sabato 10 aprile 2010

Su Il senso del Male di Gottfried W. Leibniz

recensione di Michele Giovannetti al «microbo» fariano


Gottfried Wilhelm von Leibniz (Lipsia, 1 luglio 1646 – Hannover, 14 novembre 1716) è stato un matematico, filosofo, scienziato, glottoteta, diplomatico, giurista, storico, magistrato e bibliotecario tedesco. Dotato di notevole intelligenza, a soli sei anni aveva già imparato il latino, grazie alla lettura di Tito Livio. A quindici entrò all'Università di Lipsia: conseguì la laurea in filosofia a diciassette e un dottorato in legge a venti. A lui si deve il termine funzione (coniato nel 1694) che egli usò per individuare varie quantità associate ad una curva, tra cui il suo valore, la pendenza, la perpendicolare e la corda in un punto. A Leibniz, assieme a Isaac Newton, vengono generalmente attribuiti l'introduzione e il primi sviluppi del calcolo infinitesimale, in particolare del concetto di integrale, per il quale si usano ancora oggi molte delle sue notazioni.
Quest’opera che mi appresto a recensire fu denominata da Leibniz stesso Saggi di Teodicea ovvero una giustificazione dell’opera di Dio, dinanzi al male presente nel mondo. Sono una raccolta messa per iscritto delle risposte che il filosofo diede in virtù delle pressanti critiche riguardo la bontà e quindi la natura di Dio e la libertà dell’uomo, che insorsero nel periodo di fine ’600 e primi del ’700, contemporaneamente all’opera di Cartesio, dalle parti più disparate: il soggettivismo di Hobbes e Locke, il determinismo di Spinoza, la critica distruttiva alla teologia dello studioso Bayle. Dopo la stesura di quest’opera molte furono le critiche che fiorirono da più parti, principalmente quella di Voltaire, che in Candido ironizza sulla figura di Leibniz attribuendogli espressioni semplicistiche nonché assolutamente contrastanti col pensiero del filosofo: “Tutto è bene nel migliore dei mondi possibili”. Nella Teodicea Leibniz parte dal presupposto che Dio sia essere intelligente, in cui si racchiudono tutte le esistenze e le essenze (quindi le possibilità). Questo mondo in cui viviamo è necessariamente il mondo migliore possibile, perché scelto da un atto volontario di Dio, che nella sua perfezione non può che aver scelto il mondo migliore fra tutte le possibilità che gli si prospettavano. Il mondo migliore esiste (ed è questo), perché diversamente non sarebbe esistito alcun mondo. Qui vediamo una prima incertezza, potremmo dire, nel pensiero di Leibniz che non procede alla spiegazione del perché questo mondo sia il migliore possibile: a suo avviso non se ne può avere diretto intendimento e rimette il giudizio alla fede in Dio. Detto questo, si sofferma a pensare come il male presente nel mondo altrp non sia che causa di un bene che altrimenti non sarebbe mai potuto esistere, e come questo male ci faccia gustare meglio il bene. Anche se Leibniz ci ricorda una pagina evangelica che ammette quanto sia difficile salvarsi, non dobbiamo smettere di credere che la sommatoria di tutti i beni dell’Universo sia maggiore a quella dei mali o che il bene esercitato da pochi abbia un valore maggiore del male di molti. Ma qual è l’origine del male? Dare una risposta a questa domanda è per Leibniz render conto della natura stessa di Dio. Egli ravvisa il male già nelle essenze presenti nell’intelletto divino. Egli sceglierà le essenze che dovranno esistere senza aver alcun potere sulla loro costituzione. Il mondo dei possibili è imposto a Dio da sé stesso. Ma se il male ha sede nell’intelletto di Dio, al pari del bene, questi non è conseguentemente né buono né cattivo. A questo sillogismo Leibniz risponde che Dio vuole il bene di ciascun individuo (escludendo quindi il peccato e la dannazione), ma che la realtà è determinata dal conflitto di tutti i voleri (le azioni morali e fisiche della creatura e le volontà divine a priori). Ne consegue che Dio in origine vuole il bene, e conseguentemente il meglio. Dio, sostiene Leibniz, dona a tutti gli uomini la ragione, considerandola antecedentemente un gran bene; ma vi sono dei mali che ne derivano e Dio non può evitarli se non privando l’uomo della razionalità, ma questa sarebbe una scelta contraria alla saggezza divina, la quale considera la ragione un bene superiore a tutti i mali che l’accompagnano. Il male, per Leibniz è metafisico (imperfezione di ogni creatura altra da Dio), fisico (sofferenza) e morale (peccato). Il male metafisico è una necessità della condizione di creatura limitata: risulta quindi una privazione d’essere, non ha conseguenza ontologica. “Dunque la materia è portata originariamente alla lentezza o alla privazione di velocità: non che essa abbia la facoltà di diminuire la velocità una volta ricevutala – infatti questo significherebbe agire –, bensì ciò vuol dire che, con la sua recettività, attenua l’effetto dell’impulso quando lo riceve.”
Dio è causa solo delle perfezioni che comunica alle creature. Solo l’aspetto materiale del male è causato da Dio, non quello formale. A questa teoria del migliore dei mondi possibili Bayle obiettò che Dio non sarebbe libero se la sua scelta dovesse sottostare alla regola del meglio. Questo escluderebbe anche, a detta di Spinoza, un’intelligenza divina, dato che Dio si muoverebbe solo per necessità, essendo motore immobile. Leibniz risolve la questione, dicendo che Dio è vero che sceglie sempre il meglio, ma lo fa per la libera scelta morale. Una necessità non logica, ma morale lo ha portato a scegliere l’esistenza delle leggi naturali stimandole più convenienti al perseguimento della sua natura. La necessità logica si fonda quindi su una necessità morale che è a sua volta conseguenza dell’esercizio di una volontà sempre concorde con la sua essenza divina. “Tuttavia, benché la sua volontà sia sempre immancabile, e tenda sempre al meglio, il male o il minor bene che Lui rifiuta non cessa di essere possibile; altrimenti la necessità del bene sarebbe assoluta… Ma questo tipo di necessità, che non distrugge la possibilità del contrario, non ha tale nome che per analogia; essa diviene effettiva, non per la sola essenza delle cose, ma per ciò che è fuori di loro o al di sopra di loro, vale a dire per la volontà di Dio. Tale necessità viene chiamata morale, perché per il saggio, necessario e dovuto sono cose equivalenti; e quando essa ha sempre il suo effetto, come essa lo ha di fatto nel saggio perfetto, cioè Dio, si può dire che è per felice necessità… Infatti ciò che essa comporta non accade checché si faccia, e checché si voglia, ma perché lo si vuole.”
Dio ha l’obbligo di seguire sempre la sua natura (il bene), ma non aveva l’obbligo di creare il mondo; poteva non crearlo affatto o crearlo diverso da questo. Quindi è libero. Dal tema della libertà di Dio si giunge a quello della libertà dell’uomo: l’essenza che Dio sceglie di creare tra tutti quelle possibili che ha già in sé. Allora il possibile include il necessario. Per escludere il predeterminismo si dovrebbe consentire alla stessa esistenza di poter assumere diverse determinazioni essenziali, ma questo è impossibile quando l’esistente non è altro che l’essenza passata dal piano dei possibili a quello del reale. Un’effettiva contingenza, per cui un esistente possa essere diverso mantenendo la propria identità, non si ha nel sistema leibniziano.
In linea di massima, posso ritenermi d’accordo con Leibniz, salvo quanto specificherò ora in merito alla libertà di Dio e dell’uomo. In accordo con la Rivelazione, Dio è Amore, ma questo non esclude che nella sua mente esista la possibilità del male, che viene inteso come rifiuto della sua stessa natura divina. Egli ha quindi un intendimento della propria negazione, che non può risultare che nel Male, la morte, il rifiuto dell’essenza e dell’esistenza stessa. Il Male non ha una dignità ontologica, ma viene percepito come necessario per definire la Sua stessa identità. Posto questo, data la sua perfezione Lui segue con la sua volontà la propria natura, ma non può escludere la possibilità del male, che appunto lo definisce. L’esistenza stessa di Sé stesso come Amore è quindi in parte una scelta morale: Egli è amore sia come sostanza che come forma. Si è scelto, in questo ha esercitato la Sua libertà. Ma a mio avviso, Dio non ha creato il migliore dei mondi possibili, ma il mondo perfetto: l’Eden. È l’uomo ad aver determinato poi, la contingenza reale del male, col suo comportamento, con la sua scelta morale. In origine l’uomo viene creato ad immagine e somiglianza di Dio: la creatura è limitata rispetto al Creatore, ma il Creatore stesso non può creare qualcosa che non sia conforme alla propria natura. Come specchio attraverso il quale questa creatura si possa misurare, Dio crea e la Natura. Il Male a questo punto è una possibilità, come Leibniz ritiene, nell’intelletto di Dio tanto quanto dell’uomo. Nella Genesi infatti, noi troviamo l’albero della Conoscenza del Bene e del Male, del quale noi ci è proibito, per ordinamento divino, di nutrirci. Ma questo albero è presente, ed è piantato da Dio, che non può prescindere da esso, da questa necessità morale, persino nell’opera della Creazione. Ma è questa interdizione che dà il senso della nostra libertà: sceglierci o rifiutarci. Nella nostra condizione di creature, sceglierci equivale a scegliere il Creatore. Questo passaggio è importante, perché l’albero della Conoscenza del Bene e del Male non implica da parte dell’uomo una ignoranza del peccato e del Male stesso, non implica una impossibilità a discernerlo. Implica una possibilità di scegliersi o di sostituirsi al Creatore, scegliendo la possibilità del Male. Tanto è vero che è già nell’atto in cui l’uomo contraddice Dio, quando decide di nutrirsi del frutto di quell’albero, che compie l’opera di anteposizione della propria volontà a quella legislativa del Signore. L’uomo antepone la propria scelta morale a quella del Creatore. Rinnegando la divinità di Dio, l’uomo rinnega la propria natura e concretizza la possibilità del male. Ne può quindi avere esperienza, averne una conoscenza diretta. È l’uomo che quindi sceglie un mondo dove esista il male. Dio quindi non crea il mondo migliore, in origine crea l’unico mondo possibile, in perfetto accordo con la sua natura. L’uomo snatura il mondo nel quale è piantato, concretizzando quella possibilità che è il male. Satana si fa veicolo d’errore, ma non può corrompere da sé il mondo, perché non è partecipe di quella seconda natura che è invece propria dell’uomo. La caduta di Satana è stata più repentina, perché essendo un angelo, puro intelletto, in lui l’esperienza dell’idea del Male è immediata quanto la scelta. Anzi, coincidono scelta coincide con l’esperienza. Nell’angelo, forma e sostanza sono la medesima cosa. Tutta la sofferenza, deriva dal peccato ed è la possibilità di fare esperienza del Male. Essa è un atto di contrizione per entrambi. Ma la concessione che Dio fa all’uomo di pentirsi, di rinnegare la propria negazione, bandendolo dall’Eden, è in virtù della sua natura che lo rende figlio di due mondi, uno materiale ed uno immateriale. Per l’uomo, al contrario di Satana, ancora non è tutto perduto: forma e sostanza nell’uomo sono differenziate. Gli rimane quindi la possibilità della Redenzione attraverso Cristo, che altri non è che il Signore che viene incontro a questa nostra seconda natura, quella materiale, complementare alla prima.

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