mercoledì 24 dicembre 2008

La grande benedizione di Dio nel tempo: il Natale del Signore Gesù


di Dom Bernardo Gianni

Natività di Gesù Cristo, «l’iniziatore della nostra fede» (Eb 12,2)
San Miniato al Monte 18 dicembre 2008

1Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, 2in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio (Eb 1,1).

Natività dell’humanissimus Jesus, Dio rivela il suo amore in Gesù, suscita la nostra fede dalla vita umana di Gesù: Dio ha già operato nella storia di un popolo e adesso, compiutamente, nella vita di un uomo. La fede di Israele generata da eventi nella storia, mentre la nostra fede, la fede dei credenti in Gesù Cristo, nasce dalla sua vita umana, Lui, “immagine del Dio invisibile” (Col 1, 15), gesto vivo, dalla culla fino al sepolcro, dell’amore di Dio, manifestazione potente della sua salvezza nella Risurrezione. Accogliere, fin da questo freddo, dalla culla vuota, dalla “gronda” di cui parla Mario Luzi il paradosso dell’umanizzazione di Dio in Gesù, anteriore e previa ad ogni sua più o meno indebita “deificazione”: vogliamo partire da questa necessità, salutare contro ogni idolatria e contro ogni separazione o diminuzione dell’humanum dal divinum di Gesù. Partiamo dunque proprio dalla mangiatoia, giacché resta valido l’avvertimento di Ireneo: “il Signore Gesù ha portato ogni novità portando sé stesso” e ancora quella di Ignazio di Antiochia: “chiudete le orecchie di fronte ai discorsi di quelli che non parlano di Gesù come discendente della stirpe di David e figlio di Maria, come colui che è veramente nato, ha mangiato e ha bevuto, che ha veramente sofferto la passione sotto Ponzio Pilato, che è stato veramente crocifisso ed è morto, che è veramente risuscitato dai morti…”.
Due sono le conseguenze fondamentali di tutto questo, una, più volte sottolineata da tutti i Padri: Dio ha assunto la nostra umanità, la nostra carne, perché la nostra carne fosse resa divina: scrive Agostino in un Discorso: “È nato per noi oggi liberamente nel tempo, per introdurci nell’eternità del Padre. Dio si è fatto uomo, perché l’uomo diventasse Dio”. E ancora San Leone Magno: “Riconosci cristiano la tua dignità e reso partecipe della natura divina non voler tornare nell’abiezione di un tempo con una condotta indegna”; la seconda ce la dice un pensatore francese J. Moingt: “Dio si è rivelato nella carne di Gesù. Ecco perché il rapporto, il legame indissolubile con quest’uomo fa parte dell’identità stessa di Dio: questa è la singolarità del cristianesimo. Ciò che Gesù ha di eccezionale non è di ordine religioso, ma umano: siamo condotti a Dio attraverso i cammini di umanità che Gesù ha tracciato.”
La prima traccia di questo cammino parte proprio da Bethlemme, dalla notte santa, una traccia di assoluta novità anche nel tempo che in quella notte si è inaugurato.
Affrontiamo il tempo come enigma che nella luce della fede vogliamo vivere come mistero non di maledizione, di usura o consunzione, né di illusorio o mitico progresso (le “magnifiche sorti e progressive” degli illuministi), ma come mistero in cui si attua la nostra salvezza, esemplata ed esperita prima nell’ambito della storia di Israele poi, nella luce dell’Evangelo, nell’ambito della vita di Gesù.

Cosa è il tempo? Il tempo nella percezione di tre poeti:
Francesco Petrarca, Hugo von Hoffmansthal e Mario Luzi


Petrarca R.V.F 272

La vita fugge e non s’arresta un’ora,
e la morte vien dietro a gran giornate,
e le cose presenti, e le passate
mi dànno guerra, e le future ancóra;

e ’l rimembrare e l’aspettar m’accora
or quinci or quindi, sí che ’n veritate,
se non ch’i’ ho di me stesso pietate,
i’ sarei già di questi pensier fòra.

Tornami avante s’alcun dolce mai
ebbe ’l cor tristo; e poi da l’altra parte
veggio al mio navigar turbati i vènti;

veggio fortuna in porto, e stanco omai
il mio nocchier, e rotte àrbore e sarte,
e i lumi bei, che mirar soglio, spenti

Von Hoffmannsthal finale dell’atto primo del Der Rosenkavalier (cfr fotocopie)
Mario Luzi Villaggio (cfr fotocopie)

I poeti capaci di cogliere e intuire la forza vorace del tempo, la sua consunzione su tutto: bellezza, vita, città, eventi…, i poeti capaci anche di evocare una dimensione di pace nel tempo: Petrarca nel porto, la Marescialla del Rosenkavalier nel “wie”, nel “come” cioè il vivere il mistero dell’esistenza e del tuo trascorrere nella intuizione che il tempo è “creatura del Padre”, lo stesso Luzi in questi mirabili versi che aprono il nostro cuore a una interpretazione altra del tempo:

Tempo sospeso ad alcunché tra oscuro
E manifesto quando pare certo
Che il vero non sia in noi, ma in un segreto
O un miracolo prossimo a svelarsi

Mario Luzi usa un termine chiave in questo nostro momento di riflessione quando dice come il tempo si riveli in un mistero che ci svela il miracolo segreto dell’esistenza. Verità dunque come svelamento (secondo l’etimologia della parola greca che indica la verità) e verità come dono da accogliere, secondo un tratto tipicamente cristiano e biblico della verità: accogliere la natura, la creazione, le parole e infine la Parola suprema, Cristo Signore come manifestazione, più ancora come rivelazione dell’amore divino che cerca l’uomo, lo interroga, lo prende con sé in cammino con lo stupore (per la triplice venuta del Logos nella creazione, nella parola profetica e in Cristo stesso cfr. lo stesso Prologo del Vangelo di San Giovanni, Gv 1, 4-14). Agostino si è sempre interrogato circa il mistero del tempo, Confessioni XI 14, par 16-17

13. 16. Ma non è nel tempo che tu precedi i tempi. Altrimenti non li precederesti tutti. E tu precedi tutti i tempi passati dalla vetta della tua eternità sempre presente; superi tutti i futuri, perché ora sono futuri, e dopo giunti saranno passati. Tu invece sei sempre il medesimo, e i tuoi anni non finiscono mai. I tuoi anni non vanno né vengono; invece questi, i nostri, vanno e vengono, affinché tutti possano venire. I tuoi anni sono tutti insieme, perché sono stabili; non se ne vanno, eliminati dai venienti, perché non passano. Invece questi, i nostri, saranno tutti quando tutti non saranno più. I tuoi anni sono un giorno solo, e il tuo giorno non è ogni giorno, ma oggi, perché il tuo oggi non cede al domani, come non è successo all'ieri. Il tuo oggi è l'eternità. Perciò generasti coeterno con te Colui, cui dicesti: “Oggi ti generai”. Tu creasti tutti i tempi, e prima di tutti i tempi tu sei, e senza alcun tempo non vi era tempo. 14. 17. Non ci fu dunque un tempo, durante il quale avresti fatto nulla, poiché il tempo stesso l'hai fatto tu; e non vi è un tempo eterno con te, poiché tu sei stabile, mentre un tempo che fosse stabile non sarebbe tempo. Cos'è il tempo? Chi saprebbe spiegarlo in forma piana e breve? Chi saprebbe formarsene anche solo il concetto nella mente, per poi esprimerlo a parole? Eppure, quale parola più familiare e nota del tempo ritorna nelle nostre conversazioni? Quando siamo noi a parlarne, certo intendiamo, e intendiamo anche quando ne udiamo parlare altri. Cos'è dunque il tempo? Se nessuno m'interroga, lo so; se volessi spiegarlo a chi m'interroga, non lo so.

Non trova risposta adeguata Agostino alla domanda sul tempo giacché intriso di mistero è il tempo stesso anche per noi credenti: noi individuiamo nel tempo stesso la profonda inerenza fra manifestazione di Dio nella creazione e la stessa salvezza. Dio crea infatti il tempo ma soprattutto crea nel tempo, “in principio”, “immettendo nella nostra povera durata qualcosa dell’eterna assoluta presenzialità di Dio” (C. Massa) Dio ha scelto il tempo per portarvi dentro l’eternità, Dio ha scelto il tempo perché fosse l’alveo del nostro agire, la misura del nostro giorno, creando “Il cielo e la terra” “rimanendo tuttavia, come anche ci ha detto Agostino, “in eterno” (sal 117,2), e ancora “In principio tu hai fondato la terra, i cieli sono opera delle tue mani, essi periranno ma tu rimani! Sal 102 Ritmo settimanale della creazione che dura anche oggi, ritmo del tempo realizzato anche con la creazione degli astri segni dell’armonia temporale con cui Dio realizza e vuole il cosmo educandoci a gradualità e alternanza, obbedendo lui stesso a quell’alternanza, pazientando coi tempi dell’uomo, fatti di lavoro e di riposo, così come Lui riposa il sabato! È in questo tempo cosmico, per sua natura ciclico e ripetitivo, entro questo avvicendarsi incessante di giorni e notti, stagioni e anni, il Padre, dopo aver parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, non ha disdegnato di mandare “ultimamente in questi giorni” il suo Figlio, la grande benedizione di Dio sul tempo e nel tempo. Egli donandoci il Figlio del suo Amore, coeterno e generato prima di tutti secoli, ha avuto tempo per noi (B. Forte), ha scelto il tempo per noi, ha obbedito al tempo attendendone la pienezza (cfr Gal 4, 4) e ponendo sotto la legge del tempo l’umanità di Gesù e lo stesso fulgore della divinità del Suo Verbo. Dio nel Figlio suo ha benedetto il tempo con una benedizione eterna e gloriosa: noi dunque partecipi della sua umanità gloriosa e ammirati dal fulgore nascosto della sua divinità beata siamo fatti capaci di vivere il tempo non più come maledizione o enigma ma come mistero di salvezza: da qui la liturgia delle ore, la santificazione del tempo, l’anno liturgico, l’intelaiatura orante della giornata monastica ma in generale del credente; nel tempo si dà il kairòs per incontrare la salvezza che viene (cfr Luzi, Opera poetica meridiani mondadori p. 1041, preghiera al tempo).

“L’inedita serietà dell’incarnazione del Logos introduce nell’orizzonte del divino l’ordine degli umani affetti e la pregnanza dell’accadere storico” (P. Sequeri). La nuova dignità del corso temporale degli eventi, non più indeterminato e fluttuante verso una caducità o una ciclicità irrimediabili, chiede una esperienza dell’umano capace di raccontare: in grado di dare cioè il senso dell’intero – inizio, sviluppo, cadenza conclusiva – all’irriducibile singolarità di ogni frammento che vale un’esistenza. L’evento del Logos incarnato in Gesù fa fede di questa verità, per ciascuno di noi! Non a caso abbiamo dei Vangeli che sono narrazione, certamente teologica, della vicenda di Gesù, dalla sua nascita alla sua morte. Da qui, da questo tratto centrato sulla dignità dell’umano, del biografico che premia la singolarità di una vita, la rilevanza dell’evento natalizio del Cristo, colto come epicentro di mirabili conseguenze nella nostra vita, investita anch’essa di inaudita dignità. Esso è invito alla piena conoscenza del mistero della volontà di Dio (Ef 1,9-10) , “secondo quanto egli aveva prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno di ricapitolare in Cristo tutte le cose”. Ritroviamo in questa affermazione capitale di Paolo come in Cristo, nella pienezza del tempo della Sua venuta, si abbia la massima espressione e al contempo la massima contrazione nella sua fisica persona, di carne fragile e infreddolita, delle tre manifestazioni rivelative dell’amore di Dio: a) creazione, b) storia santa e profezia, c) Cristo Gesù. In Lui ogni realtà umana e cosmica è assunta e trasfigurata: la creazione compiuta dal Padre mediante il Figlio, la storia sacra ordinata alla Sua venuta – passaggio da Israele alla chiesa, Cristo nuovo Mosè, Cristo adempimento delle attese profetiche, Battista-Gesù etc. – tutta la nostra storia – i tempi ultimi che ormai sono i nostri – completamente inscritti nella sua Signoria inaugurata con la Risurrezione: Cristo ricapitola tutta la storia umana, la passata e la futura e con essa gli stessi cicli cosmici assumono chiaramente un altro significato che supera definitivamente non solo l’antica visione greca dell’antico ritorno di età bronzee, argentee e auree, ma la stessa inquietudine messianica dell’antico Israele, la sua dolente attesa. La pienezza della Rivelazione è proposta al cuore dell’uomo in Cristo spezzando il cerchio di una storia che troppo spesso la nostra poca fede e il nostro peccato è tentato di vedere come ciclicità senza senso, maglie di catene che soffocano la nostra libertà e il nostro amore per la creazione alimentando rassegnazione e disperazione. In realtà la ciclicità del tempo e delle stagioni è apparente, reale e autentica è la linea di una spirale che riportandoci ai consueti tornanti del tempo naturale e del tempo lirico essa ci solleva su ali d’aquila verso il mistero della divina Presenza.
Cristo del resto è sceso nella pienezza del tempo, sino alle depressioni estreme del tempo, nel tempo vuoto e inerte degli inferi per unire all’eternità divina ogni frammento di ogni istante di ogni tempo! Evento unico questo, l’Incarnazione, zenith della nostra storia, di cui a Natale celebriamo la memoria non come ciclicità nostalgica priva di speranza ma come irruzione nel tempo e negli spazi del rito e del cosmo di un hodie, di un oggi che lo Spirito Santo feconda per la salvezza di tutti e per la benedizione del nostro tempo sempre nuovo e rinnovato.
Il problema di vedere il tempo come eterno ritorno è antichissimo, antica è la tentazione di vedere il tempo come anello senza senso: cfr De civitate Dei capo XII 14-15

Comunque secondo le norme della retta fede non dobbiamo credere che con le parole di Salomone furono indicati i cicli con cui si hanno, come pensano costoro, i medesimi ritorni di tempi e di avvenimenti nel tempo; ad esempio, come il filosofo Platone in quel tempo ha insegnato agli allievi nella città di Atene, nella scuola detta l’Accademia, così il medesimo Platone, la medesima città, la medesima scuola, i medesimi alunni sarebbero tornati attraverso le infinite successioni di tempo nel passato a fasi molto lunghe ma determinate e tornerebbero nelle infinite successioni che verranno. Non dobbiamo, dico, credere a queste fandonie. Infatti Cristo è morto una sola volta per i nostri peccati, ma risorgendo dai morti non muore più e la morte non l’assoggetterà più nell’avvenire, e noi dopo la risurrezione saremo sempre col Signore, al quale nel tempo presente diciamo quel che ci suggerisce il sacro Salmo: Tu, o Signore, ci custodirai e ci difenderai dalla generazione presente, fino nell’eternità. Penso infine che a questi filosofi si adatti molto bene il versetto seguente: Gli empi si muoveranno in giro, non nel senso che la loro vita ritornerà ai cicli da loro immaginati, ma perché nel tempo presente la via del loro errore è un circolo vizioso, cioè una falsa dottrina.
Contro I ritorni ciclari unità e bontà originaria dell’uomo [14-27]
Ineffabile l’opera di Dio.
14. Non c’è da meravigliarsi poi se, vagando per questi cicli, non trovano né l’entrata né l’uscita perché non sanno come hanno avuto inizio e quale fine avranno il genere umano e la sua esistenza terrena. Non possono infatti conoscere la trascendenza di Dio, perché egli, pur essendo eterno e senza inizio, da un determinato inizio ha dato origine al tempo e all’uomo, che prima non aveva creato e che ha creato nel tempo non con un disegno subitaneo, mai avuto prima, ma immutabile ed eterno. Nessuno può indagare su questa trascendenza di Dio perché è arcana, né esprimerla perché è ineffabile. Difatti nel rispetto ad essa Dio, con volontà non diveniente nel tempo, creò nel tempo l’uomo, prima di cui non era esistito alcun uomo, e da un solo individuo fece moltiplicare il genere umano.


Dall’antica tentazione di rivivere il tempo come ciclicità l’urgenza di scoprire il nostro cuore bisognoso di invocazione cfr. Luzi di Invocazione negli auguri di San Miniato per il Natale 2008.

Tante volte viviamo il Natale custodendo – ed è bene – preziosità del tempo ma senza coglierne la fecondità ultima in ordine alla nostra salvezza.

A proposito di attenzione al tempo, alla storia, alla inerenza fra storia, tempo, natura e alleanza cfr. due voci ebraiche, ovviamente formate sulla meditata riflessione sul Dio biblico che agisce nel tempo:
Liana Millu e Franz Roszenweig:

«Tra venti settimane è Natale. Mi viene in mente tutta la contabilità del tempo che tenevo nel Lager, i 180 giorni a Natale, i 70 dalla battaglia d’inverno, le dieci settimane a Pasqua. Se al mondo non ci fosse altro di buono, c’è questo scorrere del tempo. L’unica cosa sicura del mondo». (Liana Millu, Tagebuch 1945)

«La vita, ogni vita, deve essere divenuta totalmente temporale, interamente vivente, prima di poter divenire vita eterna. All’esatta temporalità della pura vita, che è sempre esattamente nel punto giusto del tempo e giunge sempre al momento opportuno, non troppo presto e non troppo tardi, deve aggiungersi una forza di accelerazione. L’eternità deve essere accelerata, deve sempre poter venire già “oggi”; solo così essa è eternità» (La stella della Redenzione)

Noi pensiamo che abbia compiuto in pienezza questa “accelerazione” portando l’eternità nel tempo la venuta, l’incarnazione del Cristo, vettore affidabile su quella rotaia “sicura del mondo” che è il tempo:

Pienezza del tempo: dal chronos, all’aion attraverso il kairos! Uno sguardo su Paolo Galati 4,4

1Ecco, io faccio un altro esempio: per tutto il tempo che l'erede è fanciullo, non è per nulla differente da uno schiavo, pure essendo padrone di tutto; 2ma dipende da tutori e amministratori, fino al termine stabilito dal padre. 3Così anche noi quando eravamo fanciulli, eravamo come schiavi degli elementi del mondo. 4Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, 5per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l'adozione a figli. 6E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! 7Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per volontà di Dio.
L’uomo è nel tempo come divenire cronologico, come stato di frantumazione, di separatezza e il peccato è l’assoggettamento dell’uomo e della storia alla frantumazione dell’essere.
L’Incarnazione è l’entrata di Dio nella dimensione dell’uomo, la kenosi di Dio è proprio questo lasciare la vita come durata eterna e piena – aion – per entrare nella frantumazione cronologica del tempo, come dimensione propria del’uomo. Sottomissione di Dio ai tempi dell’uomo, per arginare la diabolicità del tempo e risaldare chronos, kairos e aion in Cristo, che ricapitola per amore tutto di noi: “Il tempo creato riceve in Cristo Gesù e in ogni atto di fede in lui il carattere e il marchio dell’eternità, la vita vissuta nella fede acquista la dimensione della vita eterna” (Karl Barth).
“Il tempo è redento con l’incarnazione così come la storia sarà redenta con la vita e la morte in Cristo” (Ernesto Menichelli)
Egli riporta la dispersione all’unità dell’essere in Dio: percorso a ritroso dell’uomo già visto in Leone Magno e magnificamente prospettato da Paolo –
l’uomo incarna nel tempo il mistero di Dio del Figlio di Dio per divenire a sua volta il Figlio di Dio, così il chronos passando attraverso il kairos (mistero pasquale) ritorna all’aion, il creato all’increato, la cronologia dispersiva all’unità come pienezza.
Vi è un peculiare esito nel tempo e nella nostra esperienza del tempo la piena consapevolezza dell’essere figli in Cristo: essere figli nel Figlio comporta una qualificazione assoluta della nostra percezione ed esperienza del tempo, con feconde conseguenze “etiche”: il tempo diventa infatti luogo mirabile di relazione, di simbolicità, di apertura, vedi il ladrone sulla croce: estremo della solitudine della morte-maledizione in Cristo si fa esperienza salvifica di relazione con il condannato, cui condivide partecipazione ai frutti dell’amore che riceverà dal Padre: suo frutto immediato è infatti oggi sarai con me in Paradiso!

1E poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio. 2Egli dice infatti: Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso. Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza! (2 Cor 6,1-2 che corrisponde a Rm 5 ,6 Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito kata kairon!)

Pienezza del tempo dunque è il pieno compimento della nostra antropologia in Cristo, una antropologia dell’amore che ci invita a divenire strumenti di relazione in un tempo riconsegnato alla sapienza di Dio,
E’ Natale e in fondo il regalo più prezioso che possiamo fare tutti noi è un tempo, un tempo liberato, un tempo di qualità per una umanità di qualità, quella che ascolta, ama, perdona, spera, condivide etc. Senza tempo, un tempo liberato dal peccato e dall’egoismo, non si dà spazio all’alleanza di Dio con la storia sancita con la Pasqua di Cristo, alleanza che attende nostra testimonianza negli spazi della vita!
Ritroviamo così il tratto “humanissimum” del Signore Gesù, volto dell’uomo che Dio vuole salvare e volto del Dio che salva (Karl Barth). In Gesù l’umanità è sempre trasparente: il divino è velato ma nello spessore della sua umanità Dio è raccontato (E. Bianchi)
Ritroviamo così la parola chiave da cui abbiamo iniziato: l’umano, l’altro fuoco dell’Ellissi in cui e entro cui Dio pare lasciarsi immaginare: un fuoco divino, un fuoco umano per porsi in relazione all’alterità creata non al modo di una circonferenza ma di una dinamica ellissi che ha di Cristo e del tempo in Cristo e del mistero del suo ritorno alla fine del tempo la sua mirabile e inesausta tensione!
L’uomo è al centro della natura, destinatario della Natura stessa e pienamente immerso nel tempo come partecipe della signoria di Dio sul tempo e nel tempo!
Con questa consapevolezza l’uomo può e deve guardare alla natura recuperando uno sguardo eucaristico e fiducioso di mistero, ascolto e attesa:
Cosmo e Cristo, ritrovata armonia simbolica di senso e significato per l’uomo, altro dal meccanicismo muto della natura estranea all’umano o dall’umano ridotto a mera natura o a mera tecnica: «il tempo ci avverte che il Natale di Cristo Signore è vicino […]. Il mondo con le sue stesse angustie dice l’imminenza di qualche cosa che lo rinnoverà, e desidera con un’attesa impaziente che lo splendore di un sole più fulgido illumini le sue tenebre. Mentre, per la brevità delle ore, teme che il suo cammino stia per finire, con una certa qual speranza scopre che l’anno sta trasformando il suo corso. Quest’attesa della creazione persuade anche noi ad attendere il sorgere di Cristo, nuovo Sole, perché illumini le tenebre dei nostri peccati… E poiché possiamo presentire il Natale del Signore dagli stessi segni della natura, facciamo anche noi quel che essa fa: come in quel giorno sulla terra comincia ad aumentare la durata della luce, così anche noi allarghiamo la misura della nostra virtù…»: così San Massimo di Torino.

Ma nel nostro cuore inquieto potrebbero riaffacciarsi altri interrogativi sofferti, constatando con angoscia il gelo silente dell’immane cosmo spaziale:

tempo e pioggia tempo e profusione di mondo a se medesimo. Ci assorbe in sé o ci dissolve quell’afflusso di vita alla vita che risorge? Che n’è di noi, siamo chiamati o esclusi Dalla rigenerazione Dell’aria, degli elementi?
La risposta a queste domande umanissime ormai la conosciamo: più che risposta essa si fa ulteriore, accorata e orante invocazione, sempre magnificamente evocata dalla poesia di Mario Luzi:

Non startene nascosto nella tua onnipresenza. Mostrati, vorrebbero dirgli, ma non osano. Il roveto in fiamme lo rivela, però è anche il suo impenetrabile nascondiglio. E poi l'incarnazione - si ripara dalla sua eternità sotto una gronda umana, scende nel più tenero grembo verso l'uomo, nell'uomo... sì, ma il figlio dell'uomo in cui deflagra lo manifesta e lo cela... Così avanzano nella loro storia.


Nessun commento:

Posta un commento