venerdì 16 luglio 2021

News di luglio

di Adele Desideri

Gentili lettori segnalo

*Il volume di don Graziano Gianola, Guariti da Gesù. Lectio sul Vangelo di Marco, Ancora, 2021. Don Graziano - Vicario parrocchiale della Comunità Gesù Buon Pastore (Santa Maria del Buon Consiglio e Santi Giovanni e Paolo, Bovisa, Milano) - è mancato il 12 luglio 2021, a causa di un tragico incidente avvenuto in montagna, lungo il “sentiero delle vipere” sull’Altopiano Brentonico (Trento), precipitando in un dirupo per decine di metri. Stava accompagnando un numeroso gruppo di ragazzi dell’Oratorio. Aveva quarantasette anni. Don Graziano era un uomo di rara sensibilità, di eccelsa spiritualità, capace di vedere, in ogni uomo, soprattutto il bene. Sacerdote di ampia e profonda cultura, aveva scelto di vivere la sua vocazione con gioia, con lievità, con responsabilità. Era un amico, un vero amico, oltre che un imprescindibile direttore spirituale. Chi lo ha conosciuto, farà fatica a sostenerne la mancanza.
“Don Graziano, da lassù, presso Colui che tutto sa, continua a guardarci con i tuoi occhi così vivaci e al tempo stesso così comprensivi. Noi per te pregheremo” (Adele Desideri).

“Perdonare è chiedere la pace del cuore. Finché un cuore è abitato da sentimenti negativi causati da un’ingiustizia, farà fatica a star bene perché il male subito ti si appiccica addosso, ti avvolge come la zizzania col grano, non ti fa respirare. La tua vita in quel momento è riletta a partire dal torto subito e ti fa soffrire. Bisogna liberarsi di tuto ciò che non ci fa vivere. In questi casi essere un po’ egoista aiuta. Il perdono è necessario alla persona che lo dona per liberarla da qualcosa che potrebbe divorarla dall’interno: può distruggere la gioia, la capacità di amare pienamente e incondizionatamente. (…) Il perdono permette che finisca il tormento dentro il cuore. Anche perché a chi ti ha fatto del male non importa del dolore che provi e che non ti lascia vivere. A volte gli fa anche piacere” (pag. 92).

*Segnalo l’interessante, accurato, profondo saggio di Paola Spigarelli, Le scrittrici di D’Io, FaraEditore, 2020, prefazione di Ardea Montebelli, opera segnalata al concorso Faraexcelsior 2020 da Claudio Fraticelli.
Paola Spigarelli, nata nelle Marche, è romagnola di adozione. È educatrice, moglie e madre. Fin da piccola è innamorata dei libri, che l’hanno accompagnata nella sua formazione e arricchita nella sua crescita personale. Dopo la laurea in Pedagogia, ha seguito per diversi anni corsi di letteratura femminile che hanno alimentato e rinnovato il suo amore per biografie e scritti di donne. Nella sua professione a contatto con i bambini e nella sua passione per la scrittura, le storie da raccontare la aiutano a veicolare sempre messaggi di forza e positività, la stessa che le grandi donne del passato le hanno regalato. Sorelle e madri (Fara 2019) ha vinto il concorso Faraexcelsior.

“Il mondo umano possiede una misteriosa profondità, grazie alla quale è aperto all’ignoto, a Dio, anche quando non ne è cosciente. La donna, con bacchetta da rabdomante, penna in mano e cuore aperto, va alla continua ricerca di quel tesoro, nella sua interiorità e in tutta l’umanità, per gustarlo e portarlo alla luce. Scavando nella memoria, nella natura e nei gesti quotidiani, le grandi scrittrici hanno spolverato la facciata opaca delle cose, per rendere visibile la grazia. Parlando di sé, scavando nella propria interiorità alla ricerca dell’Io, sono arrivate, consapevolmente o no, a Dio e viceversa: parlando di Dio sono arrivate a conoscere il proprio Io. Come le due parole sono custodite l’una nell’altra, così le due realtà, personale e divina, arrivano a collidere” (dalla prefazione di Ardea Montebelli).
“Un saggio, ben scritto, che, oltre a mettere insieme con accuratezza una quantità di informazioni, fa emergere le combinazioni di rapporto così da rintracciare la “sostanza” che unisce scrittrici del '900 attratte dalla “trascendenza” (Claudio Fraticelli)

“L’intuizione della divinità è già una forma della sua presenza” (Maria Luisa Spaziani, Donne in poesia, interviste immaginarie. Dialoghi di passione nell’officina poetica di venti grandi firme di donna, Marsilio 1992, in Paola Spigarelli, Le scrittrici di D’Io, FaraEditore 2020, pag. 35)

“Ho appreso a vivere in modo semplice, saggio,/ a guardare il cielo, a pregare Iddio,/ e a muovermi a lungo innanzi sera/ per fiaccare l’inutile inquietudine.//” (Maria Luisa Spaziani, Donne in poesia, interviste immaginarie. Dialoghi di passione nell’officina poetica di venti grandi firme di donna, Marsilio 1992, in Paola Spigarelli, Le scrittrici di D’Io, FaraEditore 2020, pag. 37).

“Vengono, invece le pazienze.// (…)/ Fin dal mattino esse vengono davanti a noi:/ sono i nostri nervi troppo scattanti o troppo lenti;/ è l’autobus che passa affollato; il latte che trabocca,/ gli spazzacamini che vengono,/ i bambini che imbrogliano tutto./ Sono gli invitati che nostro marito porta in casa e quell’amico che, proprio lui, non viene;/ è il telefono che si scatena;/ quelli che noi amiamo e non ci amano più;/ è la voglia di tacere e il dover parlare;/ è la voglia di parlare e la necessità di tacere;/ è voler uscire quando si è chiusi/ e rimanere in casa quando bisogna uscire;/ è il marito al quale vorremmo appoggiarci/ e che diventa il più fragile die bambini;/ è il disgusto della nostra parte quotidiana,/ è il desiderio febbrile di tutto quanto non ci appartiene.// Così vengono le nostre pazienze, in ranghi serrati o in fila indiana, e dimenticano sempre di dirci che sono il martirio preparato per noi.” (Madeleine Delbrêl, Il piccolo monaco. Un taccuino spirituale, Gribaudi, 2000, in Paola Spigarelli, Le scrittrici di D’Io, FaraEditore, 2020, pag. 99-100).

“Se dovessi scegliere una reliquia della tua Passione/ prenderei proprio quel catino d’acqua sporca./ Girare il mondo con quel recipiente/ e a ogni piede cingermi dell’asciugatoio/ e curvarmi giù in basso,/ non alzando mai la testa oltre il polpaccio/ per non distinguere i nemici dagli amici/ e lavare i piedi del vagabondo/ dell’ateo, del drogato,/ del carcerato, dell’omicida, di chi non saluta più,/ di quel compagno per cui non prego mai,/ in silenzio,/ finché tutti abbiano capito nel mio/ il tuo Amore.//” (Madeleine Delbrêl, Il piccolo monaco. Un taccuino spirituale, Gribaudi, 2000, in Paola Spigarelli, Le scrittrici di D’Io, FaraEditore, 2020, pag. 105).

“Insegnaci a essere utili/ senza la pretesa di essere efficaci.//” (Madeleine Delbrêl, Il piccolo monaco. Un taccuino spirituale, Gribaudi, 2000, in Paola Spigarelli, Le scrittrici di D’Io, FaraEditore 2020, pag. 110).

*Segnalo l’ottimo saggio di Carla Stroppa, Gli spostati. Vivere senza amore, Moretti&Vitali 2020.

“Dedicato a tutti coloro che non hanno potuto individuare il loro centro di energia e di autenticità, quel senso di sé senza il quale non si trova il proprio posto nel mondo e si finisce per inseguire mete che prima o poi rivelano il loro punto di collasso e la loro irrilevanza ai fini di una esistenza che si possa dire veramente umana e piena. Dedicato a coloro che disillusi sino al midollo e senza speranza di riscatto si ritirano dal mondo e approdano al cinismo che li trasforma via via in malinconici e non di rado supponenti affossatori della bellezza e dell’amore. Dedicato a coloro che si sentono asini senza sapere che la loro asinità può preludere a un percorso di conoscenza spirituale e iniziatica. Non è facile rivolgersi al nucleo ancora innocente dei lettori. Rivolgersi al fanciullo segretamente rintanato nell’anima, al fanciullo che ha bisogno d’amore, che non parla e non comprende il discorso dell’adulto che lui stesso è diventato, esattamente come l’adulto non comprende quello del bambino, ancora traboccante di sogno e meraviglia, sebbene lui parli anche troppo e troppo spesso di vane cose, vuote di sentimento. Smontare la facciata fasulla dei discorsi senza costruirne un’altra altrettanto barcollante e fasulla, è impresa utopica e ardua, a rischio di fraintendimento e di sdrucciolevoli confini. Tant’è, questa è la tensione che mi motiva a scrivere e a svolgere il mio lavoro clinico. Nel solco conoscitivo della psicologia analitica di C.G. Jung, ma in modo sostanzialmente indipendente dalle astrazioni teoriche, che rimangono implicite beninteso, senza per questo determinare la rotta del mio argomentare, desidero piuttosto raccontare, un po’ favoleggiando, un po’ parodiando, molto disquisendo su seri argomenti. Lo faccio in costante ascolto delle voci plurime che mi raggiungono uscendo dalle pagine dei numerosi libri che leggo e che mi stupiscono ogni volta per come le medesime cose possono venire dette con linguaggi e narrazioni differenti… Dedicato a tutti coloro che ce l’hanno fatta a dare un senso alla loro vita proprio a partire dallo squarcio che il dolore e lo smarrimento ha aperto nel loro cuore e nella loro mente. Dedicato a coloro che hanno il coraggio di un pensiero libero. A tutti coloro che, come l’Odisseo, conoscono la tensione all’oltre ma in essa non si perdono e comprendono che l’orizzonte dell’avventura è la vita in quanto tale.”

“Ho sempre provato una certa tenerezza per gli adolescenti allo sbando, qualcosa in loro aggancia il mio cuore: mi fa ricordare la fatica che ho fatto quando ero una ragazza che non trovava il posto giusto nel mondo. Mi fa ricordare la solitudine, lo smarrimento, il senso di diversità che mi hanno accompagnata a lungo e con i quali solo in età avanzata ho imparato a convivere, riuscendo persino a farne qualcosa di propulsivo, e ho imparato a distinguere nel pensiero di tanti autori la stessa impronta. A volte proprio il senso di diversità che sposta da un modo comune di interpretare la vita, a fronte di una faticosa e dolorosa ricerca certo, può riposizionare su un piano più alto e inclusivo. La storia del pensiero e dell’immaginazione è sempre lì a dimostrarlo” (pag. 124).


*Il romanzo di Giorgio Comini, La verità riflessa, postfazione di Stefano Martello, FaraEditore 2020. Opera seconda classificata al concorso Faraexcelsior 2020.
Scritto con tonalità delicate, con tocchi di lieve, eppure elevatissima, spiritualità, con accenti di gentile ironia, il libro di Giorgio Comini non è solo un delicato romanzo, è anche un saggio sull’età del tramonto, sul senso della vita e della morte, della memoria, della follia, della bellezza, dell’arte. In queste pagine la sensualità si colora di tenerezza, il dolore si fa quieto nella fantasia, e la gioia traspare nel sorriso, appena accennato, di un vecchio che torna bambino (Adele Desideri).

Giorgio Comini, sacerdote dal 1994, ha studiato alla Facoltà di Scienze Sociali dell’Università Gregoriana e a Washington DC (Master sulle Politiche familiari negli Stati dell’Unione), ha completato i suoi studi con una Laurea in Scienze Politiche presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e un Master in mediazione familiare presso la stessa Università. Direttore dell’Ufficio Famiglia della Diocesi di Brescia dal 2003 al 2018, è docente di Sociologia fondamentale e di Sociologia della Religione presso il Seminario. È direttore del Centro Famiglia Diocesano e dal 2016 del Centro di Spiritualità Famigliare san Paolo VI. Nel 2018 pubblica il suo primo libro La Farfalla e l’aquilone.

“Per capire la vita bisogna imparare a leggere i riflessi. «La verità delle cose, la cogli meglio nel riflesso. Se la prendi di petto, ti abbaglia e ti stordisce. Meglio guardare il suo riflesso… Alla fine, anche noi, siamo riflessi di qualcuno di più bello e più grande.»” (pag. 30).

“«Senza significati non si può vivere. E quando la vita ti obbliga a lasciarne tanti alle spalle, allora devi ingegnarti a trovarne di nuovi. Sì, i significati sono le ali della vita, o un paracadute nelle voragini dell’esistenza.»” (pag. 35).

“Vedendo la vita sfuggire di mano, gli anziani abitualmente si legano di più alle memorie. Se li si ascolta senza pregiudizio, per chi è più giovane, riescono a fare del passato un trampolino di lancio verso il futuro” (pag. 35).

“I riti sono fondamentali per tutti gli esseri umani e per ogni età. Specularmente, accade che prendano maggiore importanza quando si è piccoli e quando si diventa anziani: danno sicurezza e placano le ansie. I riti ti fanno sentire a posto, accolto e atteso. Non devi applicarti con grandi ragionamenti: soprattutto, fare e lasciar fare, sentire sulla pelle e nel profondo. Poi, devi solo aspettare e vedrai che il rito ti porterà alla finalità desiderata. (…) Loro raggiungono il tempo dell’anima, lento come l’eternità, e sanno incidere nel cuore memorie inossidabili” (pag. 37).

“«La libertà sta nel vivere gratis. Sì, come un fiore del campo: stupendo, inimitabile, eppure così umile da non ostentare la sua bellezza e da permettere di essere falciato insieme all’erba. Per questo fiore, diventare fieno per animali o paglia da humus non è uno smacco, non deprime la sua esistenza. Lui vive completamente per quel che è, senza pretendere altro. Libero. Amico di tutti e servo di nessuno!»” (pag. 39).

“«Un cavallo di razza è speciale, anche se solo alza la coda per flatulare!»” (pag. 50).

“«Di questi tempi, sono pochi quelli che possono capire il valore degli oggetti della memoria. Sono le cose che fisicamente ti tengono legati alle persone amate e ora sparite. È dura rimanere soli, essere lasciati indietro da coloro che ti sono passati avanti, oltre la famosa porta della morte.»” (pag. 53).

«Noi siamo riflessi di cielo, non ombre di notte. E come tali dobbiamo essere trattati. Come tali dobbiamo aiutare gli altri!»” (pag. 121).

*L’auto-antologia con poesie inedite 1976-2018 di Ottavio Rossani, Soverato, i Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno, 2019.
“Il verso di Rossani (…) forse non seduce, sicuramente sollecita l’attenzione e interroga. È un verso che codifica e decodifica, di volta in volta, quello che l’autore coglie intorno e dentro sé; un verso che talvolta soffoca quasi l’emozionalità determinando, per converso, l’effetto opposto dello scatenamento affettivo. Il fatto, attuale o ricordato o semplicemente vissuto nell’incavo dello stato d’animo dell’autore, sta lì, si pone e si espone. E costringe il lettore ad esporsi a sua volta, a mettersi in relazione con la cripticità del divenire, con il fiume eracliteo in cui pànta rèi (tutto scorre). Nel transitare delle cose, nel trascorrere del tempo, nel presente che è già passato e che costituisce l’incipit del futuro, il fatto - quel qualunque fatto che riemerge dal sonno della memoria o che viene “dipinto” nella dinamica storicità di un particolare momento - parla, attraverso le poesie di Rossani, e (…) allude al quesito essenziale che si esplica tutto nello scorcio dei secondi disponibili per l’uomo tra la vita e la morte. Il lettore, poi, ogni lettore, nel silenzio della propria voce interiore, potrà trovare le personali risposte a tale dirompente interrogazione” (Adele Desideri).

“Dentro le ombre degli alberi sul Lungomare/ rivivono le figure della giovinezza che/ negli occhi sono ancora forti e ardenti/ (…)/Per me è stato ed è ancora Soverato//”.

*La preziosa raccolta di poesie di Ottavio Rossani, La luna negli occhi, Nino Aragno Editore, 2019
“Vale la pena di scrivere ancora poesie d’amore? Nella tradizione italiana la poesia d’amore è una tendenza incancellabile, divisa tra due lunghe traiettorie, dantesca e petrarchesca. Ottavio Rossani ritiene che non si può fare a meno della poesia d’amore. Ma anche che bisogna trovare un modo nuovo di inventarla. L’amore è passione, è vita, è morte. Amare è vivere, forse saper vivere. Forse anche sapersi preparare al finale dell’esperienza esistenziale, perché nell’amore è implicito anche il dolore di perderlo. Non saper amare è lentamente morire in un risentimento per quel che poteva essere e non è stato. In questo canzoniere d’amore, l’autore celebra l’amore anche come riconoscimento dell’altro/a, il dono gratuito che rende uomini e donne degni di generare vita. Come la poesia stessa, quando incondizionatamente annuncia il futuro.”

“Quando arriva l’ora mediana che precede la sera/, il mio pensiero di ferma sulla tua mano/ che si muove sul punto di delizia del tuo corpo/ scoperto dalla commozione./ È quell’ora in cui il languore/ stravolge i sensi nel sangue ardente,/ è quell’ora in cui mi piace guardarti/ e accompagnarti nel viaggio tra roventi fantasie./ Da tempo abbiamo disegnato una reciproca mappa/ delle migrazioni sul pianeta dell’impertinenza erotica./ E i racconti non sono soltanto sguardi,/ sono anche fiotti e risonanze./ Tra gli spasmi si potrebbe anche morire./ Sarebbe la perfetta conclusione del viaggio,/ nel momento più bello, avvolgente, delicato, forte.//”.

*L’originale volume, una pièce teatrale dalle venature storico-saggistiche, di Francesco Poalo Colucci, Storie del regno, Manni 2021.
“Il Regno è il Sud d’Italia che, un tempo, veniva così chiamato. Le storie, inventate ma non troppo, sono narrate con leggera ironia. Il fine dichiarato è quello di provocare nei lettori, e in primo luogo nei giovani, una riflessione sulle questioni sollevate: il passato del Mezzogiorno, l’origine dei suoi mali che riguardano l’Italia intera, i pregiudizi di cui è oggetto, quanto vi è ancora di rimosso nella annessione al Regno di Sardegna. Per un riscatto di quello che fu ‘il più bel Regno del Mondo’.”
Recensito da Fulvio Colucci nella Gazzetta del Mezzogiorno, il 29 maggio 2021.

“Viviamo dei nostri sogni… quando svaniscono moriamo” (pag. 25).

“Cosa distingue una rivoluzione da una rivolta? Forse il fatto che le rivoluzioni si fondano su teorie e ideologie, su idee e ideali diffusi nella società, presuppongono una qualche organizzazione, con delle élites che riescono a porsi in rapporto con le masse. Quando accadde nel Regno con un capo popolo improvvisato che si fece re e impazzì, maldestramente strumentalizzato da una èlite fallimentare, non mi sembra abbia avuto questi caratteri, presenti invece nelle rivoluzioni, come quelle americana, francese, russa” (pag. 62).

“Perché il popolo del Sud, sempre in attesa di un salvatore, si sentì tradito e deluso da Garibaldi?” (pag. 71)

“E tu ridevi e ridevi e il suono delle tue risate si confondeva con il suono delle onde del mare mia stanco. Poi se ne stettero zitti” (pag. 92).



*Segnalo la raccolta di poesie di Gianpaolo Anderlini, Distopie, FaraEditore 2020.

“Siamo soltanto anime meticce/ un alito di terra accarezzato / dal bacio del divino e rimaniamo/ scintilla che si perde in una tenebra/ ottusa e che risplende solo quando/ s’abbassa il cielo e viene a visitarla//”.

“Osservo il gatto mordersi la coda/ con infinite giravolte in tondo/ e corre e corre in cerca di se stesso/ quasi un inconsapevole uroboro/ e rido come ridono i bambini// il gatto con la zampa tiene un attimo/ la coda di un topino e poi lo lascia/ andare e lo riprende ancora vivo/ come se si nutrisse di paura/ e piango come piangono i bambini// il gatto dorme raggomitolato/ sul divano e non lascia spazio ad altro/ che al riposo di un guerriero stanco/ (…)/ e piango come piangono i bambini// ora il gatto si lascia accarezzare/ il pelo liscio di tigrotto rosso/ e fa le fusa come se volesse/ fare dell’uomo solo un animale/ e spero come sperano i bambini// se fossi gatto non saprei odiare//”.

*La delicata raccolta di poesie di Maurizio Vitale, Tramonti, Edizioni Thyrus, 2016.

“L’armadio di fronte al mio letto/ è pieno di stracci,/ di logore vesti passate di moda:/ c’è qualche bel capo in naftalina/ ma che non voglio indossare/ per non sciupare la piega./ Hai presente, Giovanni?/ I vestititi sono come i pensieri:/ con quelli vecchi stai più comodo,/ non hai timori che ti vadano stretti/ e ti puoi sedere sui sassi.//”.

“Quello che molti chiamano il bilancio della propria vita, in realtà altro non è se non il rammarico di non aver fatto quella tal cosa al momento giusto: il senso di frustrazione per aver sbagliato strada; oppure la mortificazione imperitura di uno sconveniente atteggiamento tenuto nei confronti di chi ci stava più vicino (…). Chi è soddisfatto, sazio di vita, bilanci non ne fa.” (dalla nota critica di Filippo Vitali).

*L’interessante romanzo di Rocco Vitale, La storia di Rocco, Edizioni Thyrus, 2013.
Maurizio Vitale ha trascritto al PC i manoscritti del padre Rocco, contenenti le sue memorie, e li ha pubblicati a sua cura. Ne è scaturito un “profilo nobile, onesto e sincero, senza enfasi né retorica”.
“Rocco nacque a Venezia in Calle degli Specchi il 16 maggio 1923 (…) è stato un agente della Guardia di Finanza dal 1941, e ha finito la sua carriera col grado di Maresciallo Maggiore Aiutante, in forza al nucleo di Polizia Tributaria di Milano” (dalla Prefazione di Maurizio Vitale).

“Dalle porte spalancate, uniche aperture degli antri bui, i cosiddetti bassi, si scorgevano i giacigli di foglie di granoturco sfatti, ne veniva un lezzo insopportabile e si vedevano stracci appesi alle pareti, poche misere suppellettili, lanterne a petrolio e l’immancabile fornacella a carbonella su un trespolo con sopra una pignatta dove bollivano in continuazione misture di chissà cosa. (…) I muri erano di pietra incrostata di sudiciume antico. (…) Era tutto un agitarsi di uomini e donne, indaffarati a svolgere fin da prima mattina i più incredibili lavori, sotto festoni di panni stesi a asciugare (pag. 16).

“Dal canto loro le SS cercavano di catturare quanti più nemici possibile e capitava anche che questi venissero fucilati per strada dai plotoni di esecuzione della Wermacht. Prima di ucciderli i tedeschi riempivano loro la bocca di cemento per impedire che continuassero a gridare o a cantare il loro inno nazionale” (pag. 152).

*Luciano Curreri presenta il suo ultimo volume Il non memorabile verdetto dell’ingratitudine, appena uscito per i tipi di Inschibboleth. L’opera rappresenta una distopia arrischiata e originale, è un libello schietto, colto e ruvido, comico e tragico insieme. L’anti-eroe, condannato per plagio da una gravosa e non identificata azienda, ha l’unica colpa d’aver provato ad aiutare un paio di giovani impiegati della stessa. Nei limiti di una surreale e postuma condizione, un narratore improduttivo affida il racconto a una specie di manoscritto sopravvissuto come carne e carta scannerizzate da remoto e spiritico supporto.
Al link www.youtube.com/watch?v=agQg6vD7v4k, intervista con Luciano Curreri, a cura di Paolo Sabbatini, Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles

Luciano Curreri dal 2002 è ordinario di Lingua e letteratura italiana presso l’università di Liegi. Tra i suoi lavori più recenti si possono ricordare: "Volevo scrivere un'altra cosa" (Passigli 2019) "Pinocchio in camicia nera" (2011), "D’Annunzio come personaggio dell’immaginario italiano ed europeo, Una mappa" (2008), "Metamorfosi della seduzione. La donna, il corpo malato, la statua in d’Annunzio e dintorni" (2008), "Mariposas de Madrid. Los narradores italianos y la guerra civil española" (2007), "Un po’ prima della fine? Ultimi romanzi di Salgari tra novità e ripetizione" (2009). Ha svolto attività di ricerca e collaborato con diverse università (Torino, Savoie, Grenoble, Piemonte orientale, Firenze). Cura inoltre volumi per numerose case editrici, tra le quali Ilisso.

*L’imponente volume in due tomi Nicolás Guillén, Obra poética. 1922-1985, traduzione di Gordiano Lupi, Edizioni Il Foglio, 2021.
Scheda consultabile nell’allegato A.


“Ci proteggono le cicatrici/ dai letti vuoti, dalle sottrazioni/ e dai mancamenti.//”
“Incidimi sui palmi il mondo,/ di rosso melograno traboccami.// Quando tutto rovina, come qualcosa/ che ancora sogna e smisura// oltre il recinto del dicibile/ sopravvivimi parola/ a fa’ che tutto ciò che ho amato/ in te si compia e perduri” (Donatella Nardin, Rosa del battito, FaraEditore 2020)


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