domenica 13 novembre 2016

Come se tutto bianco, il nuovo libro di Lorenzo Ciufo






Conosco Lorenzo Ciufo da diversi anni per un incontro fortunato al Festival della Fiaba di Campodimele, dove entrambi eravamo ospiti con nostri lavori. Lorenzo è una persona dolcissima, dotata di grande umanità e sensibilità. Da subito siamo diventati ottimi amici, cercando occasioni di scambio, incontro, condivisione poetica. In seguito dell’uscita del suo libro La casa nuova, curai un breve articolo di presentazione per la rivista Parole del Laboratorio di Parole del Circolo La Fattoria di Bologna, rivista che allora dirigevo. L’articolo diceva questo: (iniziando dalla nota sul libro di Adriano Petta) “Tutte le poesie, senza escluderne nessuna, possiedono la bellezza della semplicità, una purezza cristallina: è come se fossero state scritte con un filtro magico, come il mare che accetta tutti i liquidi veleno si e inquinanti dell'uomo... e filtra e depura tutto, e torna sempre pulito, per preparare la nascita di una nuova creatura." E continuando con un mio commento: “[…] Del suo lavoro (Lorenzo Ciufo) dice che è stato particolarmente ispirato dall’ascolto di canzoni tratte dagli album di Kay McCarthy - artista irlandese, italiana di adozione, che da oltre trent’anni è portavoce della tradizione musicale d’Irlanda -.

Quella di Lorenzo, a mio avviso, è una poetica che si rifà molto al Palazzeschi crepuscolare, cercando di elevare a materia della poesia la vita quotidiana nei suoi più dimessi e banali aspetti, priva di ogni ornamento e libera dal peso della tradizione. C’è quasi un bisogno di essere compianto e di realizzare una confessione, un essere insoddisfatto che cerca però solo tranquilli angoli del mondo e luoghi conosciuti dell'anima in cui rifugiarsi. Nei suoi testi spesso non vengono disdegnati tratti ironici o termini della lingua dell’uso sostituiti al sospiro elegiaco. Il risultato è un verso libero con uso d’interpunzione interna, che non disturba il ritmo narrativo ma lascia al lettore il tempo di riflettere.”
Adesso, a distanza di cinque anni, Ciufo esce con questo nuovo libro che, già dal titolo, Come se tutto bianco, si presenta molto emblematico, inducendo a riflettere come sembri portare a un’inversione di rotta, a un mutamento di struttura formale ed emotiva, ad una maturazione - in senso generale di crescita, come cambiamento - dell’autore. Il libro è arricchito da alcune traduzioni in inglese e polacco.

Come se fosse bianco



La similitudine del titolo, lasciata a metà, da Lorenzo Ciufo, in Come se tutto bianco, induce il lettore a predisporre la propria attenzione nei confronti del libro in una dimensione di attesa, di aspettativa, di necessità di comprendere in che modo l’autore affronterà, esplicherà, darà corpo all’incipit del suo lavoro. Il titolo di un libro, non è certo un mistero, è semplicemente uno degli elementi fondamentali, non sempre azzeccati, ricercatissimi dagli autori, specie in poesia, laddove tutto deve quadrare in una sintesi tra significato e significante che, proprio a partire dal titolo, sia in grado di dire anche il non detto, di far intuire anche ciò che sta dietro e dentro alle parole.

Ecco allora che, Come se tutto bianco, già dalle sue prime pagine, non tradisce affatto il lettore e rende conto, non solo del titolo ma delle intenzioni, della visione, della poetica di Lorenzo Ciufo tutta tesa ad un approccio fatto di versi gentili, lievi come carezze sul foglio, eppure intensi e vibranti, in un’assonanza di memorie, di riferimenti e citazioni assonanti dotte, a loro volta capaci di identificare il percorso culturale dell’autore stesso. Il bianco è, in effetti, il colore dominante in queste pagine. Ciufo, come Emily Dickinson, sembra sentirsi legato al colore bianco da un profondo sentimento di empatia, come se questo potesse considerarsi una sorta di emblema di un vuoto vitale, di un infinito incalzare di passioni così grandi, da renderlo un simbolo di energia pura. Il bianco, anche nelle sue accezioni di luce, chiarità, chiarore, compare in moltissimi testi a identificare quasi un percorso necessario di luminosità e chiarezza che non ha solo a che fare con l’elemento esteriore ma, certamente, con i sentimenti e le vicende raccontate, attraverso e le immagini e le tonalità descrittive dei versi.

Versi, nei quali vengono raggiunti, in certi passaggi, momenti di altissimo coinvolgimento emotivo laddove la cifra stilistica dell’autore si incontra con i testi dedicati al figlio Nicolò (Raggi del sole che rincasa/sfuggono alla serrata delle nubi./Io mi ci aggrappo e mi ci impiglio/sì come fa mio figlio al parco giochi/tra reti e corde dell’arrampicata/e mi sorride dai suoi anni pochi); ai ricordi dell’infanzia e della giovinezza (E alle parole legavamo/pensieri liberi, lingua del cuore./ Fuori il vento soffiava sulla piazza/polverosa di invidie e maldicenze […] Con le manine giunte pregavamo/che il vento ingannatore non riaprisse/all’anima bambina le parole); ai congedi e alle partenze (Dal treno/per Bruges di luce non un riso,/non un grido di colore dai campi/oltre la vetrata […] E’ la vita dentro/che dipinge il mondo./Tocco la mia/solitudine).
Evidenti i rimandi ai grandi maestri del ‘900: da Pascoli (il richiamo discreto della lucciola,/quel pigolio di luci sulla soglia/dell’estate) a Caproni (Nella battuta sciatta di congedo/al viaggiatore stando alla discesa/del treno – un tenue filo ancora/che lo lega all’ora produttiva – quanto amore della vita pieno.); da Ungaretti (Quelle casette in fila sembrano/i miei giorni) a Montale (un sospiro di mare./il silenzio tagliava l’aria fredda/come chiglia di nave./Alla murata/schiaffi di tramontana); senza dimenticare certe sfumature di romanticismo leopardiano (Di notte, all’ombra della casa, dove/la luna lagrimosa non mi vede,/un brulicar di lucciole) e i grandi classici come l’Odissea, rivisitata in termini contemporanei (Ulisse, già a Itaca, è perplesso:/è quella la sua terra?/Quelle le bianche pietre, quelle/le sabbie,/asciutte, calde, nelle unghie/a grani nella congiuntura?)

E, infine, tutto quel chiarore menzionato, tutta quella luce necessaria ma, anche, vista come elemento di disturbo viene, a volte, rinnegata, come se accecasse la necessità di raccoglimento dello scrittore, come se annebbiasse, distogliesse per il troppo rendere tutto esplicito, da una consapevole concentrazione, l’operato stesso del poeta che arriva  a desiderare il buio, per poter vedere meglio dentro se stesso e concedersi alla scrittura: Non accendete luci per favore./Non ne accendete: al buio vedo meglio; e ancora, nel testo eponimo: Se scrivo nel buio la mano è più libera/sul foglio […] come se tutto fosse bianco./Scrivo nel buio e la mano vaga.
Dunque, in un alternanza di chiaroscuri, conosciamo un autore dai toni limpidi ma accesi, che finemente sa cesellare un pensiero che si incontra con la poesia, un verso che scorre in struttura libera ma che contiene al suo interno, tutta l’evidente conoscenza degli strumenti retorici e stilistici della poesia. Un plauso allora a Lorenzo Ciufo, che ritorna sulla scena poetica contemporanea con un lavoro che, giustamente segnaliamo, per l’efficacia degli intenti e dei risultati ottenuti, grazie all’amore, alla passione e alla grande disciplina con cui ha saputo dedicarvisi.

Alcuni testi da: Come se tutto bianco


Non accendete luci per favore.
Non ne accendete: al buio vedo meglio.
Servono infatti occhi per discernere?
Mi basta la memoria, quel fermo immagine.
Come legno di rovere imbevuto.

E io non sono più quel foglio bianco.

*****

Le valigie e le borse alla rinfusa
nel vagone affollato,
le teste dondolanti
al cambio di binario e pare dicano
ora sì ora no ma non lo sanno.
Ulisse, già a Itaca, è perplesso:
è quella la sua terra?
Quelle le bianche pietre, quelle
le sabbie, asciutte, calde, nelle unghie,
a grani nella congiuntiva?
E io non so che fare,
se non restare muto
al cospetto tuo, o Penelope,
al dolore, ch’io non so declinare.
Forse tu, che nel nome porti il mare. 

*****

Sei figlia della terra e del castagno.
Divinità silvana, attraversi la mia notte.
La tua pelle di luna faro
del viandante smarrito agli occhi.
Umili le mie parole al tuo passo
nudo come tappeto di foglie.
Nel tuo nido di carta una vita
da schiudere. E di te mi parla il vento
che questo mio nuovo anno accarezza;
della tua anima, che sa di muschio
e mi stordisce e placa. Ora tu dormi,
ignara del male che fai, del bene
che sei. Ignara del futuro
che hai chiuso in uno scrigno.

*****

La vita, costruiscila, se vuoi,
col goniometro e il compasso. Se puoi,
tira pure una riga per il centro
che in parti uguali ti divida il foglio.
Ossia, se preferisci fantasia,
prendi pure il tangram,
per riportarlo al punto di partenza.
Sì ai colori diversi, ma le tessere
rimangano a posto e tutto quadri.
Lontano il sentimento, che squaderna;
che lo strumento accanto tutto squadri.

*****

Se scrivo nel buio, la mano è più libera
sul foglio, dove le righe non tengono
e il campo s’apre senza confini,
come se tutto bianco.
Scrivo nel buio e la mano vaga
illudendosi un cammino,
ma perde la misura
e le parole, calligrafia
non mia, salgono e scendono la pagina,
disegnano parabole, dorsi
di colline.
Spegnete quei display. Coprite
la targa per l’uscita di emergenza
che senza occhiali pure riconosco.
Come coperta questo buio,
artificio scavato nella roccia.
Gli occhi non mi bruciano più.

Bologna, 13 novembre 2016                          

Cinzia Demi

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