mercoledì 3 dicembre 2025

IL PRINCIPIO D’IDENTITÀ PSICOLOGICO

Riflessioni sulla filosofia dell’Io

di Vincenzo Capodiferro


 


Noi non conosciamo altro che ciò che siamo capaci di osservare. Riusciamo a desumere a stratte i rapporti tra i fenomeni. La fisica e la chimica, ad esempio, ci possono indicare che vi sono molteplici soluzioni. Ignoriamo assolutamente cosa sia la sostanza materiale, con tutto gli sforzi che la scienza ha fatto da secoli e secoli. Tanto meno possiamo immaginare il rapporto tra la sostanza materiale con altri tipi di sostanza. Nel dominio psichico però sussiste un principio costante, che non è solo logico: il principio di identità. Questo principio afferma che esiste un’identità tra il soggetto conoscente ed il soggetto conosciuto. Noi non conosciamo dei semplici oggetti, o l’oggetto, ciò che ci sta di fronte. Noi invece ci troviamo di fronte la sostanza infinita, di cui facciamo parte. È la sostanza che si riconosce essa stessa, attraverso di noi. Il soggetto conoscente si trova di fronte un altro soggetto, che è di fronte ad esso. L’oggetto è solo una proiezione, non è la sostanza, ciò che i greci chiamavano ipostasi. L’ipostasi è il fondamento, l’ipostasi è ciò che non ha bisogno di nulla per esistere. Uno dei problemi fondamentali della filosofia è proprio chiarire il rapporto tra sostanza spirituale ed altri tipi di sostanze. Questo problema può risolversi in questo: quale è il rapporto tra il mondo interiore e quello esteriore? E più in generale possiamo risolverlo nell’altro: cosa è la percezione, o conoscenza di un fenomeno? Innanzitutto, seguendo Kant, noi affermiamo che possiamo conoscere solo il fenomeno, o la manifestazione dell’essere, non l’essere. Tutto ciò che va oltre la nostra capacità percettiva è il mondo dell’Assoluto. Possiamo conoscere solo le manifestazioni tangibili e finite che avvengono nell’Infinito. Noi abbiamo una certa concezione dell’Infinito, ma questa è sempre incompleta. Visto che nel mondo psicologico il soggetto e l’oggetto sono identici, ci verrebbe più facile conoscere questo mondo. In realtà non è così, perché altrettanto infinito è il mondo interno e forse più di quello esterno. Agostino scriveva: «Gli uomini sono soliti avere in grande stima la scienza del mondo terrestre e celeste; ma senza dubbio i migliori tra di essi sono coloro che preferiscono la conoscenza di se stessi a questa scienza e l’anima che conosce anche la sua debolezza è degna di maggior lode che non quella che, senza averla presa in considerazione, si sforza di investigare le orbite degli astri o quella che già le conosce, ma ignora quale via la conduca alla sua salvezza e alla sua sicurezza». Così sviluppiamo bene questa scientia sui, per saper meglio dirigere i nostri passi nel mare infinito della vita. Riprendiamo il principio socratico e delfico del «Conosci te stesso». Significa fare l’analisi delle proprie facoltà, rendersi conto dei poteri e dei limiti di cui l’uomo dispone per poter conseguire il proprio fine. Significa scomporre l’intelligenza, onde meglio servirsene per pervenire al vero, conoscere la volontà per procedere più sicuramente verso il bene. Il principio di non contraddizione suona così: è impossibile che una ente sia e non sia allo stesso tempo. Ma questo include che è impossibile che io percepisca che l’ente sia e non sia, e quindi che io percepisca e non percepisca allo stesso tempo l’ente nello stesso modo. L’assunto parmenideo è essere e pensare sono la stessa cosa. Cartesio ne coglie il lato del soggetto: penso, dunque sono; Berkeley il lato percettivo: esse est percipi. Al di là delle differenze tra queste considerazioni, riteniamo che unico sia il filo conduttore, e cioè che tra essere e pensiero c’è un rapporto intrinseco. 

L’intelligenza è la capacità di conoscere. Conoscere non è altro che avere l’idea di una cosa. Ogni volta che prendo coscienza di un essere, o di un modo con cui io conosco un ente, io ho un’idea. L’idea è dunque la conoscenza nel suo stato più semplice. L’intelletto abbraccia tre mondi: quello fisico, quello psichico, quello pneumatico, o metafisico. Nel mondo fisico cogliamo i fenomeni. L’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo ci sfuggono. I fenomeni esterni accadono sotto i nostri sensi e li cogliamo attraverso i sensi. Nel mondo psichico invece i fenomeni sono interiori e non essendo materiali, non possiamo coglierli alla stessa stregua e cogli stessi strumenti di quelli esteriori. La natura ha dotato l’uomo, però, di una capacità profonda che permette di conoscere i fenomeni interni e questa è la coscienza, o, come la definivano diversi filosofi, l’appercezione. La percezione ci permette di cogliere l’esterno, l’appercezione è invece quella facoltà che possiede il «me» di conoscere se stesso e di rendersi conto delle modificazioni che avvengono in esso come se fosse un teatro, o caverna platonica. A queste due forme di conoscenza, così diverse ed eterogenee, quella interna e quella esterna, corrispondono due altrettanto diverse oggettivazioni gnoseologiche: la sensazione e l’impressione. L’appercezione è altro dall’anima, e questo Kant l’aveva ben messo in evidenza: è un fenomeno particolare, la manifestazione dell’anima a se stessa, in modo che questa quasi potesse studiarsi, fino ad un certo punto, al confine coll’Assoluto, che è il termine di ogni nostra facoltà conoscitiva. 

Seguendo Kant, noi possiamo conoscere il fenomeno, non il noumeno. Se noi scendiamo in noi stessi ci accorgiamo che vi passa una folla di fenomeni. Ho un’idea e subito dopo ne ho un’altra differente. Ho un sentimento e questo subito passa e ne ho un altro diverso. Fenomeno è tutto ciò che appare, ma appare a qualcuno e quindi esprime un essente, ciò che esiste e pare che non possa esistere o essere altro da quello che sia in quel momento. Il fenomeno ha il carattere di essere variabile e cangiante. Vi sono due tipi di fenomeno che noi cogliamo: il fenomeno fisico, che può essere meccanico, od organico, e quello trascendentale, in senso kantiano, o psicologico. Il primo concerne la materia inorganica, caratterizzata da inerzia, cioè quella che è mossa da un agente estrinseco. Il fenomeno organico, o fisiologico, concerne la materia organica, cioè quella che ha in sé una causa intrinseca al moto. Il fenomeno psichico invece, ci avvicina al mondo spirituale e concerne tutte le manifestazioni che passano attraverso la coscienza. Tra questi due mondi: quello fisico e quello psichico c’è un abisso, tant’è che, seguendo sempre l’Estetica trascendentale del grande Kant, noi li conosciamo attraverso due forme pure, o intuizioni pure diverse. Il fenomeno fisico lo cogliamo sempre nello spazio, quello psichico nel tempo. La conoscenza del fenomeno fisico inoltre è mediata, quella del fenomeno psichico è immediata. Conosciamo infatti successivamente nel corpo, ma simultaneamente nell’anima. Visto che i fenomeni si succedono in noi, ma non fuori di noi, perché il tempo è in noi, possiamo dire che no vi è continuità tra i fenomeni psichici, ma ve ne è invece tra quelli fisici. La prima conseguenza di questa elementare osservazione è che esiste un’attività psichica. Noi siamo degli esseri attivi, perché c’è una causa di tutti i fenomeni psichici, una propria sostanza che sta alla base di tutte le modificazioni del «me». 

I fenomeni psichici possono essere, a loro volta, di tre tipi: sensibili, intellettuali e volontari. Se io sento un suono, o vedo un uomo, si ha un fenomeno di sensazione. Se parlo, o avverto un sentimento, o parlando esprimo idee chiare, o rifletto, comparo, generalizzo, si ha un fenomeno intellettuale, se io voglio parlare o stare seduto, o mangiare, si ha un fenomeno volontario. Questa distinzione dei fenomeni è tanto adeguata che i differenti termini non possono confondersi. Il fenomeno sensibile è passivo, fatale e soggettivo. È passivo perché il soggetto non può evitarlo. Se apro gli occhi devo vedere ciò che sto vedendo in quel momento. Se vedo un albero vedo un albero e non una casa e se l’albero lo vogliamo chiamare capra, va bene, vedo una capra, ma il termine capra corrisponde sempre ad un essere che è albero. È fatale, perché avviene sempre nelle stesse condizioni ed alla stessa maniera. È soggettivo, perché passa interamente nel soggetto pensante. Il fenomeno intellettuale è misto, nel senso che è in parte passivo e fatale, in parte attivo e riflesso, ma è oggettivo, perché ci dà la conoscenza dell’oggetto, del mondo esterno. Il fenomeno volontario, invece è libero, attivo e riflesso. Ne siamo gli autori assoluti, e possiamo a nostro piacimento, riprodurlo, sospenderlo, o riprenderlo. 

La ragione ci fa accorgere che ci sono dei fenomeni. I fenomeni sono variabili, non si possono produrre da sé. Il principio di ragione ci dice che tutto ciò che ha cominciato ad essere, suppone una causa sufficiente che lo produca. Visto che questi fenomeni passano nell’io è nell’io che occorre cercare la causa di essi. La causa dei fenomeni psichici non può essere altro che una potenza speciale e questa risiede nelle diverse facoltà che possediamo: la sensibilità, l’intelletto e la volontà. Occorre cercare le cause che producono in noi i fenomeni cangianti, ma quale è la causa del fenomeno? Non può essere il fenomeno stesso, altrimenti tutta la realtà si ridurrebbe in una pura manifestazione di una manifestazione, cioè in un’illusione. La causa è una sostanza, di cui i fenomeni sono dei modi, o degli attributi, tanto per usare dei termini spinoziani. Se nella sensazione l’intelletto è passivo, vuol dire che egli stesso non ne è l’autore. E chi ne è l’autore? Ma potremmo dire: è il mondo esterno! Ma cosa è il mondo? Nessuno lo sa, è un noumeno. Il mondo è fatto di materia. Ma cosa è la materia? È un fenomeno fisico, che può essere meccanico, od organico, l’uno ci dà l’inerzia, l’altro invece l’erzia, cioè la capacità di moto. Nel linguaggio usiamo dei termini diversi per delineare il corpo mobile, da quello inerte. Ma cos’è il corpo? Nessuno lo sa realmente. Ciò che conosciamo è legato in qualche modo a quella grande parola che noi chiamiamo esperienza, ma nessuno sa realmente cosa essa sia. La capacità dell’uomo è limitata, la forza dell’uomo è finita e ciò che è finito confina sempre con qualcos’altro, coll’infinito, con un’attività infinita e produttiva, che è la causa di tutte le cose che sono, che noi chiamiamo Dio, ma voi chiamatela come volete. Tra Dio e l’io vi è tutta questa variopinta ed ombrosa serie e ammasso di manifestazioni.

L’attività dell’uomo, limitata, può essere di due generi: spontanea e fatale, o riflessa e volontaria. La prima è il potere di subire certi fenomeni, senza poter reagire e questa è necessaria all’uomo, altrimenti non potrebbe essere modificato. Ma l’uomo, ed in parte anche altri animali, hanno un altro potere, cioè quello di reagire a questa prima attività e questa si chiama riflessa, o volontaria. L’attività è sempre una, però si manifesta in due modi diversi: subire e reagire. Si può distinguere ancora in: istintiva, spontanea e riflessa. la prima è puramente spontanea e fatale, la seconda è intermedia tra la prima e la terza, quella volontaria, o libera, o riflessa. ogni fenomeno infatti è un modo, o manifestazione, così l’attività si manifesta in vari modi: vago ed indeterminato, spontaneo, riflesso. Subire e reagire sono un po’ come la sistole e la diastole, la tesi e l’antitesi del movimento attivo. Il moto vago ed indeterminato, invece è quello irriflesso, o inconscio e non è tale per sé, ma perché è in qualche modo rimosso, nel senso freudiano. Anche l’inconscio risente di questa attività, anche essa inconscia di rimuovere dalla coscienza. Nell’attività inconscia sono coinvolte le facoltà della memoria, dell’immaginazione e dell’associazione delle idee. 

Il principio di identità, o non contraddizione, ha un valore, dunque assoluto, solo se riferito all’io, altrimenti ha un valore relativo. Io=Io, questa è un’equazione che ha sempre un valore in qualunque tempo, mentre il principio di non contraddizione non ha valore se applicato al tempo, tanto è vero che per le verità storiche Leibniz ammise il principio di ragion sufficiente. In altri termini il principio di ragion sufficiente vale per il non-Io, ma anche per l’Io. Perché io esisto? L’io è la costante psicologica originaria. La costante cosmologica, non quella fisica, dovrebbe essere Dio, che è sempre un io, sebbene assoluto. Il non-Io è l’inconscio, inteso in senso più ampio non solo come il rimosso freudiano (che è conscio diventato inconscio), ma l’incosciente, cioè tutta la natura, o universo dotato di inconscio latente, come la materia inorganica. Diciamo così perché presupponiamo una sostanza noetica universale presente in tutta la materia, ciò che gli antichi definivano come Anima Mundi. Il problema sorge nel momento in cui ci chiediamo: donde proviene l’io? Dall’esperienza? In parte. D’altra parte l’io è apriori, come sosteneva Kant. O è innato. Noi sosteniamo che l’io è forma e materia originaria a sé, trasferito dall’Assoluto. Solo nell’ambito spirituale, o pneumatico, troviamo l’idea d’io. Possiamo ammettere una coscienza latente, o indita, nel mondo animale e vegetale. La coscienza addita, o autocoscienza è di origine soprannaturale. Il super-coscienziale e l’ultracoscienziale (cioè la visione mistica, o paranormale) si rapportano all’in-coscienziale. L’a-io non è il non-io. Quest’ultimo procede da negazione o determinazione dell’io. I principi logici si riferiscono all’io. La Natura procede per processi inconsci, o latenti, solo nella parte spiritualizzata (uomini e spiriti) procede per processi consci o auto-consci, cioè atti puri, nn contaminati da induzioni esterne, né interne, ma dalla pura volontà di potenza. L’io è anche volontà assoluta. L’identificazione avviene tra diversi livelli dell’io: io=io (io empirico); Io=io (io collettivo); D-Io=io (io assoluto). Coscienza e autocoscienza sono diversi livelli di identificazione dell’io, nel suo cammino verso l’Assoluto (l’hegeliano romanzo della “Fenomenologia”). L’ultimo grado non è panteistico, ma mistico. Il principio di identità raggiunge il suo massimo grado di comprensione e perfezione nell’identificazione di Dio e Natura (Deus sive Natura) che però non può essere pensato ingenuamente, cioè panteisticamente. Il fichtiano “io è tutto” in Schelling si trasmuta in “tutto è io”. Wittgenstein: «Non come il mondo è, è il Mistico, ma che esso è». Il che significa a livello logico che il principio di ragion sufficiente al suo massimo grado è mistico e che coincide unicamente in questo grado col principio di identità al suo massimo livello (D-Io=Io=io). 


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