Giambattista
Bergamaschi
Assolutamente
accattivante il nuovo lavoro che Giambattista Bergamaschi presenta ai
propri numerosi lettori (on line e in cartaceo): La
Pleiade (quasi un giallo letterario),
romanzo breve difficilmente etichettabile, tra l'enigmatico e il
poetico, il drammatico e l'amabilmente umoristico.
Attratti dal suo agile
formato, iniziamo a leggerlo in piedi, su uno smartphone o tablet,
mentre saltiamo da un treno all'altro del metro, e alla fine ci
rendiamo conto di non essere riusciti a “scollegarcene” che a
storia conclusa, dopo aver trascorso una o due orette in
piacevolissima compagnia.
Non
mancano nel procedere del racconto passaggi di un certo impegno
intellettuale o riflessive meditazioni su spaccati di inquietante e
stretta quotidianità, ma ogni capitolo scivola e si installa con
tutta naturalezza su ritmi narrativi che ben presto si impongono con
la necessaria spontaneità del semplice respiro. Intanto... scatta
l'immedesimazione, e quelle sessanta paginette ci giocano un tiro
curioso.
Ogni
capitolo è preceduto da un "suggestivo" (poiché
suggerisce)
cartiglio atto a favorire un'ottimale lettura del medesimo.
Nel
primo, ad esempio, si può [...]
osservare come chi narra una storia inevitabilmente tenda a
rappresentarvisi quale personaggio - principale o comprimario - e,
nello stesso tempo, mal resista alla tentazione di tesservi una sorta
di esistenziale “narratologia”, ovvero inventario di consuetudini
operative proprie di una personale “officina” letteraria,
mentre nel secondo si
dice dell'inspiegabile angoisse che
- benché mista ad una sorta di creativo enthousiasmós -
sempre accompagna la gestazione di ogni manufatto estetico, incluse
la narrazione e la poesia.
Ma si
tratta anche d'altro, non strettamente letterario, come nel terzo
capitolo (Se
ogni mondo è paese, alcuni lo sono più degli altri...),
nel quarto (Dove
si dimostra che molti sedicenti “poeti” son tutt'altro che
squisiti campioni di sensibilità),
nel nono (Dove
si dimostra come anche le più lecite e nobili passioni possano
facilmente sconfinare, per trasformarsi in stupefacenti
allucinogeni),
nel tredicesimo (Dove
si dimostra come nella notte non soltanto le vacche siano nere, ma
anche le persone)
o nel quattordicesimo (I
“controfattuali” non sono che effimeri vaneggiamenti. La speranza
sarà pure l'ultima a morire, ma alla fine crepa anche lei),
per non dire del resto.
Per mano di uno tra i
personaggi del racconto, Luca Sargassi, l'autore ci dice innanzitutto
di sé:
“Scrivo
nei ritagli di tempo, durante i giorni di pioggia, quando la
scrivania e la testa non sono - come di norma accade - eccessivamente
congestionate da mucchi di verifiche da correggere e molto altro;
scrivo a scuola, nelle ore libere, tra una lezione e l'altra, se la
grazia discende sul mio capo come uno spirito santo, o durante il
tempo vacuo e silente d'un compito in classe, dove meno si parla
meglio è, o in attesa del mio turno dalla dottoressa; scrivo durante
un simposio che in venti minuti si riveli decisamente indegno delle
mie rosee aspettative; scrivo la sera, d'estate, in vacanza, sotto
una pergolato, seduto su uno scoglio o al tavolo d'un bar, all'aria
aperta, guardando il mare o la gente che scorre, mentre mi godo un
gustoso toscanello 'premium' (cioè, 'non di tutti i giorni'), di
quelli che una volta la settimana mi concedo - lecito piacere,
povero, semplice e comune, ben più appagante di tanti disgustosi
bagordi di lussuriose e deragliate emozioni oggi à
la mode - perché
il fumo non torni ad essere un deprecabile vizio di gioventù. Scrivo
in auto, mentre attendo mia moglie, taccuino poggiato sul volante,
oppure in piedi o infine - se ancor mi accade di prenderne uno - in
treno...
Non predispongo mai nulla
che lontanamente somigli a micidiali scalette. Il solo pensiero di
strategie tanto sterili e banali mi spezza il collo come una garrota.
Al massimo, nel corso della
mia carriera di 'scrittore' - a partire dai tempi della prima tesi -,
ho graffito qualche mappa concettuale a dir poco aperta e rizomatica
su vasti fogli di carta da pacco accuratamente distesi e fissati con
lo scotch al pavimento del mio studio, laggiù a San Benedetto.
Oggi, preferisco serbare ben impresso nella mente l'intero canovaccio di una storia per due o tre settimane, il tempo massimo che riesco a concedermi, ad esempio per la stesura di un 'romanzo breve': sulla scorta di una tal generica tessitura, in tutto affine ad una sequenza di funzioni proppiane vivacemente ambiziose d'essere sostanziate di vita concreta, elaboro, preciso, aggiungo, taglio, sottraggo, sposto, modifico, integro...
Il tutto, più o meno
consapevolmente.
Ben volentieri piego il capo alle leggi di un Inconscio che confidenzialmente adoro e con cui non ho mai intrattenuto rapporti conflittuali o problematici (come a parecchi invece accade).
Né in passato, né ora.
Di tanto in tanto, recupero qualcosa di interessante dalle centinaia di cartelle in cui conservo migliaia di annotazioni, folgoranti lacerti narrativi, riflessioni, fabule, passaggi da mail, spunti d'ogni genere todo modo riversati sulla tastiera di un pc nel corso degli anni. Stendo brevi schede che poi lascio macerare o liberamente vagabondare in cerca della propria dolce metà; registro in poche righe qualche nucleo concettuale da svolgere o precisare non appena mi sarà possibile, oppure penso, ma non scrivo, in tal modo esponendomi al rischio di perdere ogni cosa forse per sempre.
Starsene per un po' sui
ceppi ardenti fa bene all'immaginazione: sapendo che alcun miracolo
s'è ancora compiuto, lo spirito si mantiene desto e percettivo per
tutto il tempo, in una condizione di attiva passività.
E poi... non è mai
accaduto che una buona idea, benché libera di andarsene, non sia al
momento giusto tornata a bussare alla mia porta.
Il tempo è un arbitro
perfetto anche in questo genere di faccende.
No problem...
Estrema ma non trascurabile confidenza, perché soprattutto in questo vive la più autentica delle magie: non narro mai le mie storie a qualcuno, se non dopo averle prima stese completamente, almeno in bozza. Diversamente, il sogno svanirebbe, la tensione pure, e con essa si dissolverebbe per sempre l'eccitante condizione spirituale propria di quest'ineffabile trovarsi 'in stato di narrazione', tra i cui ingredienti, non ultimo, il non saper mai come esattamente andrà a finire e se davvero ce la faremo”.
Con “La Pleiade”, prova
superata a pieni voti!
L'autore
Giambattista Bergamaschi,
nato a San Benedetto del Tronto nel 1954, insegna italiano, storia e
geografia presso scuola media statale, dove è anche Referente per
l’Orientamento e svariati progetti concernenti l’Educazione alla
Salute.
Cura molteplici interessi, dalla narrazione alla ricerca
musicologica, dalla didattica della storia alla semiologia, dalla
pratica concertistica alla poesia.
Suona la
chitarra jazz e ha pubblicato due propri CD, Sunny e
Spleen.
Un'esauriente scheda biobibliografica in
www.facebook.com/giambattista.bergamaschi.92?ref=tn_tnmn
o in plus.google.com/u/0/116322665770219684690/posts
M. G.
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