giovedì 19 giugno 2014

Su Il matrimonio di una volta di Teresa Armenti

Printer, Solofra (AV), 2014

recensione di Vincenzo D'Alessio



Nasce come un grande racconto il libretto della ricercatrice lucana Teresa Armenti dal titolo Il matrimonio di una volta, Tipolitografia Printer, Solofra, 2014, ricco di tanta saggezza, bellezza, pace, per quel passaggio sociale che il poeta Ugo Foscolo cantava nel Poema I sepolcri : “(…) Dal dì che nozze e tribunali ed are / diero alle umane belve esser pietose / di se stesse ed altrui”, come gesto di profonda civiltà ed incipit delle tradizioni.

Si tratta proprio di tradizioni che rischiano di scomparire nelle piccole comunità come quelle prese in esame dall’Armenti nella Lucania a lei tanto cara. Il cuore è attraversato da un fulmine di memorie: i giovani di oggi non potranno assaporare il calore dei sogni che animavano allora l’attesa del gran giorno. Le pagine di questo capolavoro dovrebbero essere lette nelle scuole secondarie, agli adolescenti di oggi che barcollano davanti ad un mondo di immagini. Ben altra cosa è la realtà descritta dall’autrice!

Il matrimonio non era, e non è, solo il ruolo della madre (mater munus). La famiglia aveva ed ha un senso quando la madre imprime tutta la sua giovane energia per permettere allo sposo di continuare geneticamente la discendenza, economicamente l’edificio famigliare, moralmente la serenità coniugale. La storia dell’occasione, data dal matrimonio, è articolata pagina dopo pagina. Si potrebbe leggere questo libretto d’un fiato, invece si è condotti per mano lungo le strade dei piccoli paesi a fare parte corale dell’avvenimento.

Veramente bello! Peccato che oggi la severità di quei costumi non è più di moda, è superata, nella buona come nella cattiva sorte! La storia è associata al registro delle tradizioni locali: culinarie, sociali, economiche. Per chiarezza di racconto si riscontrano vicende storiche confrontabili con tutto il meridione della nostra penisola. Ad esempio nel capitolo “Canti d’amore per serenata” ricorre il termine soldo
che trova corrispondenza in tutta l’area meridionale; come il non poter consumare cibi pascali (insaccati, carni, uova) durante la Quaresima nel canto: “T’aggio portato ‘na canzona nova. / Alzati, bella mia, e dammi l’ova.” – cantata la notte del Sabato Santo quando dopo la lunga astinenza si aspettava che suonassero le campane a mezzanotte per potersi nutrire con i cibi di Pasqua.

Ricorre ancora un detto utilizzato fino agli anni Settanta del Novecento in molte comunità contadine: “Casa quanto stai e terra quanta nn’ i viri” (capitolo: “I patti della dote” ) dove il lavoro dei campi imponeva di accontentarsi del necessario senza esagerare poiché si rischiava di non poter onorare i debiti contratti per l’acquisto di altra terra o di un'altra casa. Il corredo della giovane sposa realizzato interamente e pazientemente a mano; la serenità dei preparativi da parte di tutta la comunità affinché le giovani coppie non restassero nella povertà e i figli non morissero nella miseria.

Che grandezza d’animo! Sembra un mondo così lontano da noi, dai nostri inquieti giorni di violenze sessuali, di divisioni sulla pelle degli innocenti venuti in questo mondo. L’occasione di un matrimonio, descritto nelle profumate pagine del lavoro storico-antropologico di Teresa Armenti, sembra veramente quello “di c’era una volta” come accadeva nella fiabe: un mondo quieto sospeso in un tempo indeterminato. Anche in questo mondo ci saranno state le divisioni, le sofferenze, l’uxoricidio, ma la comunità era coesa, più vicina ai giovani, protesa nello sforzo comune affinché prendessero il volo con le proprie forze.

Pier Paolo Pasolini affrontava negli scritti degli anni Sessanta la scomparsa della Civiltà Contadina . Rocco Scotellaro nelle sue poesie cantava: “(…) Altre ali fuggiranno / dalle paglie dalla cova” (Sempre nuova è l’alba) l’emigrazione forzata del Novecento. Teresa Armenti, in questo lavoro, ci riporta con dolcezza nelle pieghe di un ricamo impigliato dentro l’uscio di una porta che si è appena socchiusa, dove il tramestio delle mani indaffarate hanno dato vita ad una sacralità che difficilmente scomparirà dalla memoria.

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