IL SENTIERO DI FATMA di Valentina Renzi su ispirazione di foto di Alice Poli.
Hobmori è una piccola regione del Mali. Al centro dell’Africa, è impervio e tenero il territorio della Grande Madre Terra; come lo stomaco, fagocita e rigenera ogni cosa: vegetazione, bestiame, uomini, gesti e sogni. L’arida distesa di deserto si ferma solo per far posto alle cime rocciose e ai sentieri di terra rossa, arrostiti dal potente calore del sole. In mezzo scorre il Niger: le sue acque dissetano tutte le creature che popolano le zone verdi in prossimità del suo corso. Per metà dell’anno l’umidità e la calura asciugano ogni miraggio, nei restanti mesi piogge abbondanti inzuppano strade, ingrossano il fiume e consumano le pareti di terra e sabbia delle case.
E’ in un giorno di pioggia che in una di queste abitazioni Fatma è nata: è cresciuta lì, temendo i violenti acquazzoni e annoiandosi del sole enorme e caldo. La piccola Fatma era tenera e robusta di spirito come un chicco d’uva: occhi grandi e curiosi, riccioli scuri come l’ebano e pelle intensa e profumata come il caffè.
Ancor prima di cominciare a conoscere le acque del Niger e a giocare lungo quelle sponde, Fatma si riuniva con i suoi fratelli e sorelle di sangue attorno alle pozze e ai grossi rivoli che l’acqua piovana scavava nella terra: saltavano tra gli schizzi, da una parte all’altra, e immaginavano che, seguendo quel sentiero di acqua mista a fango, sarebbero potuti andare lontano dal villaggio e perdersi…Non immaginavano neanche potesse esistere l’oceano: una distesa d’acqua a perdita d’occhio, azzurra come il cielo, ma senza nuvole, sulla quale non volano uccelli ma galleggiano navi e uomini, e si nascondono pesci colorati.
Intanto gli anni passavano e Fatma e le sorelle cominciavano ad avere meno tempo per gli scherzi e i chiassosi giochi d’acqua.
Nel Mali, quando la tua statura raggiunge le dimensioni della porta di casa, sei già una piccola donna.
A undici anni hai già imparato che le tue mani e le tue braccia sono figlie della terra e che, presto, il tuo cuore e la sua libertà saranno giudicati e consegnati in dote al primogenito di un’altra famiglia del villaggio.
Così Fatma trascorreva la maggior parte della giornata con la madre e le altre donne nei campi, curva sulle piantagioni di miglio giallo, raccogliendo pannocchie e sistemandole meticolosamente, una ad una, dentro grandi ceste, intrecciate a mano dagli uomini e dalle donne più anziani. Quando il sole cominciava a calare, Fatma e le compagne caricavano sulla testa le ceste e lentamente si incamminavano verso il villaggio. Percorrevano sentieri di terra larghi e battuti: a fine tragitto i piedi scuri e i vestiti colorati erano ricoperti di un velo di polvere dorata, l’unica ricompensa per la fatica della giornata.
Gli uomini erano più fortunati: la maggior parte di loro, per trasportare gli attrezzi da lavoro, si sposta su carretti trainati da asini. Difficile scambiarsi un saluto: Fatma poteva solo distogliere lo sguardo da terra per guardare avanti. Gli uomini, passando, incontravano i gruppi di donne e le osservavano da una prospettiva rialzata, dall’alto verso il basso.
Su quei sentieri Fatma ha visto le sorelle diventare donne e la madre invecchiare. Ha livellato la propria forza di volontà e consumato la traiettoria della propria vita.
Fatma amava il villaggio e avrebbe voluto vederlo crescere e sorridere più spesso. Alle assemblee non lasciava mai cadere nel silenzio il proprio turno di parola e continuava a percorrere quei sentieri larghi e battuti: le ceste piene di miglio giallo, adesso, erano sulle teste delle più giovani, mentre lei caricava e trasportava cataste fitte di arbusti.
I sentieri erano più larghi: al suo fianco non c’erano più le compagne. Ad una ad una stavano lasciando il villaggio: la notte si mettevano in cammino, oltrepassavano il Niger e raggiungevano la costa. Ad aspettarle c’erano enormi navi arrugginite, a bordo delle quali avrebbero solcato l’oceano e lasciato alle spalle il Mali, i suoi colori limpidi, i suoi odori acri e le sue geometrie naturali.
Cullate dal rollio della nave avrebbero sognato strade diverse, fatte di asfalto, costeggiate da alberi rigogliosi e edifici imponenti, sulle quali non avrebbero più camminato, ma guidato - anche loro- automobili.
Presto, però, si sarebbero rese conto che, come immaginavano da piccole, allontanandosi dal Niger ci si può perdere… Svestite del proprio sahri, avrebbero dovuto indossare scarpe scomode e abiti ridicoli, per inscenare carnevali notturni fatti di marciapiedi freddi e sudici, neon piatti, sensi uccisi e lacrime salate, inghiottite in silenzio.
Erano, invece, tanti i granelli di terra rossa che avrebbero continuato a separare Fatma dall’oceano, azzurro e terso come il suo sahri preferito: come un pezzo di cielo ambulante, camminava leggera con una giara di acqua appoggiata al turbante.
Al villaggio la aspettavano alcune sorelle, il marito e la piccola Kariba, alla quale piaceva raccontare di aver percorso decine di kilometri per raccogliere - solo per lei - le lacrime delle giraffe.
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