Una millenaria narrazione siciliana
“svela” la tomba di Minosse
“L’alone di leggenda e mistero che pervade la montagna hanno
sempre mosso il mio interesse ed esercitato sulla mia mente, sin da
adolescente, una forte attrazione fascinatoria. La bellezza del luogo, unita a
vistose tracce di una storia passata e di testimonianze orali raccolte dagli
abitanti e dai frequentatori del sito, mi hanno indotto a ricercare l’esistenza
di consistenti vestigia riferibili alla fine infausta del re.”
Così Rosamaria Rita Lombardo, docente nei licei e qui nelle vesti (che parimenti le si
attagliano) di studiosa e di ricercatrice, la quale invero non avrebbe potuto,
in termini più succinti e al contempo significativi, approntare una più
efficace presentazione della sua opera.
Ampliare il rapido superiore proemio e soffermarci un po’ sugli
aspetti più avvincenti del libro è l’ufficio che ci siamo oggi proposti. Ma prima
una irrinunciabile considerazione; considerazione che compiutamente si cala nello
spirito di quelle pagine e ci autorizza a ubicare le vicissitudini narratevi in
una più vasta straordinaria cornice: il Mediterraneo, il mare nostrum, culla della civiltà occidentale, centro del mondo allora
conosciuto. In questo bacino peraltro (secondo la seducente tesi sostenuta da Samuel
Butler sul chiudere dell’Ottocento, in più circostanze poi ripresa nel corso
del Novecento e in anni recenti recuperata da Nat Scammacca e da altri studiosi,
che a Trapani nel 1990 e nel 2000 hanno organizzato due convegni di studi
internazionali) si situano Le origini
siciliane dell’Odissea.
Di quale montagna e di quale sito si ragiona? A che periodo
risale il suo interesse? A quale sovrano si allude?
“Il feudo – scrive l’autrice – finì con l’essere
provvidenzialmente acquistato dalla mia famiglia”. E puntualizza: “Monte
Guastanella [venne] acquistato da mio padre nel 1947.”
Quel “provvidenzialmente”, c’è da scommetterci, è messo lì a
bella posta col proposito di sgombrare il campo da ogni ipotesi riconducibile a
un evento fortuito, a una mera casualità e intende suggerirci, d’un lampo, il
senso della predestinazione, dell’investitura, dell’ineluttabilità quanto al
suo coinvolgimento emotivo, personale, professionale nella intera vicenda. L’avverbio,
per di più, trova fausta sponda cronologica nell’inciso “sin da adolescente”,
che rimarca le origini remote del suo slancio.
Si discorre palesemente di un possedimento, nel quale
insiste un’altura (mt. 609 s.l.m.), di proprietà della famiglia della autrice
sin dal 1947. Ma, contrariamente a quanto di primo acchito potrebbe apparire,
non di un affare privato si tratta, non di un’opera autobiografica; le didascalie:
“evento realmente accaduto” e “tradizione leggendaria testimoniata dalle fonti
classiche” ci danno fondato motivo di rivolgere altrove, in una dimensione del
passato allocata fra Mito e Storia, la nostra attenzione.
D’altronde tutti gli elementi disseminati nel corpo della
narrazione, oltre a consentirci di avvicinarci progressivamente al clou della
storia, di definirne ogni prezioso singolo carattere, concorrono in questa
direzione e ne circoscrivono il perimetro dell’azione. Degli esempi: “Un lungo lavoro di ricerca condotto in un sito
ubicato nell’area agrigentina, le cui risultanze inducono a supporre che esso sia il luogo di sepoltura del re”; “Alle
falde della montagna denominata Guastanella c’è una piccola necropoli”; “I
fabbricati e le mura creano un perimetro di circa 200 metri che include un’area
di circa mq. 1.200”; “L’insediamento è inserito nelle contrade agrigentine di
Raffadali e Santa Elisabetta. A nord del sito scorre il fiume Platani, che
secondo gli studiosi dovrebbe identificarsi con l’Halycos delle fonti”.
Il volume consta di oltre 110 pagine ed è suddiviso in
quattro capitoli: La saga di Minosse in
Sicilia. Le fonti; Storicità del mito
e sue implicazioni archeologiche;
Revisione interpretativa del mito e nuova localizzazione dei siti dell’antica
saga; Memoria mitica della
tomba-tempio di Minosse e sua possibile ubicazione. Identificazione e collocazione di Camico. Gli stessi sono preceduti
dai Ringraziamenti e da una Premessa e seguiti dalle Conclusioni, da una Appendice, dalla Bibliografia
e dall’Elenco delle Tavole.
Sin dal sottotitolo, col verbo “svela” compreso fra
virgolette, Rosamaria Rita Lombardo, benché “consapevole dell’eccezionalità
dell’ipotesi avanzata”, malgrado la serietà della “indagine topografica,
toponomastica, idrografica e folklorica, effettuata sul territorio in cui
l’insediamento risulta inserito”, palesa a più riprese la propria prudenza (“la prudenza è d’obbligo. Saranno il vaglio, l’esame
e l’approfondimento critico che la comunità scientifica vorrà riservare a
questa ricerca ad emettere il verdetto finale”),
anticipa le perplessità che altri potrebbero avanzare sul suo lavoro, il quale
(non ha remore a dichiarare) “nasce da una vocazione archeologica romantica e
irregolare, lontana dagli apparati e dai dogmi dell’archeologia ufficiale”.
“Pur conscia della scientificità della conduzione di gran parte dei miei studi –
ci confida – ho avvertito il disagio del lavorare in solitudine, del pervenire
a conclusioni interpretative che potrebbero apparire o troppo assertive o
troppo vaghe, se non addirittura visionarie”. Questo lavoro d’altronde, nel
realizzare il quale “ho seguito la voce del mito, ho sentito, scorto e visto
cose dove altri credevano fosse il nulla, non ha alcuna pretesa di
rappresentare un elemento inconfutabile” e si presenta piuttosto come “un
contributo all’interpretazione di un passato finora avvolto di mistero”, una monografia
volta a sottrarre all’oblio e al silenzio “il
segreto del re cretese Minosse”, un’analisi intesa a “ridare
identità storica alla leggenda che sul
Monte Guastanella da
millenni aleggia”.
Controversa e tutt’oggi di difficile lettura l’etimologia del nome Guastanella.
“Guastanella, volgarmente Uastanedda, Vastanedda o Guastanedda – sostiene Rosamaria Rita
Lombardo – ritengo che fosse in antico Wuastanedda, etimo a mio avviso di
matrice minoica che, costituito dal prefisso wa-, abbreviazione di wanax (re) o wanakatero (regale), nonché da stan
(dimora, luogo, città), radice del verbo cretese στανύομαι, significherebbe
città del re”.
La spinta iniziale, quella “da cui hanno preso avvio le mie
indagini” circa “la memoria mitica della sepoltura di un re sul Monte
Guastanella”, quella desunta dalla “tradizione orale rivelatami, io allora
appena quindicenne, dai miei genitori [Nicolò Lombardo e Giuseppina Gueli]”,
quella sentimentale pertanto, mirabilmente si fonde con la sfera esistenziale della
stessa autrice.
Quasi un obbligo morale, così, pressoché un dovere, suffragare
un mito cresciuto passo passo con lei, affermare il trasporto emotivo nei
confronti del sito che sente ed è della sua famiglia, suo, porre nel debito risalto
quell’insediamento. La prudenza, della quale poc’anzi s’è fatto cenno,
felicemente, rileviamo, si combina con l’entusiasmo e con la fierezza per l’impresa
(con la pubblicazione dell’odierno volume) condotta in porto; fierezza che si coniuga
con l’amore per la propria terra, la Sicilia, e per le scaturigini di essa che
affondano, si permeano, si arricchiscono di mito e di storia. Il tutto corroborato
da una spigliata, compiaciuta venatura di orgoglio, tanto che il libro è stato
scritto in prima persona: “le mie indagini; questa mia avventura; ho
intrapreso; il mio monte; ho ispezionato; le mie supposizioni”, eccetera.
È tempo adesso di entrare nel vivo del tomo e un antefatto ce
ne spianerà la strada.
Esiliato da Atene e rifugiatosi a Creta, Dedalo costruì per
Minosse il labirinto, nel quale il re rinchiuse il Minotauro. Questi, un mostro
che aveva corpo di uomo e testa di toro, era figlio di un toro, inviato da
Poseidone a Minosse, e della moglie di quest’ultimo, Pasifae, per la quale
Dedalo aveva costruito una vacca di legno dentro la quale celarsi per ingannare
il toro. Spaventato e vergognandosi per la nascita di quel mostro, Minosse fece
costruire da Dedalo il labirinto, un immenso palazzo composto da un intrico di
sale e corridoi, del quale era impossibile a chiunque trovare la via di uscita.
Sappiamo, nondimeno, che Teseo uccise il Minotauro e con l’aiuto di Arianna,
figlia di Minosse, e appunto di Dedalo riuscì a venirne fuori. Appreso dell’inganno,
Minosse fece imprigionare Dedalo e il figlio di costui, Icaro, ma i due (è
notorio) se ne volarono via. Perito miseramente nel mare Egeo Icaro, le cui ali
di cera si sciolsero al sole al quale troppo si era avvicinato, Dedalo giunse
sano e salvo in Sicilia.
Vale la pena, in argomento, di rispolverare qualche schematica
nozione sul labirinto.
Nel mondo greco-romano di età classica, con tale termine si
designava un impianto che era ad un tempo residenza reale e luogo di culto con
spiccata valenza funeraria. La complessa pianta della costruzione costringeva
coloro che vi entravano a tornare continuamente sui propri passi, non potendo più
trovarne la via d’uscita; fuggire dal labirinto sembrava significasse
reincarnarsi.
Diodoro Siculo riferisce che Dedalo abbia visitato l’Egitto
e, colpito dall’abilità ivi raggiunta nell’arte edilizia, abbia in seguito
costruito per il re di Creta Minosse, a Cnosso, un labirinto, simile a quello
egiziano, che presentava la triplice funzione di reggia, centro amministrativo
e luogo di culto. In Egitto, ragguaglia Plinio il Vecchio, nel distretto di Eracleopoli,
ne sopravvive uno (quello del quale Dedalo ebbe ad imitare l’intricata
struttura, eretto molti anni prima per iniziativa del re Mendes o Marrus), che fu
il primo a essere costruito. Nulla per contro rimane di quello di Creta, che fu
il secondo.
“L’infelice fine del re cretese Minosse!” È questo il fulcro
del libro, questa la chiave di volta della intrigante avventura (nella quale tutti
noi, protagonisti, autrice e lettori, siamo stati visceralmente coinvolti) che
ci introdurrà alle suggestioni che Rosamaria Rita Lombardo ha colto e ha
trasferito per noi su carta. Minosse, stante a quanto tramandato, perì di morte
violenta in terra di Sicilia. Fuggito, infatti, Dedalo da Creta – ci
riallacciamo così all’antefatto appena esposto – e riparato in Sicilia a Camico
presso il re Cocalo, Minosse allestì una ingente flotta e partì alla sua ricerca.
Giunto in Sicilia e insediatosi a Makara, città chiamata poi Minoa in suo
onore, Minosse si recò a Camico. Il re di
Creta escogitò uno stratagemma per fare uscire allo scoperto l’ingegnoso
costruttore: portò con sé una conchiglia di tritone e
promise una ricompensa a chi fosse capace di farvi passare da un capo all’altro
un filo di lino; egli sapeva che soltanto Dedalo era in grado di riuscirvi. Propose al re sicano Cocalo la gara. Il re accettò
la sfida e passò nascostamente la conchiglia a Dedalo che, solleticato nella
sua vanità, sciolse il rompicapo. Egli spalmò del miele all’interno della
conchiglia a forma di chiocciola, vi praticò un forellino in cima e vi immise una
formica alla quale aveva legato un filo di lino. L’animaletto, attratto dal
miele, si intrufolò nei meandri del guscio portando con sé il filo. Dedalo
riuscì a far vincere la gara al re Cocalo, ma si tradì rivelando
implicitamente il suo nascondiglio. Il talassocrate
cretese comandò a Cocalo che Dedalo gli
fosse consegnato, ma le figlie di Cocalo, non volendosi privare
dell’artefice che costruiva per loro splendidi balocchi, tramarono col suo
aiuto ai danni di Minosse. Dedalo introdusse un tubo nella stanza da bagno di
questi e attraverso esso versò acqua bollente o, come altri sostengono, pece
bollente su Minosse che stava facendo un bagno termale.
L’autentica passione per l’ammaliante materia dissertata non
si creda, però, che sortisca l’effetto di fuorviare le virtù professionali dell’autrice,
la sua lucidità nello schierare sul campo e mettere in relazione impressioni,
deduzioni ma soprattutto fonti.
Da esigente,
coscienziosa studiosa quale lei è, Rosamaria Rita Lombardo destina largo spazio
alle fonti, le quali sono meticolosamente riportate allo scopo di dare man
forte, di accreditare, di asseverare
la bontà delle sue risultanze. Solo alcune a mo’ di esempio. Eraclide Lembo,
29, F.H.G. II: «Minoa, in Sicilia, era dapprima chiamata Makara. Minosse, venuto
a sapere che Dedalo colà si era rifugiato, partì con una flotta e approdatovi,
dopo aver risalito il fiume Lykos, si
impossessò della città»; Aristotele, Politica, II B, 1271b: «Minosse, avendo
intrapreso la conquista della Sicilia, vi morì presso Camico»; Erodoto, VII, 170:
«Minosse, giunto in Sicilia, alla ricerca di Dedalo, vi perì di morte violenta». Ma
è di Diodoro Siculo, IV, 79, l’asserzione risolutiva per il prosieguo: «Minosse,
allorché informato della fuga di Dedalo in Sicilia, decise di fare una
spedizione contro l’isola. Preparata una considerevole forza navale, approdò in
territorio di Agrigento, nel luogo chiamato da lui Minoa. Minosse reclamava
Dedalo per punirlo. Cocalo lo invitò a un incontro e, mentre Minosse era al
bagno, lo uccise. Restituì quindi il corpo a coloro che lo avevano accompagnato
nella spedizione, adducendo come causa della morte il fatto che fosse scivolato
nel bagno e caduto nell’acqua bollente. Costoro seppellirono il corpo del loro re
con grande pompa: edificarono un duplice sepolcro e posero le ossa nella parte
nascosta, mentre in quella scoperta costruirono un tempio ad Afrodite».
Sottolineato che il Lykos o Halycos dei Greci, l’Iblatanu
per gli Arabi, è oggi conosciuto quale il (menzionato) fiume Platani, ancora una stimolante digressione.
Dante
recupera Minosse, “orribilmente, e ringhia”, e lo piazza nel Canto
quinto, secondo cerchio dell’Inferno della
Commedia. Considerato un servitore della volontà divina, egli è il giudice infernale
che giudica i dannati; costoro infatti gli confessano le loro colpe e Minosse,
gran conoscitor de le peccata, decreta attorcigliando la coda attorno al
corpo tante volte quanti sono i cerchi che i dannati dovranno scendere per
ricevere la loro punizione. Vedendo Dante, Minosse tenta di farlo desistere dal
proseguire, avvertendolo di guardarsi dal fatto che sia stato facile entrare
nell’Inferno e di diffidare di colui che lo guida. Virgilio prende allora la
parola, lo ammonisce severamente a non ostacolare un viaggio voluto dal Cielo e
proferisce i due famosi, superbi endecasillabi: Vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole e più non dimandare. Sebbene descritto con i tratti grotteschi di un mostro,
Minosse tiene un atteggiamento solenne e sparisce di scena compostamente.
Con tante salde premesse e con le seguenti ulteriori valutazioni:
“La saga di Minosse e Cocalo, della cui storicità nessuno degli autori antichi
ha mai dubitato”; “È
facile individuare il possibile teatro della leggenda nel territorio
agrigentino lungo la media valle del fiume Platani”. “Cretesi [furono i] fondatori di Gela e di Agrigento”, si
perfeziona la scommessa di Rosamaria Rita Lombardo, tramata in anni di fervidi studi,
tesa ad argomentare, documentare e comprovare la “tradizione leggendaria relativa
alla sepoltura di un re, dal nome Mini Minosse, nelle viscere di Monte
Guastanella”.
Si avvale lei e ci gira la tradizione orale in dialetto
siciliano tramandatale, sin dalla più tenera età, dal suo compianto papà: “Lu re Mini-Minosse è / drivucatu intra la
Muntagna di Guastanedda. / È tuttu chinu d’oru / e quannu lu scoprinu / iddu
addiventa un Crastu d’oru / e unu av’arrimaniri (Il re Mini-Minosse è
sepolto nella montagna di Guastanella. È tutto pieno d’oro e quando lo scoprono
egli diventa un capro d’oro e uno degli scopritori dovrà sacrificare la propria
vita)” e quanto al curioso nome Mini-Minosse, se esso non si spiega con la
semplice tipicità delle lallazioni infantili e di talune filastrocche popolari
(“tale nome veniva una volta usato, soprattutto dalle
persone anziane della zona, per impaurire i bambini capricciosi. Si diceva
loro, appunto: “Attenti ca veni
Mini-Minosse!”, intendendo con ciò evocare la figura di uno spirito maligno punitore e
vendicatore, una sorta di orco mitico”) o con la “corruzione linguistica prodottasi nei secoli, può
comunque essere giustificato col raddoppiamento della prima sillaba che si
registra sovente in taluni nomi minoici (si veda Acacallide da Acallide, figlia
di Minosse)”.
La coincidenza fra testimonianze orali e
storico-documentarie aveva bisogno tuttavia, ne è ben consapevole
Rosamaria Rita Lombardo, di un concreto riscontro archeologico.
Diodoro Siculo descrisse il monumento sepolcrale nel I
secolo a.C.; ma, quantunque ciò autorevole, alla Nostra non basta. Ed ecco, lei
ne appronta per noi una minuziosa (che in questa sede, ovviamente, diverrà essenziale)
descrizione, della quale ci avvarremo letteralmente, della tomba-tempio di Mini-Minosse.
“Un rozzo sedile di pietra, di struttura e conformazione
monumentale, chiamato da sempre Il trono
del re, sulla cui spalliera non integra sono in basso leggibili tracce di
inquietanti grafemi, è posto all’ingresso della grotta, al piano superiore,
denominata B. Grazie a una appassionata ricostruzione grafica al computer, mi è
stato possibile individuare diverse interessantissime immagini. Nella parte
centrale del pannello roccioso sembra notarsi una figura femminile, con
elaborata acconciatura e a seno nudo, attorniata da disegni di capre e bovidi;
lettura, per la verità, opinabile anche se non visionaria, per la difficoltà di
focalizzazione. Accanto a tale figura muliebre (che pare appartenere a un
panorama iconografico del Mediterraneo orientale, specificatamente cretese) si
scorge in alto a sinistra una figura miniaturistica in corsa che tiene fra le
mani un oggetto di forma cornuta. In alto a destra, ben evidente, si staglia la
figura di un uomo dal copricapo piumato, con le braccia disposte quasi a croce
e il corpo tondeggiante dalla vita scoperta. La foggia del copricapo piumato sembra
essere in rapporto di forte parallelismo e analogia iconografica con quella di
taluni elmi tardo minoici e micenei, nonché appartenere a una particolare
simbologia iconografica sacra e regale del mondo minoico”. E rilancia: “Un
altro elemento di intrigante esegesi è costituito dal reticolo tauromorfico che
si trova inciso sul pianoro del monte e che contiene al suo interno una croce o
un segno X vicino alla figura crucciata di un individuo.”
Affascinante! Ma, tirate le somme, a quali conclusioni, “benché
con ineludibile margine di ipoteticità”, perviene Rosamaria Rita Lombardo?
“Sul piano della verità storica
nonché contemporanea allo svolgimento dei fatti narrati (XIII sec. a.C.)” lei
soppesa che debba ritenersi attendibile la saga del re cretese Minosse in
Sicilia; il “Monte Guastanella, caratterizzato com’è
da un’unica via di accesso e da un’eccelsa rupe fortificata sarebbe il sito
della antica Camico, reggia del re sicano Cocalo, definita da Diodoro Siculo φρούριον
(luogo fortificato)”; le “coincidenze strutturali, la specificità
dell’insediamento nell’area agrigentina teatro delle vicende di Minosse e Cocalo,
unita alla tradizione orale della
sepoltura di un re dal nome Mini-Minosse nelle viscere di Monte Guastanella”, hanno finito col confermare e convalidare tale sito come “quello della tomba-tempio del re
cretese Minosse”.
Plaudiamo al pregevole saggio di Rosamaria Rita Lombardo e ci congediamo con una strabiliante coincidenza.
“Nel corso di alcune
ricerche comparative, condotte nell’ambito del presente lavoro, mi sono
imbattuta in un motivo iconografico particolare e quanto mai oscuro, presente
su un’anfora cipriota (anfora Hubbard proveniente da Platani presso Famagosta
e conservata nel museo di Nicosia a Cipro). L’intera scena, a
tutt’oggi non identificata, appartiene, a mio avviso, a un preciso, peculiare e
raro, sul piano del riverbero iconografico, ciclo mitologico: quello appunto
della saga di Minosse e Dedalo in Sicilia, che ha un riflesso interessantissimo
in questa creazione cipriota e trova illuminanti conferme sul piano letterario
(Apollodoro, Epitome, I, 14-15; Zenobio, Proverbi, IV, 92). Databile
alla fine dell’VIII sec. a.C., potrebbe costituire una prova e un elemento
discriminante e decisivo per ritenere la saga del re cretese Minosse in
Sicilia non già una composizione mitica di età storica concepita per
giustificare e nobilitare l’espansione greca in Occidente, bensì un evento
protostorico realmente accaduto, la cui prima risonanza orale e attestazione
figurativa precederebbe di molto la sua posteriore codificazione letteraria.”
Veramente interessante e completamente nuovo alle mie conoscenze. Ringrazio l'autrice, Marco e Alessandro per avermi messo al corente di queste vicende, storiche o meno, comunque stimolanti per un pensieri che non ama fermarsi alla prima meta.
RispondiEliminaNarda
E' un interessante excursus su un argomento che ci sembrava dato, codifificato nei libri di storia.
RispondiEliminaC'era la parte legata al mito, ma ormai sappiamo il processo di formazione degli stessi. Questo Minosse siculo completamente da me ignorato, spalanca altro vedere, dà ragione ad altra cultura.
Grazie a Rosa , a Marco, a Alessandro.
Narda