lunedì 20 settembre 2021

Un’altra realtà è possibile: un narratore dal “fiato cosmico”

Sul libro di racconti di Subhaga Gaetano Failla La casa sul molo di Nantucket  (Ensemble 2018)
 

Recensione di Battista Trapuzzano

Subhaga Gaetano Failla è uno scrittore  singolare, complesso. Sicuramente suggestivo. I suoi racconti raccolti in questo bel libro dal titolo  La casa sul molo di Nantucket  ci aprono davanti il viaggio, l’inizio d’un cammino o d’una astrazione ideale. Dal molo di Nantucket sembra muoversi un’ombra silenziosa e memorabile. È l’ombra avvolgente della letteratura. Da quel luogo reale, da un’isola degli Stati Uniti d’America, erano già partiti due grandi scrittori: Herman Melville e Edgard Allan Poe. Il primo per assecondare i fantasmi  della mente  nella ricerca ossessiva di sé stessi nel nome della Balena Bianca; il secondo per dare luce alle profondità indistinte del mistero, dell’orrore, dell’angoscia ineluttabile che  è dentro  ogni  essere umano.  
Ho voluto fare questa premessa semplicemente per dire che tutto il libro di Failla, dalla prima pagina all’ultima, è intessuto delle medesime trame suggestive, dello stesso clima mutevole e immaginifico. Il “fiato cosmico” che si respira in questi racconti è governato da un’atmosfera metafisica, surreale.  La narrazione è cinematografica, filosofica, favolistica. In questi trentacinque racconti tutto sembra muoversi su due realtà parallele: una onirica che ospita i viandanti del dell’effimero in una nebulosa sospesa tra lo spazio remoto del tempo in espansione;  l’altra terrena, pragmatica che tenta di protegge gli uomini dalla violenza quotidiana dell’indifferenza.
Subhaga Gaetano Failla da sempre, almeno da quando lo conosco, ha fatto della sua vita erratica  una grande scatola colorata dentro cui  sono conservate in gran segreto le felici parole del gioco letterario; le parole festose e seducenti che a lui servono per  raccontare e costruire storie anche impalpabili, a volte infelici, a volte ossessive.  Le sue storie sono una specie di vocabolario minimo delle “circospette” illusioni;  un vocabolario minino dove si può  sfogliare la definizione giusta per ogni sentimento o per ogni  emozione; dove si può facilmente precipitare rischiando di perdere oltre alle tracce la meta, la supponenza del viaggio. Questi racconti sono misteriosi e realistici nello stesso tempo. Le pagine dentro cui si muovono i suoi personaggi sono affollate di luoghi, di persone, di odori, di sospiri, di voci convinte, sonanti che ci aiutano a venir fuori dal labirinto dell’esistenza. La lettura è l’unica forma di vita possibile, sembra dirci Failla. E questo per noi potrebbe essere  il messaggio: usare i  suoi racconti come chiave segreta per passare di là dal muro, di là dal confine che ci separa dal sogno, dall’utopia e dalla nostalgia d’un altro mondo possibile. Il mondo degli angeli lacerati dai miracoli della scrittura, dalle sfere celesti del pensiero, che si congiunge agli spazi affollati del nostro vuoto.
Failla  stesso è come se fosse vissuto da sempre tra le pagine dei libri più belli della  letteratura mondiale. Ne cito qualcuno fra i tanti: le novelle orientali de Le mille e una notte, La foresta incantata di Mary Stewart, Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne, i Quarantanove racconti di Hemingway,  Le menzogne della notte di Bufalino. È come se fra le pagine dei tanti autori da lui amati Failla si fosse costruito il suo rifugio da esule, da spiaggiato della vita ma soltanto per  discutere di linguaggi, di speranza con Bukowski, con Bonaviri,  con Tabucchi, con Kafka, con Borges, con Leopardi.
Ai suoi futuri lettori  vorrei  suggerire che non c’è scrittore più lettore di lui e non c’è lettore più scrittore di lui, in questo esempio che non va mai al di là della compiacenza.
La vocazione ossessiva della scrittura coinvolge forse tutti gli scrittori di storie ma in Failla questa ossessione non è semplicemente suggestiva né tantomeno autoreferenziale né meccanicistica, né  autolesionista. In lui, questo aspetto filosofico,  retorico  della scrittura è  impastato con la materia pulsante della poesia.
Infatti i protagonisti di questi suoi racconti sono soggetti  della sfuggevolezza. Zio Pino elegante, sofferente, straniata apparizione fugace nell’adolescenza dello scrittore; la madre fievole, forse destrutturata che muta espressione col mutare delle parole; il padre, magrissima, nostalgica figura che rema veloce sul mare della tenerezza per condurre in salvo suo figlio,  fuori della realtà ossessa.
Soprattutto ci sono gli “angeli necessari” che ci proteggono: vite del dopo vita  di ritorno dal Paradiso. E quei racconti fulminanti di A casa dove, Il fiato comico, L’odore del fango: ritrovata sostanza poetica nel ricordo d’un altro mondo certo in uno dei numerosi pianeta Terra. E poi  il sentimento forte dell’amicizia; l’amicizia che fa eco e che Failla richiama a sé con un grido lievissimo; quasi un sussurro consegnato fra le braccia di Manu, di Emilio, di Battista, di Giacinto, di Salvatore, di Mimmo. Le sue lezioni astratte d’una vita oltre la vita.
Come ricordavo, bisogna leggere e rileggere questi trentacinque racconti. Ci aiuteranno (mentre il tempo ci ha ridotti carnefici e vittime  delle  paure) a superare le difficoltà e le incomprensioni; ora che alle grida di speranza rispondiamo con il disprezzo delle diversità; ora  che alla conoscenza  reagiamo con  l’ostruzione dell’ignoranza, la letteratura  potrebbe, davvero, strapparci da noi stessi e consegnarci agli altri con meno diffidenza e meno rancore. Tanto questa è  la sola vita che ci è stata data in prova e non ne conosciamo un’altra con cui sostituirla.
Subhaga Gaetano Failla, in questi bellissimi trentacinque racconti, ce ne suggerisce, parallelamente, un’altra di vita: quella dell’immaginazione e della poesia.
Seguiamo il suo consiglio e tutto, come diceva Pascal alla fine della sua esistenza nello straordinario racconto di Failla, ci darà gioia, gioia, gioia, lacrime di gioia.
 


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