mercoledì 11 novembre 2009

Viaggio a Medjugorje (5-10 ottobre 2009)



di Franca Oberti vincitrice della 
VI EDIZIONE DELLA RASSEGNA
DI TESTIMONIANZA LETTERARIA
IN CAMMINO... CON GESU'
v. qui


Da qualche anno ricevevo messaggi più o meno velati, un po’ insistenti, richieste tenere di amici che già avevano provato questa esperienza. Mi sembrava di essere l’ennesima pellegrina per “turismo di massa”. Pensavo di essere giudicata come quella che “deve provare tutto”. Mi frenavo.
Poi, grazie ad una serie di circostanze più o meno fortuite, tramite un’associazione di famiglie, si è deciso questo viaggio. La nostra guida spirituale non era mai stata molto favorevole, ma, messo alle strette, aveva dovuto cedere e all’inizio dell’anno, nel calendario dei viaggi organizzati dall’associazione, campeggiava: “Medjugorje, ottobre 2009”.
Ho trascorso l’estate nell’aspettativa; mi sono chiesta più volte se dovevo andare. Ho chiesto parere a Sacerdoti e a “compagni di viaggio”, poi ho lasciato che tutti i pezzi del mosaico si incastrassero da soli e ho chiesto alla Madonna di guidarmi Lei, io ero pronta.
Da tempo lavoro molto su di me, sto imparando a non lasciarmi lusingare dalla vanagloria; sono operatrice della salute e sto sempre attenta a non credermi l’artefice di certo benessere, ma un umile strumento, una “matita nelle mani di Dio”, come ci ricordava spesso Madre Teresa.
Ma una settimana prima della partenza, qualcuno cominciò a rendere precaria questa decisione. Non mi piace crearmi fantasie da integralista o cedere ai fanatismi bigotti di altri secoli, però sono certa che Lucifero fosse in agguato; pronto a scardinare questa volontà, insistente nel propormi alternative tangibili e consumistiche. Ricevetti una serie di inviti, telefonate, premi letterari ai quali ero stata segnalata, ero vincitrice di qualcosa, volevano la mia partecipazione. Tutte queste tentazioni mi offrirono l’occasione di pregare più intensamente e di chiedere aiuto a Lei, che volevo andare a salutare in quel suo territorio di conforto e di preghiera comunitaria, in quel luogo che, al di là di quello che rappresentava nel mondo dei fedeli cattolici, era stato, ed è ancora, per altri aspetti, un luogo di sofferenza estrema, di gente spaventata e reduce da dolori infiniti.
Due giorni prima della partenza, sistemate tutte le questioni inerenti i miei successi, quindi disdette, deleghe e tutto quanto fosse possibile, mi lasciai andare e cominciai ad immaginare il mio prossimo incontro con Lei, la Regina della Pace, la Mamma Celeste, chiedendole di aiutarmi a trovare anche Suo Figlio, che per me rimaneva un mistero ancora velato.
La mattina della vigilia, mi svegliò un intenso profumo di fiori; era così inebriante che, nel dormiveglia, cominciai a protestare nei confronti dei miei famigliari. “Ma chi è” mi chiesi, impastata dal sonno “che usa il profumo a quest’ora?”. Mi rispose il silenzio, ero sola in camera, porta e finestra chiuse; il marito era lontano da casa per due giorni; il figlio dormiva nella sua camera e in casa non circolava nessuno. La mia razionalità aveva avuto il sopravvento e il timore di essere sempre l’illusa prescelta non mi aveva consentito di capire. Nelle ore seguenti, come spesso mi succede quando mi arrivano segnali forti, realizzai ciò che Lei mi aveva regalato. La partenza, a cuore leggero, fu un momento magico; tutto il viaggio, in compagnia di persone che stimavo e per le quali provavo tanto affetto, passò in un lampo. Senza nemmeno rendermene conto ero arrivata finalmente a scalare quell’impervio monte che è il Podbrdo e seguivo come una mansueta pecorella tutti i passi del nostro pastore che ci conduceva, lentamente, alla conoscenza di Maria di Medjugorje. C’è chi sostiene di vedere cose strane: sole offuscato, sole che ruota, raggi colorati dal sole; io non ho visto nulla, ma il miracolo di tre giorni di cielo intensamente blu, temperatura meravigliosa e aria pulita, quello l’ho visto e apprezzato. Qualcuno mi diceva: “Vedrai, prima di andare via ti succederà qualcosa di bello. Capirai quanto Lei ti vuole bene, ti manderà senz’altro il segnale per comprendere”. Testarda come sono, disillusa da tanti spot mediatici, accettavo questi argomenti, ma il dubbio era sempre latente e il diavoletto che c’è in me, spesso, prendeva il sopravvento “Mah, vedremo!” Rispondevo molto scettica. Continuavo, però, ad apprezzare questi luoghi, con tutto il loro fascino, tra le tante cerimonie di ogni giorno; seguivo i consigli del nostro accompagnatore: affrontai la confessione, l’adorazione eucaristica, la messa in croato, il rosario plurilingue e la grande scalata al Križevac, nonché la visita alla tomba di Padre Slavko e tutto quanto possibile. Mi rimaneva ancora, dopo due giorni, la visita al “Risorto” la grande statua di bronzo di Gesù che risorge dal sepolcro, eretta poco distante dal piazzale della Basilica.
C’era una coda lunghissima di persone che attendeva di salire su uno sgabellino e bagnare fazzolettini alla goccia che, da qualche anno, continuamente sgorga dal ginocchio destro di questa statua, fino a far diventare tutta la zona intorno al forellino, lucida come l’oro.
Sentii un grande sconcerto invadermi, mi ricordai il “vitello d’oro” del Vecchio Testamento, pensai a Gesù sulla croce e a quanti attingevano a Lui, anche in quel doloroso momento, per trarne forza e benefici. Ricordai un Tommaso incredulo che doveva immergere il suo dito nella piaga del costato per capire.
Qualcuno intanto mi spingeva per rimanere in coda. Lì per lì non ci pensai e rimasi insieme agli altri aspettando il mio turno per “toccare” quello che usciva dalla statua.
Poi un moto di rifiuto mi fece uscire dalla coda e per tutta quella notte rimasi a pensare e piangere su questo fatto inatteso. “Perché, Gesù, non ti lasciano in pace, nemmeno ora?” continuavo a ripetermi tra le lacrime.
La mattina seguente, di buon’ora, mentre tutti erano dedicati allo shopping, mi incamminai, rosario in mano, per pregare lì, in quel luogo di sofferenza, vicino a Lui, che era inerme, di nuovo, nelle mani della gente.
A metà rosario, mentre la fila continuava e il lato “d’oro” veniva continuamente lustrato, arrivò un bimbo adolescente, sulla sedia a rotelle, accompagnato dal papà. In quel momento la Madonna compì in me il suo miracolo, quello che andavo cercando era arrivato, non avevo più bisogno di nulla, Lei mi aveva condotta da Gesù, che era proprio quello che cercavo, la Verità nascosta, il mistero ancora celato.
Rivolsi lo sguardo alla statua e pensai: “Caro Gesù, tu non sei lì, lì c’è solo una statua. Tu sei lì, in quel bambino e io ti onorerò andando ad accarezzare le sue gambe che sono ancora vive e bisognose di cure.”
Intanto i due si sedettero proprio vicino a me (un caso?) e rimasero lì finché non terminai il mio rosario. Scesi il gradino che mi separava da loro, rivolsi un’occhiata alla statua e alla sua processione infinita di gente, mi avvicinai al bimbo e lo accarezzai chiedendogli di che nazionalità fosse. Lui, un po’ stupito, mi sorrise, ma gli occhi, che subito sembravano spenti, presero a brillargli e pensai che aveva solo bisogno d’amore per ritrovare la forza di vivere o per morire con la grazia della Fede. Pensai che in ogni caso, la sua strada doveva necessariamente partire da lì, da quella sua sofferenza terrena, per poi elevarsi, di qua o di là, libera dalle àncore della materialità.
Lo rividi almeno altre due volte durante la giornata, era sereno, con mamma e papà. Lui, qualunque fosse l’esito, aveva avuto il suo miracolo. Io, avevo trovato Gesù.




“L’inutile e ridicolo mondo al quale crede la maggior parte degli uomini ha preduto ogni valore ai miei occhi. Mi sono spogliato dell’orgoglio e ho aperto l’anima a Dio.” (Halldòr Kilian Laxness, scrittore islandese).      

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