natascia Ancarani
nelle prime pagine del volume “sdoppiamo l’immagine che percepiamo, vediamo il
presente e il passato. Per noi, malati del passato, la città scomparsa traluce
ancora dalla città appena ricostruita, come una doppia esposizione, come un
fantasma fotografico registrato in altro tempo che si sovrappone al presente.”
L’Autrice, in tale visione, intreccia una parte della
propria vita trascorsa a Berlino con la storia della città prima della caduta
del Muro e dopo la “svolta” del 1989, sempre attenta al valore del distacco,
della distanza necessaria affinché la testimonianza e la narrazione abbiano la possibilità
di essere trasmesse. Il soprassalto delle emozioni traspare distillato in una
scrittura cristallina, in un racconto che trascende i destini limitati dei
personaggi per divenire emblematica narrazione universale.
Nel libro compaiono le persone incontrate
personalmente dall’Autrice e quelle presenti nelle testimonianze altrui, in un
continuo oscillare tra storia individuale e collettiva, quest’ultima
sottolineata dai ripetuti tentativi di creazioni di comunità urbane alternative
al Moloch della storia dominante. Baluginano, nelle pagine di Natascia Ancarani,
le vite degli occupanti di case, degli abitanti dei quartieri autogestiti che
difendono e ricreano insieme i propri spazi, le esistenze di artisti, di punk,
di tutta una vasta popolazione di outsider
alla ricerca di un tempo svincolato dal dominio assoluto della Merce e dello
Stato, per vivere il momento dell’ozio fertile e contemplativo, della
creatività, il tempo illimitato della festa e della celebrazione gioiosa.
L’Autrice si sofferma in modo particolare su due
vicende simboliche, complementari negli esiti esistenziali, di tale tentativo
collettivo, le vite di due artisti i quali in diversa misura hanno lasciato e
lasciano ancora importanti tracce nell’arte contemporanea: Peter Woelck e Tina Bara. Attraverso la loro vita, Natascia Ancarani ci mostra da varie prospettive
le storie di solidarietà e di disgregazione, prima e dopo la caduta del Muro,
le speranze proiettate in quel che l’Ovest avrebbe potuto offrire, talvolta la rigenerazione
esistenziale in accordo con le trasformazioni storiche, l’incontro, mai
totalmente e intimamente compiuto, tra le due Berlino, la fine del solidarismo
e la distruzione dell’identità creativa, cresciuta tra resistenza ed
espressività, delle comunità alternative dell’Est, la dispersione di individui
e gruppi, come in una sorta di recentissima diaspora sconosciuta, l’oppressione
sovietica che svanisce e quella capitalistica che riappare pervasiva e
assoluta.
In tale situazione si dissolve l’utopia collettiva di
un mondo festoso libero dagli artigli di due Moloch.
Doppia
esposizione, sebbene sia stato pubblicato da poco, ha già ricevuto
importanti riconoscimenti. Il libro, bello e delicatissimo, lascia nell’animo
del lettore la risonanza d’una melodia triste che svela infine la sorgente
d’una segreta e smisurata dolcezza.
Il volume si chiude con la narrazione vivida e
commovente d’un incontro tra l’Autrice e alcuni suoi amici dell’Est, avvenuto a
Berlino nell’inverno del 1998, presso un Caffè, somigliante a una straniante e
grottesca ricostruzione teatrale, che si chiamava “Nostalghia”. I suoi amici,
scrive Ancarani, sapevano “sorridere con leggerezza anche della nostalgia, come
di tutto il resto. Erano contenti della caduta del Muro, ma erano come sospesi
nel vuoto e per non cadere dovevano voltarsi: tenere gli occhi fissi al passato
imperfetto che era stato tutta la loro vita, non ne avevano un’altra.”
E quel sorriso rivolto alla comicità della vita e al
suo aspetto assurdo, muovendosi nell’esistenza come vecchi acrobati, viene reso
tra di loro più vasto e profondo, in quell’ultimo incontro berlinese, dalla
condivisione delle storie vertiginose e funamboliche di Daniil Charms e István
Örkény.
lettura suggestiva e appassionata, grazie
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