venerdì 16 ottobre 2020

Il beato in jeans





Lo si vede vestito così, dentro l’urna in vetro e marmo che custodisce il suo corpo, il Beato Carlo Acutis, 15 anni. A guardarlo bene, appare come addormentato, immerso in un sonno profondo, sereno, ricco di visioni. Contemplando il suo volto, vien subito da pensare, che deve aver vissuto da felice, appunto da beato. E non si può non intravedere o almeno immaginare il Mistero che ha affascinato e rapito la sua vita di bambino e adolescente.

Il Mistero è stato solo uno, ma grande come il cielo e oltre: l’Eucaristia e, quindi, Gesù realmente vivo e presente tra le nostre case. Carlo ne fu sempre attratto: “Andiamo a salutare Gesù!”, chiedeva trovandosi a passare davanti a una chiesa. E dopo la Prima Comunione, a soli 7 anni, eccolo tutti i giorni davanti al tabernacolo, nel silenzio della preghiera personale, prima e dopo la Santa Messa.

Lo si osservava a distanza, Carlo, quand’era in chiesa, assorto, per non disturbarlo, per gustare di nascosto il suo volto bello come il sole, per domandarsi: Chi è? Quali le parole sulle sue labbra oranti?

Chi l’ha incontrato e si è lasciato avvicinare, ascoltare, aiutare, è rimasto poi ammutolito, meditabondo, reagendo così alla sua dolcezza, semplicità. Quando si entra in contatto con il soprannaturale accade sempre che qualcosa, pur piccola e apparentemente insignificante, inizia a cambiare; che i colori quotidiani della vita non sono più quelli d’un tempo.

Il tratto distintivo di Carlo, che lo metteva subito in relazione e comunicazione con l’altro, era, in particolare: la spontaneità. L’adolescente, per sua natura, di solito non lo è, perché insicuro e impacciato. Carlo dimostrava una disarmante maturità nella manifestazione della sua Fede radicata nell’Eucaristia e nella devozione mariana.

Attraeva, perché sconcertava specialmente i suoi coetanei, i suoi insegnanti, e lo sconcerto non tardava a mutarsi in simpatia, in amicizia, in desiderio di condividere almeno qualche passo, qualche slancio, con lui, come lui.

Nel suo breve tempo – e a riguardo, questo breve dipende solo dai nostri umanissimi calcoli, che molto devono farci sorridere –, Carlo ha assimilato la buona notizia in modo così intenso, che a soli 15 anni non era più lui a vivere, ma Gesù in lui, tramite la sua contagiosa testimonianza.

Conforme in tutto e per tutto al suo Gesù, anche nella passione, Carlo ferma i suoi passi di apostolo per le vie di Milano quando, secondo gli imperscrutabili disegni divini, chi gli stava prossimo sarebbe potuto uscire a riveder le stelle. Ma la buona stella del mattino era già sorta, là, in alto, e lui ha chiuso i suoi occhi terrestri per riaprirli in Paradiso, felice, beato.

All’inizio di questo primo secolo del terzo millennio, dove l’uomo è orfano di sé stesso, ancor prima che della sua sostanza divina; dove l’uomo stenta a riconoscersi umano, ecco Carlo con la sua bussola spirituale, con il suo zaino, i suoi occhiali da sole, il suo computer, il suo passo da scalatore, a indicare la giusta autostrada, quale sia il vero segreto della vita umana.

Allontanandosi dal suo sepolcro, prima di uscire, non si resiste alla tentazione di mandargli un bacio, una carezza, un sorriso. Ed eccolo rispondere con il suo volto raggiante, la corona del Rosario tra le mani e i suoi jeans da ragazzo felice d’essere amico di Gesù per l’eternità.

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