sabato 23 gennaio 2021

Teoria dell'impressione


Senza le impressioni, quelle che mi s’imprimono e così non mi lasciano a tasche vuote, sarei nient’altro che un povero: magro, infreddolito, spaventato, vuoto. Ma, l’impressione mi basta.

Occorre desiderarla e, per questo, andare a cercarla evitando di far rumore, di dare dell’occhio. 

Un’impressione si nasconde dentro un suono, un colore, un riflesso, un’ombra, una parola, un’immagine. Ed è come una perla, celata. Si sa che c’è, ma sino al momento della sua scoperta, si dubita e s’ipotizza che: Potrebbe non esserci! 

Questo accade, è vero, anche per un’impressione. Infatti, non in tutti i suoni, colori, atmosfere, fenomeni fisici, è racchiusa un’impressione. 

Un’impressione si deve anche a uno stato d’animo che tanta influenza esercita sulla sensibilità, il talento, il Genio di chi udendo, vedendo, vivendo, cattura e si arricchisce. 

In oltre, si deve tener conto dell’ambiente, prossimo e circostante, insieme al tempo e allo spazio. Il tempo e lo spazio, nel girotondo delle impressioni, hanno una priorità assoluta poiché sono e sempre saranno la cornice entro la quale il ricercatore d’impressioni si muove, agisce, talvolta in modo distratto, non concentrato. 

Stati d’animo, ambienti, tempo e spazio, entrano e danno forma e sostanza all’impressione che, poi, nel caso di un poeta o di un pittore, afferra e usa come il vasaio la morbida creta. 

Affinché, poi, un’impressione diventi un’opera – una poesia, un quadro –, un’opera d’arte se si è baciati da un vero stato di grazia, occorre la magia, vale a dire: Occorre superare le barriere materiali e fisiche privando l’oggetto – un suono, un colore, un profumo, una parola… – della sua consistenza corporea, spogliandolo, e così operando conferire a questo quel patrimonio di alterità che il poeta o il pittore possiede nel suo Genio. In altre parole: L’impressione diventa una poesia, un quadro, quando il soggetto creatore frantuma nel mortaio i pigmenti, carichi di materia e perciò di limite, trasformandoli in essenze; essenze liberate dal castello che li teneva prigioniere allo scopo di mostrare loro solo una parte di quel che veramente esiste. 

L’impressione che diventa un’opera d’arte – una poesia di Giacomo Leopardi o un quadro di Claude Monet – non scompare, non si smarrisce, non evapora al suo interno, ma, seminando questa anche solo tramite piccole tracce – i sassolini o le molliche di pane delle antiche fiabe –, si fa trovare benché trasfigurata e, quindi, quasi irriconoscibile all’occhio bendato, all’udito ovattato. 

Il fatto che l’impressione – cellula, genitrice – non si dissolve come nebbia al sole, non subisce il tristissimo destino di una bellissima bolla di sapone, è di fondamentale importanza per chiunque, vedendo e udendo, si pone di fronte ad un’opera creata da un poeta o da un pittore. Infatti, colui che, pur inconsciamente, ascolta o vede una poesia o un quadro, sempre andrà alla ricerca del principio generante, della causa. 

Costui non lo sa, ma ascoltando la poesia: L’infinito di Giacomo Leopardi, immaginerà un colle, una siepe; o guardando il quadro: I Papaveri di Claude Monet, immaginerà una passeggiata, una scampagnata. Ecco: Immaginerà! Ah, la potenza dell’immaginazione!

È L’infinito, I papaveri, con il loro concentrato d’impressioni trasfigurate, che spingono a immaginare e, quindi, a cercare e trovare l’”ermo colle”, il campo di papaveri. 

Si tratta del potere di suggestionare l’udente o il vedente che l’impressione possiede quando è polverizzata e seminata a piene mani sul terreno fecondo di un foglio di carta o di una tela bianca. 

Sarà questa suggestione a far incontrare l’autore dei versi o dei colori e con lui, insieme, il suo mondo interiore, il suo buon Genio, che vivendo nel mondo dei sensi, delle materie, dei corpi, viene, sempre e comunque, e nel grande emporio tutto acquista per poi ricreare nel suo laboratorio tutto quello che pur reale nessuno come lui vede, ode, vive. 

Per tutte queste meravigliose ragioni, le impressioni vanno protette.

Ecco che, allora, le impressioni non sono una minaccia sparata contro la realtà, ma, al contrario, sono il buon nettare che proprio la realtà può succhiare e, per miracolo, trasformare in dolce, dorato, luccicante miele.

Dunque, un’impressione è come la corolla di un fiore, un’impronta digitale, un rullino fotografico, una lastra magnetica. 

Però, l’impressione ha un’esigenza: Deve avere un habitat che le consenta di farsi notare, catture, trasfigurare. 

Questo il motivo che dovrebbe spingere la specie umana a proteggere tutto quello che ha a che fare con il mondo strano, misterioso, quasi incomprensibile, non immediatamente empatico dei poeti e dei pittori, degli scrittori e degli autori delle arti figurative. 

Se siamo giunti a questo richiamo, è perché esiste il rischio reale, tra non molti anni, di non più riuscire a catturare e poi trasfigurare impressioni per via di un semplice ma grave fatto: Queste potrebbero non più esistere in natura, non più essere nascoste all’interno delle materie e dei corpi che danno forma e sostanza alla nostra vita umana. 

Detto in modo più diretto: Tra qualche anno le api – i poeti, i pittori, gli scrittori, gli artisti – non produrranno più miele perché non troveranno più nettare da succhiare. 


Volevo vivere profondamente, succhiare tutto il midollo di essa” (da Vita nei boschi di Henry David Thoreau).


Questa, allora, e non stiamo esagerando perché non abbiamo nessuna voglia di scherzare, sarebbe una tragedia, una catastrofe umana. 

Il poeta, chiunque vive del suono e della scrittura delle parole, non troverebbe più nulla che lo impressioni e impressionandolo lo spinga a scrivere versi, parole, atte a fiondare l’uditore molto oltre i confini, gli spazi, i tempi convenzionali; il pittore, l’autore di un’arte figurativa, non vedrebbe più nulla che lo impressioni e impressionandolo gli offra motivi per dipingere, disegnare, modellare, e così poter proiettare il vedente al di là dal vedibile e del visto. 

Nel malaugurato destino che questa prevedibile tragedia umana si realizzi, il mondo rischierebbe di smarrire per sempre il suo senso, la sua ragione d’essere. 

Solo un mondo popolato anche d’impressioni è capace di continuare a tendere verso l’orizzonte del futuro, ad andare oltre la siepe, “che da tanta parte / dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”, il limitato campo di papaveri. 

Le impressioni nutrono tutti coloro che per sensibilità innata sentono di doversi caricare del peso della contingenza, il quale poi gettato nelle acque del fiume minaccioso, che viene suo malgrado guadato, consente di mitigare assai il presente rendendolo docile alla navigazione. 

Sono e saranno i cacciatori d’impressioni – poeti e pittori, e gli altri tutti – a rendere possibile l’attraversata oceanica, il vasto mare della vita. Mai li spaventerà né la profondità né la distanza. Abbattendo con l’udito e la vista il non-senso dell’ignoto, dell’oltre e dell’oltre ancora, ecco all’orizzonte albeggiare, ecco le case e il nuovo mondo, ecco i versi e i colori tuffarsi nel sole che sorge, alto e bello, oltre il mezzodì e le nostre povere ma salve vite.


Così tra questa

Immensità s’annega il pensier mio;

E il naufragar m’è dolce in questo mare. 




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