giovedì 9 aprile 2020

Gli occhi



                     

 Capitò un mercoledì, nel mezzo della settimana. Occhi. Talvolta occhi sfuggenti. Ma poi. Come ridere con gli occhi? Come dire sì con gli occhi? Come dire grazie senza parole, senza labbra, senza un baluginio di denti? Quel silenzio inusitato degli occhi che dicono.
   Certo, c’erano le nuvole in cielo. Sicuramente la lava scivolava dalle pendici dei vulcani e incendiava case, liquefaceva strade, uomini, animali, talvolta perfino interi pianeti, e lacrime solitarie scorrevano su visi trasparenti. C’erano le nuvole nere e solo pochi occhi.
   Il mare era privo di varchi in superficie, nessun vascello, braccia di nuotatore, lenza da pesca, pallone arancione che salta sull’acqua blu dipinta di blu. Solo un gioco d’infanzia e una vecchia canzone. Solo i soli, stelle e solitudini di ultimi attimi, e di attimi postumi. Anch’essi. Soli.

   “Ha da accendere?”
   “Sta scherzando?”
   “Questa è una sigaretta spenta. Cosa c’è da scherzare?”
   “Vada via!”
   “Perché?”
   “Lei non sa!”
   “Non so?”
   “Ah!”
   “Oh…”
   “Polizia!
   “No!”
   “Polizia!”

   L’uomo guarda alla finestra. Gabbiani nel cielo. Qualcuno attende all’uscita della banca. Un vecchio esce in giacca e cravatta dalla banca.
   “Documenti!”
   La polizia ha le armi spianate. Il vecchio sembra cadere su sé stesso, come un burattino al quale abbiano tagliato i fili.
   “Non ho i documenti. Non esisto.”
   “Documenti!”
   “Ho la cravatta e la giacca e anche i pantaloni ben stirati. Non esisto.”
   “Documenti!”
   Il vecchio guarda con gli occhi. La bocca non parla. L’iride degli occhi ha lampi mai visti. La pupilla si dilata come quella d’un cetaceo. Sembra che respiri la pupilla.
   “Documenti!”
   “Gentile poliziotto, mi spiace, ma io non esisto.”

   Finalmente è arrivato un po’ di sole. Piove ancora, ed è strano, insolito, piove col sole. Ma talvolta capita, e fa un effetto che sa un poco di magia. Verso l’orizzonte si spezzano delle nuvole scure. La radio ha dato la notizia.
   Verranno gli extraterrestri a farci visita. Trascorreranno sulla Terra due settimane. Sarà un incontro interessante e ricco di speranza per il futuro dell’umanità e dell’intera galassia. Ma come comunicare. Bisognerà parlare con gli occhi, con i due occhi umani e con le decine di bizzarri e oblunghi occhi extraterrestri.
   Le due settimane sono trascorse. L’incontro è stato bellissimo. Qualcuno si è perfino innamorato, e poi sposato, qualcuno è partito per il lontano pianeta dei nuovi venuti, qualcuno di loro è invece rimasto qui, su questo pianeta azzurro, e mai più è tornato nei mondi remoti, oltre gli oscuri spazi interstellari.
   Cielo sereno adesso. È primavera. La temperatura è mite, qualche passeggiata sulla spiaggia domenica, un picnic in campagna, un arcobaleno, una coccinella, le rondini e tutto il resto. Perfino un pesce argenteo che salta tra i sassi del torrente, nelle acque intrise di luce.

   Ah, gli aquiloni. Sui pendii erbosi. Maggio. Ah, gli aquiloni, sulle colline. Grandi occhi nel cielo celeste. È tutto finito. Saper leggere il velo delle palpebre, il tremolio di una sopracciglia, quei disegni screziati simili a microscopiche onde. Come poterci riconoscere poi. Erano tuoi quegli occhi? Come si permette, egregio signore? Mi scusi, mi sbagliavo. Mi dispiace, è un errore. Non si scusi, signore. Anche a me forse, chissà, un ricordo evanescente, o un futile errore, anch’io. Chissà. Una dimenticanza. Un desiderio. Un lieve smarrimento. Mi scusi. Scusi lei. Le auguro una buona giornata. Una buona giornata anche a lei.

   A B C D… E poi? E poi, niente. Su, riprova. A B… E poi? Allora: A B C… Non ricordo. Su, riprova… A B C D E F G… Bravo, sì, così, continua. A B C D E F G H I… No, non ce la faccio più… Dài, su, forza! A B C D… Non ricordo… A B C… Non ricordo… A B… Su, forza, riprova! A B… A B… A… No, niente. Ricordo solo nuvole scure, il mare vuoto, la strada polverosa, il frastuono di una cicala nel silenzio, e il nettare nell’aria… Qualcuno mi ha guardato negli occhi. Per un attimo. Poi, non ricordo più nulla.


   “Signore e signori, buonasera. I programmi di oggi: primi vagiti, posizione eretta, appena due passi barcollanti, corsa verso il lavoro, corsa verso… corsa verso… orologi… orologi… orologi…”
   Piccola pubblicità. Il cuscino più morbido che c’è, al prezzo più conveniente che c’è. Chiudere gli occhi per il sonno più sonno che c’è.
   “Documenti!”
   “Mi dispiace. Io non ho i documenti. E poi non esisto.”
   “Documenti!”
   “Mi dispiace, non ho i documenti. E poi questo è un sogno. Io sto dormendo. Oppure lei sta dormendo, la cosa nella sostanza non fa differenza.”
   “Documenti!”
   “Guardi, allora facciamo così. Lei mi mostra prima i suoi documenti di poliziotto e io poi le mostrerò i miei di dormiente.”
   “Bene. Eccoli.”
   “Non vedo niente.”
   “Nemmeno io.”
   “Nemmeno noi.”
   C’è musica in cielo. Una grande orchestra suona. Forse saranno gli angeli o forse soltanto una jam session di monelli che hanno imparato a volare, almeno per un po’, facendo attenzione a non perdere l’equilibrio tra zefiro e burrasca. Bisogna attendere una buona giornata per certi concerti, e oggi è il giorno buono.

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