Conosco Lorenzo Ciufo da diversi anni per un incontro fortunato al Festival della Fiaba di Campodimele, dove entrambi eravamo ospiti con nostri lavori. Lorenzo è una persona dolcissima, dotata di grande umanità e sensibilità. Da subito siamo diventati ottimi amici, cercando occasioni di scambio, incontro, condivisione poetica. In seguito dell’uscita del suo libro La casa nuova, curai un breve articolo di presentazione per la rivista Parole del Laboratorio di Parole del Circolo La Fattoria di Bologna, rivista che allora dirigevo. L’articolo diceva questo: (iniziando dalla nota sul libro di Adriano Petta) “Tutte le poesie, senza escluderne nessuna, possiedono la bellezza della semplicità, una purezza cristallina: è come se fossero state scritte con un filtro magico, come il mare che accetta tutti i liquidi veleno si e inquinanti dell'uomo... e filtra e depura tutto, e torna sempre pulito, per preparare la nascita di una nuova creatura." E continuando con un mio commento: “[…] Del suo lavoro (Lorenzo Ciufo) dice che è stato particolarmente ispirato dall’ascolto di canzoni tratte dagli album di Kay McCarthy - artista irlandese, italiana di adozione, che da oltre trent’anni è portavoce della tradizione musicale d’Irlanda -.
Quella di Lorenzo, a mio avviso, è una poetica che si
rifà molto al Palazzeschi crepuscolare, cercando di elevare a materia della
poesia la vita quotidiana nei suoi più dimessi e banali aspetti, priva di ogni
ornamento e libera dal peso della tradizione. C’è quasi un bisogno di essere
compianto e di realizzare una confessione, un essere insoddisfatto che cerca
però solo tranquilli angoli del mondo e luoghi conosciuti dell'anima in cui
rifugiarsi. Nei suoi testi spesso non vengono disdegnati tratti ironici o termini
della lingua dell’uso sostituiti al sospiro elegiaco. Il risultato è un verso
libero con uso d’interpunzione interna, che non disturba il ritmo narrativo ma
lascia al lettore il tempo di riflettere.”
Adesso, a distanza di cinque anni, Ciufo esce con questo nuovo libro
che, già dal titolo, Come se tutto bianco,
si presenta molto emblematico, inducendo a riflettere come sembri portare a
un’inversione di rotta, a un mutamento di struttura formale ed emotiva, ad una
maturazione - in senso generale di crescita, come cambiamento - dell’autore. Il
libro è arricchito da alcune traduzioni in inglese e polacco.
Come se fosse bianco
La
similitudine del titolo, lasciata a metà, da Lorenzo Ciufo, in Come se tutto bianco, induce il lettore
a predisporre la propria attenzione nei confronti del libro in una dimensione
di attesa, di aspettativa, di necessità di comprendere in che modo l’autore
affronterà, esplicherà, darà corpo all’incipit del suo lavoro. Il titolo di un
libro, non è certo un mistero, è semplicemente uno degli elementi fondamentali,
non sempre azzeccati, ricercatissimi dagli autori, specie in poesia, laddove
tutto deve quadrare in una sintesi tra significato e significante che, proprio
a partire dal titolo, sia in grado di dire anche il non detto, di far intuire
anche ciò che sta dietro e dentro alle parole.
Ecco
allora che, Come se tutto bianco, già
dalle sue prime pagine, non tradisce affatto il lettore e rende conto, non solo
del titolo ma delle intenzioni, della visione, della poetica di Lorenzo Ciufo
tutta tesa ad un approccio fatto di versi gentili, lievi come carezze sul
foglio, eppure intensi e vibranti, in un’assonanza di memorie, di riferimenti e
citazioni assonanti dotte, a loro volta capaci di identificare il percorso
culturale dell’autore stesso. Il bianco è, in effetti, il colore dominante in
queste pagine. Ciufo, come Emily Dickinson, sembra sentirsi legato al colore
bianco da un profondo sentimento di empatia, come se questo potesse
considerarsi una sorta di emblema di un vuoto vitale, di un infinito incalzare
di passioni così grandi, da renderlo un simbolo di energia pura. Il bianco,
anche nelle sue accezioni di luce, chiarità, chiarore, compare in moltissimi
testi a identificare quasi un percorso necessario di luminosità e chiarezza che
non ha solo a che fare con l’elemento esteriore ma, certamente, con i
sentimenti e le vicende raccontate, attraverso e le immagini e le tonalità
descrittive dei versi.
Versi, nei
quali vengono raggiunti, in certi passaggi, momenti di altissimo coinvolgimento
emotivo laddove la cifra stilistica dell’autore si incontra con i testi
dedicati al figlio Nicolò (Raggi del sole
che rincasa/sfuggono alla serrata delle nubi./Io mi ci aggrappo e mi ci
impiglio/sì come fa mio figlio al parco giochi/tra reti e corde dell’arrampicata/e
mi sorride dai suoi anni pochi); ai ricordi dell’infanzia e della giovinezza
(E alle parole legavamo/pensieri liberi,
lingua del cuore./ Fuori il vento soffiava sulla piazza/polverosa di invidie e
maldicenze […] Con le manine giunte pregavamo/che il vento ingannatore non
riaprisse/all’anima bambina le parole); ai congedi e alle partenze (Dal treno/per Bruges di luce non un
riso,/non un grido di colore dai campi/oltre la vetrata […] E’ la vita
dentro/che dipinge il mondo./Tocco la mia/solitudine).
Evidenti i
rimandi ai grandi maestri del ‘900: da Pascoli (il richiamo discreto della lucciola,/quel pigolio di luci sulla
soglia/dell’estate) a Caproni (Nella
battuta sciatta di congedo/al viaggiatore stando alla discesa/del treno – un
tenue filo ancora/che lo lega all’ora produttiva – quanto amore della vita
pieno.); da Ungaretti (Quelle casette
in fila sembrano/i miei giorni) a Montale (un sospiro di mare./il silenzio tagliava l’aria fredda/come chiglia di
nave./Alla murata/schiaffi di tramontana); senza dimenticare certe sfumature
di romanticismo leopardiano (Di notte,
all’ombra della casa, dove/la luna lagrimosa non mi vede,/un brulicar di
lucciole) e i grandi classici come l’Odissea, rivisitata in termini
contemporanei (Ulisse, già a Itaca, è
perplesso:/è quella la sua terra?/Quelle le bianche pietre, quelle/le
sabbie,/asciutte, calde, nelle unghie/a grani nella congiuntura?)
E, infine,
tutto quel chiarore menzionato, tutta quella luce necessaria ma, anche, vista
come elemento di disturbo viene, a volte, rinnegata, come se accecasse la
necessità di raccoglimento dello scrittore, come se annebbiasse, distogliesse
per il troppo rendere tutto esplicito, da una consapevole concentrazione,
l’operato stesso del poeta che arriva a
desiderare il buio, per poter vedere meglio dentro se stesso e concedersi alla
scrittura: Non accendete luci per
favore./Non ne accendete: al buio vedo meglio; e ancora, nel testo eponimo:
Se scrivo nel buio la mano è più
libera/sul foglio […] come se tutto fosse bianco./Scrivo nel buio e la mano
vaga.
Dunque, in un
alternanza di chiaroscuri, conosciamo un autore dai toni limpidi ma accesi, che
finemente sa cesellare un pensiero che si incontra con la poesia, un verso che
scorre in struttura libera ma che contiene al suo interno, tutta l’evidente
conoscenza degli strumenti retorici e stilistici della poesia. Un plauso allora
a Lorenzo Ciufo, che ritorna sulla scena poetica contemporanea con un lavoro
che, giustamente segnaliamo, per l’efficacia degli intenti e dei risultati
ottenuti, grazie all’amore, alla passione e alla grande disciplina con cui ha
saputo dedicarvisi.
Alcuni testi da: Come se tutto bianco
Non
accendete luci per favore.
Non
ne accendete: al buio vedo meglio.
Servono
infatti occhi per discernere?
Mi
basta la memoria, quel fermo immagine.
Come
legno di rovere imbevuto.
E
io non sono più quel foglio bianco.
*****
Le
valigie e le borse alla rinfusa
nel
vagone affollato,
le
teste dondolanti
al
cambio di binario e pare dicano
ora
sì ora no ma non lo sanno.
Ulisse,
già a Itaca, è perplesso:
è
quella la sua terra?
Quelle
le bianche pietre, quelle
le
sabbie, asciutte, calde, nelle unghie,
a
grani nella congiuntiva?
E
io non so che fare,
se
non restare muto
al
cospetto tuo, o Penelope,
al
dolore, ch’io non so declinare.
Forse
tu, che nel nome porti il mare.
*****
Sei
figlia della terra e del castagno.
Divinità
silvana, attraversi la mia notte.
La
tua pelle di luna faro
del
viandante smarrito agli occhi.
Umili
le mie parole al tuo passo
nudo
come tappeto di foglie.
Nel
tuo nido di carta una vita
da
schiudere. E di te mi parla il vento
che
questo mio nuovo anno accarezza;
della
tua anima, che sa di muschio
e
mi stordisce e placa. Ora tu dormi,
ignara
del male che fai, del bene
che
sei. Ignara del futuro
che
hai chiuso in uno scrigno.
*****
La
vita, costruiscila, se vuoi,
col
goniometro e il compasso. Se puoi,
tira
pure una riga per il centro
che
in parti uguali ti divida il foglio.
Ossia,
se preferisci fantasia,
prendi
pure il tangram,
per
riportarlo al punto di partenza.
Sì
ai colori diversi, ma le tessere
rimangano
a posto e tutto quadri.
Lontano
il sentimento, che squaderna;
che
lo strumento accanto tutto squadri.
*****
Se
scrivo nel buio, la mano è più libera
sul
foglio, dove le righe non tengono
e
il campo s’apre senza confini,
come
se tutto bianco.
Scrivo
nel buio e la mano vaga
illudendosi
un cammino,
ma
perde la misura
e
le parole, calligrafia
non
mia, salgono e scendono la pagina,
disegnano
parabole, dorsi
di
colline.
Spegnete
quei display. Coprite
la
targa per l’uscita di emergenza
che
senza occhiali pure riconosco.
Come
coperta questo buio,
artificio
scavato nella roccia.
Gli
occhi non mi bruciano più.
Bologna,
13 novembre 2016
Cinzia
Demi
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