FaraEditore, 2013
Recensione di Vincenzo D'Alessio
Il racconto lungo che ha vinto la terza edizione del concorso Faraexcelsior 2013 è stato scritto da Patrizia Rigoni, con il titolo Il tempo delle mani.
Appena iniziato a leggere le pagine che lo compongono ho capito quanta
passione mettono nelle parole, nelle continue similitudini, le donne
quando parlano del loro mondo e del contatto con quello degli uomini.
Passione che ho condiviso con Daniel Pennac riprendendo il suo lavoro
Come un romanzo edito da Feltrinelli nel 1998: “Senza saperlo,
scoprivamo una delle funzioni essenziali del racconto e più in generale
dell’arte, che è quella di imporre una tregua alla lotta degli uomini”
(pag. 26).
La velocità dell’acqua. La costante presenza delle mani di ogni personaggio familiare, richiamato in vita dal suo percorso di
lavoro con tutti gli attrezzi e le conseguenti evoluzioni collegate ai
mestieri, mirabilmente accostati al mondo fantastico, costituiscono la
trama del racconto. Come per le onde di un fiume hanno tanti luccichii
in superficie di fronte alla luce del sole così le vite di donne e
uomini di questo racconto hanno colori propri, profumi, sfumature dal
profondo del letto dove scorrono gli avvenimenti.
La scrittura è leggera: periodare breve, punteggiatura che non soffoca la successione
delle proposizioni. I verbi accompagnano all’inizio del periodo
l’avvenimento. Ogni personaggio ha la sua storia. Ogni persona ha la sua
anima che prende forma dall’acqua della vita di una donna. Per un
momento mi sono tornati alla mente i versi dell’Antologia di Spoon River
di Edgar Lee Masters a cura di Fernanda Pivano, dove la poesia sfocia
in una prosa suadente quasi da blues. Così la scrittura della Rigoni nel
suo capolavoro della quotidianità congiunge il contrappunto di prosa e
poesia nell’armonia tra città e montagna.
La passione attraversale pagine del racconto. Un intensa passione per la vita, per tutta la
fierezza di esserci da attrice e da testimone: “La scrittura mi racconta quello che voglio ascoltare” (pag. 42); “Immagino e desidero, ed è la condizione della felicità. Viaggio prima che mani e piedi inizino
l’avventura. Sogno. Cerco. Smonto e rimonto. Costruisco e riprovo” (pag.
31). In tutto il racconto quest’esercizio di felicità, anche le cose
più dolorose, prende il cuore del lettore, la mente e lo culla sulla
calma delle acque, sui pendii della montagna, sulle avversità dei
passaggi della Storia: le guerre.
Come sempre accade presso l’editore Fara di Rimini i componenti la Giuria sono prima di tutto
scrittori e poeti che hanno fatto la gavetta, il costruirsi leggendo
autori diversi. Stefano Martello
è uno dei migliori. Egli scrive di questo racconto lungo della Nostra:
“È un racconto semplice, che sfugge agli stereotipi del racconto
familiare. È un racconto che suscita invidia, perché la mano che lo ha
scritto ha avuto il tempo e la voglia di ricordare” (verbale della
Giuria, pag. 7).
Ha ragione Stefano,
perché il pánta rhei eracliteo ha la forza dell’acqua della nascita del
genere umano, l’avvicendarsi degli accadimenti che legano chi scompare
all’umanità del presente. Oggi, infatti, è scomparso Nelson Mandela. La
sua acqua si unisce profondamente a quella di milioni di altri uomini
che hanno lottato contro la violenza sugli altri simili e brilla in
superficie di eterno alla luce della stella Sole.
Nel racconto c’è la frase che Patrizia Rigoni
utilizza per rappresentare al lettore, si è sempre in due nel racconto –
chi scrive e chi ascolta – la forza di questa corsa che è la vita:
“Riconoscere tutti quelli che non le hanno tirate indietro le mani, mai.
(…) Sentire quanta acqua è servita, quanta acqua oggi è nelle mani”
(pag. 93).
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