domenica 4 dicembre 2016

Le chiese scomparse di Domenico Segna


Conosco Domenico Segna da diversi anni, in specie per la sua attività di giornalista sulle riviste Il Regno e I martedì di San Domenico, apprezzando il suo punto di vista su molte delle questioni trattate nei suoi articoli. Quando mi ha invitata alla presentazione del libro di cui a breve parleremo, Le chiese scomparse, mi sono incuriosita rispetto alla sua vocazione poetica e sono andata ad ascoltarlo. Pensavo di trovare un lavoro che parlasse di quelle chiese di cui ormai si è persa la sacralità in quanto dismesse, sconsacrate, relegate ad altri usi - se va bene, culturali - e delle quali si ricordano con tristezza i tempi degli albori, delle frequentazioni per l’uso per cui gli edifici erano stati creati, in cui le comunità si riconoscevano. Invece, proprio com’è successo anche a Guido Armellini, prefatore del libro, mi sono dovuta ricredere sul contenuto – che pure sarebbe stato un legittimo argomento su cui esprimere la propria poetica -. Domenico Segna, in realtà, intende collocare nelle Chiese scomparse quella dimensione affettiva che ha a che vedere con la ricerca di un tempo perduto che si cala nel privato e nell’intimo dell’autore pur creando ponti con l’universale.

Le chiese scomparse


In questo libro dal sapore dolcemente struggente di ceri e incensi, di acque benedette e rose votive, l’ambientazione simbolica raffigurante le costruzioni religiose con tutti i loro annessi e connessi, trova conforto nel raffronto tra le più moderne e quotidiane ambientazioni di vita del lettore, dove i rimandi e le similitudini appaiono inevitabili, e comunque necessari, per addentrarsi nella comprensione del testo. L’autore non senza un certo timore e una possibilità di silenzio che ci offre, sfiorando il pragmatismo, si addentra - e ci addentra – in una funzione di sacralità del tempo che non si pone come fine a se stessa ma detta, al contrario, le regole di un modus vivendi per accogliere la parola, farla propria, tornare all’ascolto. E’ così, infatti, che ricordi ed esperienze si intessono in trame di vissuti comuni; è così che lo stile raccolto e farcito di elementi surrealisti e modernisti, diventa uno stile concreto, in cui l’esperienza poetica del Novecento accompagna il cammino di Segna e il nostro in sentieri dove, tra poesia e prosa, si rischia di perdere le rotte fra ritmi lirici e narrazioni, memorie del passato secolo e del proprio vissuto, incursioni nell’io profondo e nei miraggi visionari della poetica dei luoghi, rovesciamenti temporali in contrasto con sensazioni a più livelli. Tuttavia, un lettore attento, è capace di rimettersi in carreggiata all’istante, riafferrando le redini della comunicazione dell’autore: il percorso è, infatti, ben tracciato da tanti segni che impediscono lo smarrimento. Sono le icone che riproducono la terminologia sacra, le ispirazioni di una vocazione profetica (in quanto poetica), i riflessi dalla mitologia classica, le aperture al meticciato sacro-metropolita. Del resto non è un caso che un Gesù foriero di estraniamenti e doti quotidiane si affacci, in conclusione del libro, a restituirci epifaniche resurrezioni per concederci la possibilità di esplorare nuove assonanze, nuovi orizzonti di senso, nuove visoni più profane che sacre di comandamenti in una misura di confine, di soglia immaginifica e reale che rimanda alla ricerca di un’esperienza di fede che necessità sempre di sostentamento e cure per poter resistere all’indifferenza o all’abbandono.


Alcuni testi da: Le chiese scomparse


Chiesa del milite ignoto

Sospinti verso le foci del Po
i ragazzi del ‘99 traslocavano dal Vittoriano
passando per via dell'Amba Aradam.
Sapevo quando nella culla bagnavo l'Altare della Patria.
Aurelio era lì che dormiva. Lo salutavo ad alta voce.
Sognava, fingeva di dormire.
La notte, però, veniva a trovarmi prendendo l'ultimo tram.

Non era molto alto.
Le sue piccole mani avrebbero contenuto
tutto il chiarore del nuovo mondo.
Voleva andarsene in America.
Se credevo morti mio padre e mia madre si slacciava l'elmetto,
lo riempiva di neve elettrica del porto di Nuova York.
Non aveva armi.
Solo un buco nella tempia da cui uscivano tulipani e quadri.

Aveva una bella voce.
Respirava ancora quando
                                    lo vollero seppellire nel marmo.


*****

Chiesa di Giuliano l'apostata

Pioggia di mattini in questa festa che sa di pane e d'incenso. S'è fatto giorno. La perfezione dell'acqua disseta la corsa dei corpi celesti. Odisseo naviga con le armi di Achille. Calipso le riduce a mormorio, cancella il mondo sullo scudo. Trovo un senso che somiglia ad un fanciullo non ancora addomesticato, quando l'ala del pettirosso traccia d'un salto l'alfabeto. Screziata di porpora e d'arancio la sillaba è un'evidenza. Solo l'azzurro rimane schiacciato nell'otre dove si lodano le parole. Conchiglia di vento ascolta il mare senza principio né fine, agli dèi immolo la tua immortalità, il corpo sulla croce sarà riarso ulivo,
                                                                 giunco d'eco.


*****

Chiesa della nonna cattiva

I lasciti testamentari hanno sempre qualcosa di ridicolo.
Le ultime volontà di una donna che aveva quattro figlie,
diversi nipoti, un certo numero di generi sopravvissuti
ricorda l'impero romano al suo crepuscolo.
Oppure una telenovela orchestrata da un avvocato
e da un notaio invisibili.
Giovani Parche burocratiche di destini incrociati.
Quando sono vivi i morti li si sopporta
quando sono di là li si piange per una settimana:
né l'uno, né l'altro se la scomparsa è una vecchia
abituata alla menzogna, al rancore, all'invidia.
A quest'ora chi avrà conosciuto?
Cesare e Bruto riconciliati,
Achille che finalmente ha raggiunto la tartaruga,
papa Celestino le ha rivelato di non aver mai saputo nulla dell'elezione.
Con il suo dialetto trapiantato nell'Urbe nell'anno XIV dell'era fascista
non capì mai chi fosse quel tale che ogni tanto si affacciava dal balcone.
Non aveva storia, non entrò nella storia, piuttosto pensava a far fuori
dall'eredità il fratello puttaniere, sciarpa littorio, marcia su Roma del ‘22.
Il testamento, quando fu aperto, scompigliò ogni previsione:
iniziò una causa che durò un quarto di secolo (e dura tuttora).
Fu il suo modo per entrare nell'immortalità per due o tre generazioni.


*****

Chiesa del tour operator

Con il suo equipaggio
di ombre il treno
sereno e lucente
si ferma poco oltre
il borgo.

Distesa assorta
la campagna.
Non c'è un filo di vento.
Nessuno può scendere
o salire.

È forse serenità,
             morte o vanità?

*****

Dopocena

Strano a dirsi ma la cena è riuscita.
Abbiamo spezzato il pane,
bevuto il vino, intinto nell'olio le focacce.
Giuda è stato tranquillo, Pietro brioso.
Quando se ne sono andati
Giovanni, il più giovane dei miei discepoli,
mi ha ringraziato per la lieta serata.
Dopo aver chiuso la porta ho sgombrato la tavola,
la lavastoviglie non ha fatto rumore.
Non avevo voglia di mondare i piatti.
Disteso sul sofà mi sono visto la registrazione
dell'ultima puntata di Downton Abbey.
Tranquille appassite verità.
Di soldati che vengono ad arrestarmi
non ce ne sono più,
di morti da resuscitare
in giacca e cravatta neppure.
Icone delle onde radio di ieri
raccontano della mia entrata a Bruxelles.
Presso di me non c'è preferenza
di cani, locuste, sconosciuti.
Questo è il mio corpo,
questo è il mio sangue,
questo il momento di vegliare.
Così ammetteva un mio seguace
che non voleva camminare
su nuvole di chiese pallide e inquiete.


Nato a Roma nel 1960, vive e lavora a Bologna. Giornalista, è vice-caporedattore de I Martedì del Centro San Domenico di Bologna, dove si occupa prevalentemente di letteratura contemporanea. Attivamente impegnato nel dialogo ecumenico, lavora nell’ambito della redazione della rivista Il Regno. Laureato in Lettere all’Università “La Sapienza” di Roma e in Scienze Bibliche e Teologiche presso la Facoltà Valdese di Teologia di Roma è docente di Protestantesimo presso lo Studio Filosofico Domenicano, l’Università “Primo Levi” e l’Istituto “Carlo Tincani” di Bologna. Ha pubblicato nel 2007, con una nota di Roberto Roversi, Libro, testo di prose e poesie scritte a quattro mani con Valeria Magnani e Le chiese scomparse per la Casa Editrice Con-fine nel 2014. Sue poesie sono state pubblicate in varie antologie. Nel 2016 ha curato l’uscita del libro Martin Lutero. Le 95 tesi, edito da Garzanti.


Bologna, 4 dicembre 2016



Cinzia Demi




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